Properzio, Elegia I, 1 – Cinzia, primo amore

in F. Piazzi, A. Giordano Rampioni, Multa per aequora – Letteratura, antologia e autori della lingua latina, vol. 2: Augusto e la prima età imperiale, Bologna 2004, pp. 295-303.

L’elegia proemiale del Monòbiblos mette subito in primo piano la vicenda sentimentale del poeta, amante non corrisposto che cerca la liberazione dalla malattia d’amore. Ciò sembra contrastare con la consuetudine della poesia alessandrina, che assegnava alla prima composizione di una raccolta una funzione programmatica e metaletteraria (indicazioni riguardo alle scelte formali, al ruolo del poeta, al lettore privilegiato). Così il Liber di Catullo si apriva con una composizione, dedicata a Cornelio Nepote, che illuminava la poetica dell’autore. In realtà, neanche Properzio si sottrae alla convenzione: infatti, questa elegia fornisce tutta una serie di coordinate di poetica, implicitamente indica i modelli letterari, dichiara il legame con la tradizione neoterica (riallacciandosi all’alessandrinismo patetico e sentimentale di Meleagro, di cui è ripreso un epigramma nei vv. 4-5), dà le chiavi di lettura anche delle composizioni seguenti. Come in un’overture, sono qui polifonicamente condensati temi, motivi, topoi che, variati, ritorneranno in tutta la raccolta: l’amore come centro esclusivo di ogni interesse esistenziale del poeta; l’innamoramento causato dalla bellezza degli occhi (v.1); Eros lottatore invincibile (v.4) e, come nella poesia greca, astuto tessitore di trame (v.17); l’amore come furor (v.7), forza invincibile, malattia dell’animo (v.26) in conformità con l’ideologia elegiaca; la vita sbandata e “negativa” dell’amante non più illuminata dalla ragione (nullo uiuere consilio, v.6); l’amore come seruitium, disponibilità ad affrontare ogni tipo di labores pur di vincere la resistenza dell’amata (v.9); il pallore e la consunzione fisica come “indici figurali” dell’amore infelice; l’esperienza mitica – l’exemplum e contrario di Milanione – intesa come paradigma del vissuto (vv.9-18); i vari remedia amoris: il ricorso alla magia per fare innamorare la donna (vv.19-24), l’appello agli amici perché aiutino il poeta a guarire dalla passione disperata (vv.25-30), la commutatio loci o viaggio terapeutico in terre remote (v.29); l’ira dell’amante come segno della fine del seruitium amoris e la conquista della parrhesìa, cioè della libertà di parola prima negata allo schiavo d’amore (v.28); il topos del poeta praeceptor amoris che, guarito ormai dall’insana passione, dona consigli agli amici identificati con il pubblico della sua opera (vv.31-38). E poi c’è, emergente dall’intera composizione, la contraddizione già catulliana (Carmen 75) tra la convinzione che un amore così non meriti d’essere vissuto e la difficoltà, forse l’impossibilità, di porvi fine. C’è, come già in Catullo, il valore ideologico della passione amorosa, che crea un sistema di valori alternativo a quello tradizionale, in contrasto con la morale “benpensante” basata sulla priorità del negotium sull’otium, del matrimonio su un legame non regolato dalla legge: questo è evidente soprattutto nel v.5. Da questo punto di vista l’elegia proemiale si configura come una Priamel – schema retorico che opponeva il proprio all’altrui genere di vita (bios) – abbreviata e rovesciata. La topica dell’àristos bios (“la vita migliore”) riconduceva la varietà delle propensioni umane alle quattro classi seguenti: vita consacrata al potere, alla ricchezza, al piacere, alla sapienza. Nell’elegia properziana, la vita del saggio è esclusa (nullo uiuere consilio, v.6), quelle per il potere e la ricchezza sono unificate nel bios cui è destinato il dedicatario Tullo. Rimane la vita per il piacere (philènos bios), che sembrerebbe la più congeniale alle propensioni naturali del poeta, anche se, in base al codice elegiaco, questo piacere si traduce in infelicità (v.1, miserum me), passione devastante (v.7, furor), malattia (v.26, non sani pectoris), mentre l’oggetto del desiderio si rivela essere un male (v.35, malum). La rassegna delle forme di vita altrui (Lebensbilder) contrapposte alla propria ricorre in altri luoghi della poesia properziana, ad esempio in II 1, 43 ss: «Il marinaio narra dei venti, il contadino dei tori, / il soldato conta il numero delle ferite, il pastore delle pecore; / io invece canto le lotte combattute in un angusto letto: / ognuno consumi il giorno nell’arte che conosce» (trad. it. L. Canali).

 

     Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,

contactum nullis ante cupidinibus[1].

tum mihi constantis deiecit lumina fastus

et caput impositis pressit Amor pedibus,

5   donec me docuit castas odisse puellas

improbus, et nullo uiuere consilio[2].

et mihi iam toto furor hic non deficit anno,

cum tamen aduersos cogor habere deos[3].

