In uno Stato prosternato l’uomo saggio ha sempre occasione di manifestarsi (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. IX 5, 1-3)

Numquid potes invenire urbem miseriorem quam Atheniensium fuit, cum illam triginta tyranni divellerent? Mille trecentos cives, optimum quemque, occiderant, nec finem ideo faciebant, sed irritabat se ipsa saevitia. In qua civitate erat Areos pagos, religiosissimum iudicium, in qua senatus populusque senatui similis, coibat cotidie carnificum triste collegium et infelix curia tyrannis augusta. Poteratne illa civitas conquiescere, in qua tot tyranni erant quot satellites essent? Ne spes quidem ulla recipiendae libertatis animis poterat offerri, nec ulli remedio locus apparebat contra tantam vim malorum: unde enim miserae civitati tot Harmodios? Socrates tamen in medio erat, et lugentes patres consolabatur, et desperantes de re publica exhortabatur, et divitibus opes suas metuentibus exprobrabat seram periculosae avaritiae paenitentiam, et imitari volentibus magnum circumferebat exemplar, cum inter triginta dominos liber incederet. Hunc tamen Athenae ipsae in carcere occiderunt, et qui tuto insultaverat agmini tyrannorum, eius libertatem libertas non tulit: ut scias et in afflicta re publica esse occasionem sapienti viro ad se proferendum, et in florenti ac beata petulantium, invidiam, mille alia inertia vitia regnare.

Jean Francois Pierre Peyron, La morte di Socrate (1786-87).

Puoi forse trovare una città più infelice di quanto non fosse quella degli Ateniesi, quando trenta tiranni la dilaniavano? Avevano ucciso 1300 cittadini, tutti fra i migliori, e non mettevano fine a [questa] crudeltà, ma essa si eccitava da sé. In questa città esisteva l’Areopago: il tribunale più sacro, nel quale – un consiglio e una moltitudine in tutto simili al Senato – si adunavano ogni giorno quel crudele consesso di assassini e la funesta cricca, resa ancor più stretta dal numero dei tiranni. Poteva, dunque, trovare sollievo quella città, nella quale c’erano tanti tiranni quanti fossero i loro tirapiedi? Non poteva essere offerta nemmeno una qualche speranza di riconquistare la libertà d’animo, né sembrava esserci adito a qualche rimedio contro una siffatta mole di mali: per la misera città, da dove [sarebbero potuti venire] cotanti Armodi? Tuttavia, Socrate [se ne] stava nel mezzo: consolava i buleuti in lacrime, rincuorava quelli che si disperavano per lo Stato, biasimava i ricchi, che si preoccupavano [unicamente] dei propri beni, il troppo tardivo pentimento di una pericolosa avidità e andava in giro portando un grande esempio per coloro che volessero imitarlo, incedendo – lui, libero – in mezzo a trenta aguzzini! Ciononostante, proprio la stessa Atene lo uccise, in carcere, e la libertà politica non tollerò la libertà di parola di colui che, senza colpo ferire, aveva offeso una schiera di tiranni.
Ti sia chiaro che in uno Stato prosternato c’è [sempre] occasione di manifestarsi per l’uomo saggio, mentre [invece] in uno florido e ricco regnano la sfrontatezza, l’invidia e moltissimi altri torpidi difetti.

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