Che cos’è la virtù? (Lucil. Sat. fr. incert. vv. 1326-1338 Marx = 1140-1152 Terzaghi – I. Mariotti)

di G.B. CONTE, E. PIANEZZOLA, Lezioni di Letteratura latina. Materiali per il docente, Milano 2010, pp. 42-43.

È il frammento più lungo e più celebre di Lucilio, costituito da un serie di definizioni della virtus (la qualità dell’uomo, ciò che lo caratterizza: virtus è un derivato di vir): si avverte la difficoltà di costringere in un’unica formula la complessità degli atteggiamenti e dei comportamenti dell’uomo nella società. Orazio (Sat. II 1, 70) definirà Lucilio «benevolo soltanto alla virtù e a quelli che le sono amici».

Personificazione della Virtus. Statua, marmo, II sec. d.C. ca. dalla Biblioteca di Celso, Efeso.

METRO: esametri

uirtus, Albine, est, pretium persoluere uerum

quis in uersamur, quis uiuimus rebus, potesse[1],

uirtus est, homini scire id quod quaeque habeat res,

uirtus, scire, homini rectum, utile quid sit, honestum,

quae bona, quae mala item, quid inutile, turpe,

[inhonestum,                                  1330

uirtus quaerendae finem r‹e›[2] scire modumque,

uirtus diuitiis pretium persoluere posse,

uirtus id dare quod re ipsa debetur honori,

hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum,

contra defensorem hominum morumque bonorum,                 1335

hos magni facere, his bene uelle, his uiuere amicum,

commoda praeterea patria‹i›[3] prima putare,

deinde parentum, tertia iam postremaque nostra.

Virtù, Albino, è poter assegnare il giusto prezzo alle cose

fra cui ci troviamo e fra cui viviamo,

virtù è sapere che cosa valga ciascuna cosa per l’uomo,

virtù è sapere che cosa per l’uomo è retto, utile, onesto,

e poi quali cose sono buone, quali cattive, che cos’è inutile, turpe, disonesto;

virtù è saper mettere un termine, un limite al guadagno,

virtù è poter assegnare alla ricchezza il suo vero valore,

virtù è dare agli onori quel che veramente gli si deve:

essere nemico e avversario degli uomini e dei costumi cattivi,

difensore invece degli uomini e dei costumi buoni,

questi stimare, a questi voler bene, a questi vivere amico;

mettere, inoltre, al primo posto il bene della patria,

poi quello dei genitori, al terzo e ultimo il nostro.

(trad. it. di I. Mariotti – A. Cavazza Pasini)

***

Guida alla lettura

Struttura | Il martellante ricorrere a inizio di verso (anafora) del termine virtus, seguito da una pluralità di definizioni che “declinano” il concetto nei diversi aspetti della vita reale dell’uomo, sottolinea la centralità, nella morale luciliana, di questo ideale. Il principio “filosofico”, contenuto al centro del frammento – virtù è stabilire ciò che è bene per l’uomo, cioè utile quid sit, honestum – improntato al pensiero stoico diffuso da Panezio nel circolo scipionico, significa nella realtà quotidiana di un aristocratico romano porre il giusto limite alla ricchezza (vv. 1331-1332) e agli onori (v. 1333), schierarsi dalla parte degli uomini onesti e a loro legarsi nel vincolo dell’amicitia (vv. 1334-1336), anteporre al proprio interesse ciò che è utile, vantaggioso (commoda), per la patria e per i genitori (vv. 1337-1338).

Temi e motivi | I temi filosofici sfiorati in questo frammento di Lucilio testimoniano il vivace fermento di idee che caratterizza il circolo degli Scipioni. Lo sforzo di fissare un modello etico che si traduca in norme pratiche di comportamento quotidiano per l’aristocrazia romana impegnerà quasi un secolo dopo Cicerone, che sulla falsariga del trattato Sul conveniente di Panezio, nel De officiis (“Sui doveri”) definirà i concetti di honestum e di utile, esaminando anche i casi in cui essi entrano in conflitto reciproco.

Il tema dell’amicizia tra boni sarà, invece, al centro del dialogo ciceroniano Laelius de amicitia, retrospettivamente ambientato pochi giorni dopo la morte di Scipione, tra i membri del suo entourage.

Mn. Aquilius Mn. f. Mn. n. Denarius, Roma, 65 a.C. Ar. 3,95 gr. Recto – Testa elmata e drappeggiata di Virtus, voltata a destra; legenda: Virtus III vir[orum].

 ***

Note:

[1] quis in… quis… potesse: quis è la forma originaria dell’ablativo plurale del pronome relativo (= quibus); quis in: anastrofe, cioè posposizione della preposizione; potesse = posse.

[2] quaerendae… re = quaerendae rei (dativo).

[3] patriai: forma arcaica del genitivo singolare della I declinazione (= patriae).

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