Milanion nullos fugiendo, Tulle, labores

10 saeuitiam durae contudit Iasidos[4].

nam modo Partheniis amens errabat in antris,

ibat et hirsutas ille uidere feras[5];

ille etiam Hylaei percussus uulnere rami

saucius Arcadiis rupibus ingemuit.

15 ergo uelocem potuit domuisse puellam:

tantum in amore preces et bene facta ualent[6].

in me tardus Amor[7] non ullas cogitat artis,

nec meminit notas, ut prius, ire uias.

at uos, deductae quibus est fallacia lunae

20 et labor in magicis sacra piare focis,

en agedum dominae mentem conuertite nostrae,

et facite illa meo palleat ore magis[8]!

tunc ego crediderim uobis et sidera et amnis

posse Cytaeines ducere carminibus[9].

25 et uos, qui sero lapsum reuocatis, amici,

quaerite non sani pectoris auxilia[10].

fortiter et ferrum saeuos patiemur et ignis,

sit modo libertas quae uelit ira loqui[11].

ferte per extremas gentis et ferte per undas,

30 qua non ulla meum femina norit iter:

uos remanete, quibus facili deus annuit aure,

sitis et in tuto semper amore pares[12].

in me nostra Venus[13] noctes exercet amaras,

et nullo uacuus tempore defit Amor.

35 hoc, moneo, uitate malum: sua quemque moretur

cura, neque assueto mutet amore locum.

quod si quis monitis tardas aduerterit auris,

heu referet quanto uerba dolore mea![14]

 

Pinax degli sposi. Affresco parietale, fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C., dall’ambiente 3 della Domus del Lararium, Assisi.

 

Cinzia, per prima ha fatto prigioniero me, sventurato, coi suoi occhi,

io che mai prima ero stato toccato dalla passione.

Da allora Amore mi fece abbassare gli occhi ostinatamente alteri

e mi calcò il capo, premendovi sopra i piedi

finché m’insegnò, crudele (qual è), a detestare le fanciulle perbene

e a condurre una vita senza senno.

E già da un anno intero questa follia non m’abbandona,

mentre sono costretto ad avere gli dèi avversi.

Milanione, accettando ogni prova, o Tullo

piegò la crudeltà dell’insensibile Iaside.

Infatti, ora si aggirava fuori di sé per le grotte del Partenio,

ora andava a scovare le fiere irsute;

anche lui, colpito dalla clava di Ileo,

ferito, rivolse il suo lamento alle rupi d’Arcadia.

Così poté domare la rapida fanciulla:

tanto in amore valgono le preghiere e le buone azioni.

Nel mio caso, invece, l’Amore pigro non riesce ad escogitare espedienti,

e non si ricorda di percorrere, come prima, le note vie.

Ma voi, che fate credere di aver tirato giù la luna,

e vi affannate a compiere riti propiziatori su magici altari,

suvvia, cambiate i sentimenti della mia donna

e fate che il suo viso impallidisca più del mio!

Allora io potrei credere che poi possiate indirizzare il corso

degli astri e dei fiumi con incantesimi della Cytea.

E voi, amici, che troppo tardi richiamate indietro chi è caduto,

cercate dei rimedi per il mio cuore malato.

Sopporterò con coraggio sia il bisturi sia le crudeli cauterizzazioni,

purché io abbia la libertà di dire ciò che l’ira mi suggerisce.

Portatemi fra genti e mari remoti,

dove nessuna donna conosca il mio cammino:

voi, a cui il dio annuì con orecchio benevolo, restate

e siate sempre concordi in amore tranquillo.

Quanto a me, la mia Venere agita le mie notti amare,

e Amore non mi lascia neppure per un momento.

Vi avverto, evitate questo male: ciascuno resti fedele

alla propria amata né si allontani dal suo consueto amore.

Ché se qualcuno troppo tardi presterà attenzione ai miei ammonimenti,

con quanto dolore, ahimé, ricorderà le mie parole!

(trad. it. F. Cerato)

 

Scena erotica. Mosaico, I sec. d.C. da Centocelle. Berlin, Kunsthistorisches Museum.

 

L’elegia I 1 e l’epigramma di Meleagro

 

Come abbiamo accennato sopra, ha un carattere programmatico la citazione, fatta fin dai primi versi, di un epigramma di Meleagro di Gadara, autore prediletto dai neoteroi e da Catullo, ed espressione dell’alessandrinismo più tipico. Scrive A. La Penna: «Properzio implicitamente dichiara il suo legame con la tradizione neoterica e mostra al suo pubblico dotto di saper utilizzare anche l’alessandrinismo più aggiornato e moderno. Tuttavia, egli cerca di piegare la grazia dell’epigrammista verso un pathos più vigoroso e più alto»[15].

