Tragicità del conoscere

di V. DI BENEDETTO, Eschilo e lo sviluppo delle forme tragiche, in Eschilo, Orestea, introd. V. Di Benedetto, trad. e note di E. Medda, L. Battezzato, M.P. Pattoni, Milano 2010, pp. 9-11.

Non è vero che il tragico (nelle tragedie greche del V secolo a.C.) consista nel non sapere, nell’esser vittima di un’ignoranza che schiaccia il soggetto (o nell’essere irretiti in un ambiguo trasmutare dei sensi). Il tragico consiste nel sapere, nel rendersi conto della sofferenza e del lutto. Se, nonostante tutto, volessimo ricercare un messaggio che i poeti tragici ci possano avere trasmesso, questo messaggio si potrebbe enunciare nelle parole: «soffrire e conoscere», oppure, con la formulazione che – forse indebitamente – lascia intravedere una possibilità di riscatto, un non appagante riscatto: «soffrire e però essere consapevoli della propria sofferenza».

Pittore di Achille. Edipo e la Sfinge. Pittura vascolare da un’anfora attica a figure rosse, 440-430 a.C. ca., da Nola.

Ma occorre essere attenti a cogliere la specificità di questo conoscere del personaggio tragico. La qualità di questo conoscere tragico ha connotazioni proprie e specifiche. È un conoscere turbato in quanto si rapporta di regola a situazioni di sofferenza, o anche di contrasto; e inoltre può presupporre profondità sinistre e recondite, in riferimento al mondo arcaico-primitivo evocato attraverso il mito. La verità della tragedia greca non è la verità della scienza (scienza della natura, scienza medica, registrazioni e valutazione di informazioni geografiche o storiche) e non trova in sé motivo di compiacimento per aver acquisito nuova conoscenza. La verità che consegue Edipo nell’Edipo re o Agave nelle Baccanti è una verità che dà sofferenza, è una «infelice verità» la cui presenza si rivela molesta, come dice Cadmo parlando appunto con Agave (Eur. Bacch. 1287, con una accorata allocuzione alla verità stessa).
Inoltre il quadro dei procedimenti conoscitivi nella tragedia greca è complesso. Il dato dell’essere informato da chi sa (soprattutto il Messaggero) è banale. Ma ci sono procedimenti conoscitivi che si realizzano attraverso stati emotivi di ansia e paura, dimodoché si ha un pre-sentire l’evento futuro. L’esempio più insigne è costituito dal terzo stasimo dell’Agamennone, e in effetti questi procedimenti di presentimento si trovano soprattutto in Eschilo. Ma forme di ansia e di paura non sono estranee al Coro nemmeno in Sofocle e in Euripide. Però è significativo che la paura di Edipo sia solo raccontata da Giocasta nell’Edipo re (vv. 914-17). Per altro, il prendere cognizione della propria ansia o paura è esso stesso un dato che si inscrive nel modulo dell’acquisizione di consapevolezza. Ma è una consapevolezza turbata: è significativo il porre la presa d’atto della propria ansia sotto forma di domanda – essa stessa ansiosa – da parte del Coro nell’attacco del terzo stasimo dell’Agamennone.

Uccisione di Penteo. Affresco pompeiano, dalla Casa dei Vettii.

Considerando l’aspetto della consapevolezza nella sua specificità, e senza il coinvolgimento di risvolti emotivi, si possono individuare due tipi fondamentali di strutturazione del personaggio tragico (il problema si connette con quello più generale dello sviluppo o meno del personaggio tragico […]).
Ci può essere il personaggio che fin dal suo primo apparire sulla scena è del tutto consapevole della situazione entro cui si colloca, senza che a questo proposito il poeta tragico evidenzi un momento di passaggio, uno snodo da uno stato di inconsapevolezza (anche se solo relativa) a una situazione nuova caratterizzata da una piena e definitiva consapevolezza.
Ma si individua anche un tipo diverso di strutturazione del personaggio tragico: nel senso che l’acquisizione della piena consapevolezza viene a essere problematicizzata e si pone come termine di arrivo di un percorso.
Raro è invece il caso del personaggio tragico inconsapevole. […]

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