 

 

τόν με Πόθοις ἄτρωτον ὑπὸ στέρνοισι Μυΐσκος

ὄμμασι τοξεύσας, τοῦτ᾽ ἐβόησεν ἔπος·

“τὸν θρασὺν εἷλον ἐγώ· τὸ δ᾽ ἐπ᾽ ὀφρύσι κεῖνο φρύαγμα

σκηπτροφόρου σοφίας ἠνίδε ποσσὶ πατῶ”.

τῷ δ᾽, ὅσον ἀμπνεύσας, τόδ᾽ ἔφην

“φίλε κοῦρε, τί θαμβεῖς;

καὐτὸν ἀπ᾽ Οὐλύμπου Ζῆνα καθεῖλεν Ἔρως”.

 

Il mio petto non era stato ancora ferito dai desideri.

Fu Musco a colpirlo con gli strali degli occhi, e gridava:

«Ho catturato l’audace! Ecco: calpesto coi piedi

il suo orgoglio di sapientone austero».

E io, ripreso fiato un istante: «Di che ti stupisci, caro ragazzo?

Eros ha cacciato anche Zeus giù dall’Olimpo»[16].

 

Pittore del Bacio (attribuito). Scena erotica. Pittura vascolare dal frammento di una kylix attica a figure rosse, 450 a.C. ca. New York, Metropolitan Museum of Art.

 

La differenza con il testo properziano è soprattutto nella chiusa arguta (la pointe epigrammatica), dove la constatazione che perfino Zeus è stato vinto da Eros sdrammatizza la situazione dell’amante non corrisposto. In tal modo l’assenza di reciprocità in amore è presentata come una condizione normale. Invece, l’elegia properziana assume toni di grande drammaticità. Al dialogo subentra la confessione dolente fatta dall’io lirico del poeta, che fin dal primo verso comunica la propria irrimediabile infelicità (v.1, miserum me). Anche l’adozione del mito di Milanione, che ha un esito opposto a quello della vicenda di Properzio, e l’apostrofe agli innamorati felici esaltano, isolandola, la disperazione del poeta. La differenza di tono tra le due composizioni implica il «carattere accessorio» (E. Lefèvre) dell’elemento greco, che certo non ha determinato la genesi dell’elegia, ma deve considerarsi solo un «motto», un motivo di decorazione, un élément de culture, come è possibile osservare anche in Orazio.

 

Lingua e antropologia

 

Secondo S. Alfonso, nell’elegia I 1 alcune scelte lessicali rendono con precisione il senso della caduta morale e sociale di Properzio. Prima di cedere al servitium amoris egli era un fortis civis, come si deduce dal v.3 (tum mihi constantis deiecit lumina fastus), cioè possedeva la constantia, la saldezza di chi non si lascia scuotere dagli eventi. Si tratta di una virtù eminentemente romana, associabile alla saggezza (cfr. Cic. Off. I 40: fortis… animi et constantis est non perturbari) e nel campo amoroso congiunta alla fides (cfr. Prop. II 26, 27: multum in amore fides, multum constantia prodest). Dopo l’incontro con Cinzia la situazione di partenza si rovescia: alla constantia subentra il furor, cioè il suo contrario (cfr. Sall. Cat. II 25: hinc constantia, illinc furor [la prima attribuita agli ottimati, il secondo ai catilinari]). Il primitivo orgoglio – reso dal termine fastus usato metaforicamente (cfr. Verg. Aen. III 326-327: stirpis Achilleae fastus iuuenemque superbum / tulimus) e da lumina indicante lo sguardo balenante e baldanzoso – è piegato dagli ocellis seducenti di Cinzia. La quale, nell’azione della cattura (v.1, cepit), cede il posto ad Amore, con questo in parte identificandosi. Infatti, «la posizione posticipata di Amor induce a considerare Cynthia come soggetto non solo di cepit, ma anche di deiecit e di pressit, sino al momento in cui viene menzionato il vero soggetto»[17]. Il senso della caduta fatale dall’elevata condizione originaria è bene espresso da deicere (Th.L.L.: «deorsum iacere, praecipitare, de superiore loco detrudere») che, unito a lumina, significa imporre all’avversario l’abbassamento dello sguardo, segno trasparente di sottomissione. Anche nell’elegia I 13 l’innamoramento si traduce, in questo caso non per Properzio ma per Gallo, in una caduta che non consente di praeteritos… succedere fastus («risalire alla primitiva baldanza»).

 

Scena erotica. Affresco parietale, ante 79 d.C., dalla Casa del Ristorante. Pompei, Parco Archeologico.

 

Chi era Cinzia?

 

Properzio non la descrive con precisione. Solo ne delinea i tratti salienti della figura e l’incedere maestoso: II 2, 3, fulua coma est longaeque manus et maxima toto / corpore et incedit uel Ioue digna soror («Ha fulva la chioma, lunghe le braccia, grande  / la persona, e incede quasi sorella degna di Giove», trad. it. L. Canali). Accenna agli occhi neri e alle movenze sensuali (II 12, 23-24: lumina nigra… / molliter ire), alla toilette minuziosa (I 15, 5 ss. «puoi ravviare con le mani i capelli pur ieri acconciati, / studiare il tuo volto con lungo indugio, / adornare il petto con gemme orientali…»), al trucco esotico dernier cri che prevedeva tatuaggi azzurri alla moda britannica e parrucche bionde: II 18, 23, «Ora, o dissennata, imiti anche i Britanni con il volto dipinto / e ti diverti a colorare i capelli d’uno splendore / straniero?». Frequenti sono i cenni all’esuberanza sessuale: I 2, 13, «lotta nuda con me, strappata la tunica»; II 15, 4 ss., «quante battaglie d’amore abbiamo ingaggiato, / allontanato il lume. Infatti, ella ora lottava con me / a seni nudi, ora indugiava a lungo coperta dalla tunica […] / come abbiamo intrecciato le braccia in diverse forme d’amplesso!». Cinzia è anche colta, gareggia in poesia con Corinna, maestra di Pindaro, danza come Arianna, suona la lira: II 3, 16 ss., «Ella danza leggiadramente, portato il vino, pari ad Arianna… / tenta i carmi con il plettro eolio, / è dotta al pari delle Muse nell’accordarli alla lira / … compete con gli scritti dell’antica Corinna». Le doti di fascino, sensualità, raffinatezza richiamano la Lesbia di Catullo e la Sempronia di un celebre ritratto di Sallustio. Ma secondo A. La Penna[18], Cinzia non è confrontabile con queste aristocratiche simili a cortigiane per i loro costumi disinibiti, ma che non dovevano guadagnarsi da vivere. Cinzia doveva essere mantenuta per soddisfare i suoi lussi e capricci, e quindi avere degli amanti, che Properzio in un “canto della gelosia” le attribuisce in numero superiore a quello dei frequentatori delle cortigiane famose: II 6, 1 ss., «Non a tal punto riempivano la casa di Laide… / né tanto numerosa un tempo fu la turba / di Taide con la quale si trastullò il popolo ateniese / né trasse intenso piacere da tanti uomini Frine». Cinzia non doveva essere proprio una prostituta (meretrix), ma una cortigiana di alto bordo (amica), qualcosa di simile alle cortigiane colte del Rinascimento. Che fosse di ceto sociale inferiore a quello di Properzio lo dimostra l’elegia II 7, nella quale i due amanti esultano per il ritiro, da parte di Augusto, di una legge matrimoniale che avrebbe costretto il poeta a sposare Cinzia, e quindi a lasciarla. Infatti, non poteva prendere in moglie legalmente una donna di rango sociale più basso, probabilmente una liberta (e certamente liberte erano anche la donna cantata da Gallo e le donne di Tibullo, Delia e Nemesi). Ma c’è anche chi suppone che Cinzia fosse una matrona scostumata (come Lesbia) con la quale il poeta avrebbe avuto una relazione adulterina e c’è perfino chi ne nega l’esistenza.

 

Scena di amplesso (symplegma) fra una prostituta e il cliente. Statua, marmo, I sec. d.C. Monaco, Glyptothek.

 

Note:

[1] vv. 1-2, Cynthia… cupidinibus: la menzione in incipit di Cinzia, referente principale della poesia di Properzio, funge da senhal, parola che nella lirica provenzale indica il nome fittizio della persona amata o il tema dominante dell’opera. La centralità di Cinzia è rafforzata dalla collocazione di ocellis (i begli occhi della donna) in excipit, altra posizione forte dopo quella iniziale. Così Cinzia è emblematicamente all’inizio e alla fine del primo verso (quello che nella poesia antica conferiva la massima memorabilità, al punto da divenire, come in questo caso, il titolo dell’opera). Cinzia è inizio e fine, come Properzio dirà in I 12, 9: Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit. Lo pseudonimo Cynthia è da collegare (come anche la Delia di Tibullo), attraverso il monte Cinto sull’isola di Delo, ad Apollo e alla poesia. Apuleio svela la convenzione letteraria: «Catullo cantò Lesbia invece di Clodia… Properzio celò Ostia col nome di Cinzia, Tibullo cantò in versi Delia, ma nel cuore aveva Plania» (Apol. 10). Questi pseudonimi miravano a «proiettare le protagoniste della vita galante romana sullo sfondo greco del mito e della letteratura» (Labate). prima… ocellis: prima (predicativo) non indica che Cinzia fu la prima relazione amorosa in senso assoluto, ma il primo (e l’ultimo) vero amore; ocellus, diminutivo di oculus con forte valore affettivo, piuttosto che riduttivo (cfr. Cat. 3, 18: flendo…rubent ocelli), implica anche una capacità subdola di seduzione, una leggiadria apparentemente inoffensiva; cfr. Prop. I 15: …ocellis, / per quos saepe mihi credita tua perfidia est («gli occhi per i quali ho spesso creduto alla tua perfidia»); II 26, 13: quod si tuos uidisset Glaucus ocellos, / esses Ionii facta puella maris («Se Glauco avesse visto i tuoi occhi, saresti divenuta ninfa del mare Ionio»). L’innamoramento che nasce dalla bellezza degli occhi è in Omero (Il. XIV 294 – Zeus, vedendo Era sul monte Ida, avverte lo stesso sentimento d’amore provato nella prima unione), in Saffo (fr. 31 V.), è teorizzato in Platone (Phaedr. 251a) e sarà un topos della lirica amorosa europea, stilnovistica in particolare (vd. ad es. G. Cavalcanti, Voi che per li occhi mi passaste ‘l core). suis… ocellis: iperbato a cornice; l’arma (gli occhi di Cinzia) iconicamente e graficamente imprigiona la vittima, miserum me, che è condizione topica, nella poesia elegiaca, dell’amante, il quale spesso si autocompiange per un amore infelice; cfr. Cat. 8, 1: Miser Catulle, desinas ineptire. cepit: l’irretimento amoroso è reso graficamente dall’iperbato che chiude la frase; l’amore è assimilato alla guerra, l’amante al soldato. L’idea della milita amoris implica una visione dell’amore come sentimento conflittuale e violento e giustifica il vasto repertorio di metafore militari comuni nella poesia elegiaca. Ma il topos era già presente nella lirica greca sia ellenistica sia arcaica. contactum… cupidinibus: contactum, da contingere, significa «colpito, ferito» (cfr. Th.L.L. contingere: «telo apprehendere») dalle frecce di Cupido, al quale può alludere cupidinibus. Ma potrebbe anche significare «contagiato» (Th.L.L.: «inficere, contaminare») dato il valore negativo di morbus devastante che la passione amorosa assume agli occhi di Properzio. Ma le due interpretazioni, l’amore come ferita e l’amore come malattia, non si escludono a vicenda. cupidinibus: è difficile stabilire se vada scritto con l’iniziale maiuscola, riconoscendo nelle Cupidines, la personificazione degli Amorini (Erotes), armati di frecce, della tradizione ellenistica (cfr. cfr. Cat. 3, 1: Iugete, Veneres Cupidinesque) – nel qual caso andrebbe inteso come dativo d’agente – oppure se il termine indichi invece il concetto astratto della passione amorosa. Del resto, nell’elegia II 29 una turba di Amorini, che dichiara di essere stata assoldata da Cinzia, circonda Properzio ubriaco, minacciandolo di sottoporlo ad atroci sevizie per la sua infedeltà.

 

Amorino guerriero. Mosaico, III sec. d.C. Pafo, Casa di Perseo.

 

[2] vv. 3-6, tum… consilio. constantis… fastus, genitivo di qualità, indica la perduta fierezza del vinto; fastus prima che «sontuosità» significa «orgoglio», «disprezzo» (cfr. fastidium e fastidire): è il termine tecnico della poesia erotica e indica la durezza d’animo, lo sguardo fermo e sprezzante di chi non è stato assoggettato al potere di Amore. L’abbassarsi degli occhi esprime soggezione, ma anche impossibilità di incontrare lo sguardo dell’amata, quindi assenza di reciprocità amorosa. et caput… pedibus: come il gladiatore o il soldato vincitore sull’avversario; cfr. Verg. Aen. X 495: laeuo pressit pede, dove Turno infierisce sul vinto Pallante. Ancora una metafora bellica, questa volta per indicare la guerra tra l’innamorato e Amore, dio terribile possessore di armi infallibili. Di fronte allo strapotere del dio, chi ama è destinato a soccombere. È questo il topos, comune nella poesia erotica alessandrina, di Eros lottatore. I vv.4-5 imitano, come si è accennato nell’introduzione, un epigramma di Meleagro, un autore prediletto dai neoteroi e da Catullo. donec… consilio: è qui presente il topos ellenistico dell’éros didáskalos («Amore che insegna»); cfr. Verg. Buc. VIII 47-48: saeuus Amor docuit natorum sanguine matrem / commaculare manus («il feroce Amore insegnò alla madre a macchiare le mani col sangue dei figli»). Ma il contenuto dell’insegnamento non è chiaro e le interpretazioni sono almeno due: l’amore per Cinzia, donna libera e spregiudicata, induce il poeta a una vita disperata precludendogli il matrimonio con una ragazza seria e di buona famiglia; oppure, il poeta ha imparato a odiare le ragazze sorde all’amore e inaccessibili come Cinzia (dando a castas il senso di «dure, restie»). Ma, considerando che Cinzia doveva essere una cortigiana, anche se di alto bordo, risulta più convincente la prima interpretazione: «Scegliendo l’elegia d’amore, il poeta sceglie l’isolamento nell’universo elegiaco e la schiavitù d’amore, che comporta l’abbandono del decoro sociale, la rinuncia a una carriera, per una vita socialmente inattiva e sterile, la nequitia» (Gazich). nullo… consilio: l’iperbato accresce il pathos dell’espressione. La sconsideratezza può consistere, a seconda del senso dato a castas puellas, nel detestare le fanciulle virtuose o nel fissarsi su un amore non corrisposto. Si tratta comunque di una condizione disperata, come si ricava dal richiamo fatto subito dopo al mito di Milanione. Lachman interpretava nullo uiuere consilio come un periodo di sfrenatezza sessuale. D’altro avviso è Fedeli: «Nullo uiuere consilio significa vivere sine ratione e rappresenta uno stato d’animo analogo all’amentia (v.11) di Milanione».

[3] vv. 7-8, et… deos. Furor, contrapposto a consilium precedente, è l’amore-passione che toglie il senno. È il topos, comune alla poesia erotica ellenistica, dell’amore come male della mente (furor, insania); cfr. Verg. Buc. X 60: haec sit nostri medicina furoris (riferito a Cornelio Gallo). Ma furor è una condizione che implica l’emarginazione e la pericolosità sociale. In Tusc. III 11, Cicerone chiarisce che nei confronti di chi è in preda al furor si prendevano provvedimenti drastici (come l’interdizione dall’uso del patrimonio personale) non previsti per l’insania, cioè la moderata follia congiunta a stoltezza. Dunque, chi è in preda al furor amoroso è anche posto ai margini della società e privato della dignità di civis. cum… deos: la proposizione avversativa si giustifica col fatto che il poeta, proprio per l’intensità e sincerità del suo amore, si attenderebbe di godere del favore degli dei, cioè di essere ricambiato da Cinzia. In realtà, la condizione di furor in cui il poeta si trova lo pone in una condizione di miseria che implica la contrarietà degli dei, cfr. Cat. 76, 11-12: quin tu animo offirmas atque istinc teque reducis / et dis inuitis desinis esse miser? cogor: esprime lo stato di soggezione in cui Amore ha ridotto il poeta, ma anche «la consapevolezza che la situazione in cui si è cacciato lo porta ad avere gli dei aduersi» (S. Alfonso).

[4] vv. 9-10, Milanion… Iasidos: come di consueto, Properzio confronta la propria esperienza con quella di un personaggio mitico, per sublimarla rendendola paradigmatica. Con gusto alessandrino, trasceglie la versione meno nota (quella arcade) del mito: Milanione difende Atalanta, vergine cacciatrice, figlia di Iaso, dalla violenza dei centauri Reto e Ilèo, restando ferito da una freccia di quest’ultimo e riuscendo, infine, a conquistare l’amore della fanciulla. Secondo la versione beotica (la più nota) del mito, Atalanta, contraria alle nozze, sfida alla corsa i pretendenti, promettendosi al vincitore. È vinta da Ippòmene che, durante la gara, getta in terra delle mele d’oro che la fanciulla si attarda a raccogliere. Naturalmente il parallelismo tra il poeta e Milanione è solo parziale, perché il primo consegue l’oggetto del desiderio, il secondo rimane inappagato. Le analogie tra Cinzia e Atalanta riguardano la duritia e «l’atteggiamento che infrange le regole di comportamento del personaggio femminile, perché è la donna a dominare sull’uomo e ad imporre le sue leggi» (S. Alfonso). nullos… labores: è un altro topos della poesia erotica; l’innamorato è pronto ad affrontare ogni travaglio pur di vincere la ritrosia dell’amata. Tulle: amico di Properzio, nipote di Volcacio Tullo (cos. 33 a.C. insieme con Ottaviano Augusto) e dedicatario del monòbiblos. A lui il poeta si rivolge altre volte nel corso dell’opera (I 6; I 14; I 22). saeuitiam: è sempre, nella poesia erotica, la crudeltà di chi disdegna l’amore (cfr. Hor. Carm. II 12, 26): Properzio, che sopporta pene non inferiori a quelle sofferte da Milanione, non riesce, tuttavia, a conquistare Cinzia, che si rivela più dura di Atalanta.

 

Nicolas Colombel, Atalanta e Ippomene. Olio su tela, 1680

 

[5] vv. 11-12, nam…feras: versi tormentati, che spiegano (nam) quali fossero i labores affrontati da Milanione con devozione eroica. La difficoltà è nella correlazione non usuale modo…et (invece di modo… modo, «ora… ora»). Si è ipotizzata la perdita, tra questi versi, di un distico che contenesse un secondo membro ugualmente introdotto da modo. La traduzione possibile con questo testo è: «Infatti ora si aggirava fuori di sé nelle grotte del Partenio e andava a scovare le fiere irsute». Il Partenio è un monte dell’Arcadia, coerentemente con l’adozione della versione arcadica del mito. Su questo monte, Iaso aveva fatto esporre Atalanta; il fatto che tale circostanza non venga chiarita prima solleva ulteriori dubbi sull’integrità del testo. amens, parola chiave della poesia erotica, riprende il tema del furore amoroso richiamando la condizione del poeta, che da quando ha conosciuto Cinzia trascorre la vita nullo consilio (v.6). L’aggettivazione favorisce l’identificazione del poeta con l’exemplum mythicum: «quanto maggiore sarà l’analogia tra i due innamorati, tanto più sorprendente risulterà l’esito rovesciato dell’esperienza properziana» (P. Fedeli).

[6] vv. 15-16, ergo… ualent: ergo evidenzia, come il nam del v.11, il legame esistente tra i servigi resi ad Atalanta e il premio ottenuto (l’amore della donna), implicitamente rilevando l’iniquità della sorte toccata al poeta, per il quale solo non pare valere il nesso tra benefacta e ricompensa. La contrapposizione tra i due destini è espressa in modo esplicito nei versi successivi. Come spesso nell’elegia il mito è un termine di confronto con l’esperienza personale del poeta. Però, in questo caso, il confronto non è per analogia, ma per contrasto, per antitesi: Atalanta cede, Cinzia invece resiste (exemplum e contrario). tantum… ualent: verso d’intonazione gnomica che sintetizza una “legge” dell’amore, che però non vale per Cinzia.

[7] v. 17, in me: segna il passaggio dall’exemplum mitologico alla sfera personale. Fedeli ha notato «la complessità strutturale del carme il cui focus narrativo si sposta da una condizione di carattere generale alla condizione personale del poeta innamorato». tardus Amor: solo per il poeta Amore è “pigro” e non sa trovare un mezzo per fare innamorare Cinzia. Eppure, è un dio velocissimo e alato, che solitamente scocca dardi fulminei. È qui rovesciato il topos ellenistico della tempestività di Amore.

[8] vv. 19-22, at uos… magis! Il poeta supplica le maghe che facciano innamorare Cinzia. la forma dell’apostrofe è quella della preghiera: invocazione con indicazione delle prerogative magiche (vv.19-20), richiesta d’aiuto (vv.21-22), promessa di ricompensa (vv.23-24). Il ricorso alla magia è un topos della poesia erotica greca e latina. Secondo S. Alfonso, la ricerca di remedia esterni spiega il diverso esito della vicenda del poeta rispetto a quella di Milanione. Mentre l’amentia di questo è congiunta all’audacia, Properzio non trova in se stesso la constantia e l’ardire necessari. quibus… lunae: il poeta non sembra credere troppo in questa capacità soprannaturale, spesso indicata tra le prerogative delle maghe (cfr. Verg. Buc. VIII 69: carmina [«le formule magiche»] uel caelo possunt diripere lunam). In particolare, le maghe tessale godevano di tale fama (Apul. Met. I 3). La sua pare piuttosto una sfida: se davvero sanno prodursi in una performance tanto spettacolare, allora facciano anche innamorare Cinzia. Inoltre, la disperazione giustifica il ricorso a questo estremo rimedio, tema caro agli alessandrini. facite… magis: dato che il pallore è sintomo dell’innamoramento (cfr. Ovid. Ars am. I 729: palleat omnis amans: hic est color aptus amanti), Properzio prega che Cinzia s’innamori di lui più perdutamente di quanto lui ama lei. Il trascolorare del viso come «indice figurale» dell’innamoramento è riscontrabile nella poesia erotica alessandrina, nella commedia latina e greca, e già Saffo scriveva: «sono più verde dell’erba».

 

Fattucchiera e due donne. Mosaico, ante 79 d.C. Pompei, Villa di Cicerone. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

 

[9] vv. 23-24, tunc… carminibus; et sidera et amnis… ducere: sono alcuni degli exploits spettacolari tradizionalmente attribuiti alle streghe. Cfr. Apul. Met. I 8: Saga… potens… fontes durare… sidera extinguere («Una strega capace di rendere di sasso i corsi d’acqua e di spegnere le stelle»). Si noti l’ironia del polisindeto (et… et…). Cytaeines: «la donna di Cytae». Cytae, in Colchide sul Mar Nero, è la città di Medea, maga per eccellenza ed esperta di ogni farmaco (panphàrmakos). Figlia di Eeta, re di Colchide, aiuta Giasone a conquistare il vello d’oro e lo segue lasciando la patria e il padre. Come narra Euripide nella tragedia Medea, ella è abbandonata dall’eroe, che intende sposare Glauce, figlia del re di Corinto. La vendetta di Medea consisterà nell’uccidere la futura sposa con una veste preziosa che uccide chi la tocca. Poi fugge sul carro del sole (e questo particolare del mito spiega la connessione della figura di Medea con il culto di Helios). Di Medea Apollonio Rodio nelle Argonautiche scrive: «ferma le acque dei fiumi… incanta le stelle» (III 532). Anche Tibullo la ricorda: «si dice che lei sola abbia le erbe malefiche di Medea» (Eleg. I 2, 53).

[10] vv. 25-26, et uos… auxilia: la richiesta fatta dall’amante infelice agli amici, perché lo aiutino a guarire dal male d’amore è un topos della poesia erotica, ma qui sembra logicamente incompatibile con il precedente appello, rivolto alle maghe, di fare innamorare Cinzia; o si prega di essere ricambiati o s’invoca la liberazione. Per rendere alternative le due richieste, si è pensato di correggere il tràdito et con aut. A meno di non considerare la preghiera alle maghe come una sorta di adynaton, cioè come la richiesta di una grazia considerata impossibile (Labate).

[11] vv. 27-28, fortiter… loqui. Le cauterizzazioni (saeuos igni) e le incisioni praticate col bisturi (ferrum) nella scienza medica rinviano ancora alla metafora della malattia d’amore (non sani pectoris, v.26), per guarire la quale occorrono interventi radicali e dolorosi. Cfr. Ovid. Rem. Am. 229 ss.: ferrum patieris et ignes. La sintassi spezzata rende la concitazione dell’animo. Inoltre, ferro e fuoco sono comuni metafore della passione nella poesia amorosa. libertas… loqui: libertas loquendi; la riconquista della libertà d’espressione propria di un uomo libero (parrhesìa), finora repressa dalla domina, segna la fine del servitium amoris. Anche questo è un topos della poesia erotica.

[12] vv. 29-32, ferte… pares. L’iterazione dell’imperativo ferte esprime l’abbandono fiducioso nelle mani degli amici, ma anche l’urgenza di attuare tale remedium. È la variante amorosa del topos della commutatio loci (mutamento di luogo per curare i mali dell’animo); cfr. Cic. Tusc. IV 77: loci… mutatione tamquam aegroti non conualescentes saepe curandum est («bisogna curarlo con cambiamenti di luogo, come si fa con i malati che non si rimettono»). Nella poesia erotica, è spesso unito al topos dell’amicizia come disponibilità ad accompagnare in capo al mondo l’amico malato d’amore; cfr. Cat. 11 e, per la vastità degli spazi, 101, 1: multas per gentes et multa per aequora uectus. La “terapia” è codificata anche da Ov. Rem. am. 214: i procul et longas carpere perge uias. Anche nell’elegia III 21 Properzio esprime l’intenzione di partire per Atene per liberarsi dell’amore, definito grauis e turpis. ferte… ferte: più espressivo di ducite, rende l’idea del corpo inerte e senza più volontà, che gli amici devono trasportare quasi materialmente sollevandolo. L’anafora esprime il senso della gravità del male e dell’urgenza dell’intervento. La determinazione dell’innamorato a liberarsi dal giogo del servitium amoris è un motivo ricorrente nell’elegia. qua… iter: il risentimento per Cinzia si estende iperbolicamente a tutte le donne. Si noti il quasi dispregiativo feminae: per gli elegiaci le altre donne sono solo feminae, mentre la loro donna è domina o, più affettuosamente, puella. L’iperbato meum… iter prolunga la distanza che Properzio intende frapporre tra sé e le donne del mondo. uos… pares: il poeta ora si rivolge agli amanti fortunati in genere.

 

John William Waterhouse, Giasone e Medea. Olio su tela, 1907.

 

[13] v. 33, nostra Venus ha avuto varie interpretazioni: «Venere nostra signora» (di tutti gli amanti, felici e infelici); «la mia Venere» (ben diversa dalla Venere degli amanti fortunati); «la mia dea» (cioè Cinzia). La seconda sembra essere la più convincente, perché s’intona con il sentimento vittimistico di dolorosa diversità espresso nei versi precedenti.

[14] vv. 35-38, hoc…mea: la fine dell’elegia rispecchia la condizione attuale del poeta che, ormai guarito dall’insana passione, è generoso di insegnamenti agli amici. Egli ammonisce gli innamorati fortunati a rimanere accanto alla loro donna, se non vogliono soffrire come lui. La conclusione didascalica non è estranea alla natura gnomica originaria dell’elegia e ricalca il motivo, comune nella poesia erotica, del poeta praeceptor amoris. L’apostrofe ai giovani amanti definisce il tipo di pubblico: «Properzio pensa ai giovani innamorati e sa bene che solo conquistando il loro favore riuscirà ad assicurare la giusta lode ai propri carmi. Ciò è evidente in particolare in I 7, 23-24: “… allora / avrò il mio posto tra i talenti di Roma; i giovani / sul mio sepolcro non potranno non dire: ‘Sei qui / grande poeta della nostra passione’”» (P. Fedeli).

[15] A. La Penna, L’integrazione difficile, Torino 1997, p. 125.

[16] Anth. Pal. XII 101, trad. it. G. Guidorizzi.

[17] S. Alfonso, Cinzia, gli occhi, la cattura del poeta. Properzio I 1 e la svolta d’amore, Aufidus 10 (1990), pp. 19-51.

[18] A. La Penna, op. cit., Torino 1977, p. 18.

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