La battaglia di Pollenzo

di F. Lamendola, Stilicone e la crisi dell’Occidente (398-408 d.C.).

Nessun imperatore romano, fino a quel momento, si era mai trovato assediato nella propria capitale da un’orda di barbari, e uno solo, in tutta la lunghissima storia dell’Impero – Valeriano – era stato fatto prigioniero nel corso di un’azione bellica. La resistenza di Milano si fondava unicamente sulla speranza dei soccorsi: se Stilicone avesse tardato, tutto sarebbe stato perduto, e la corte avrebbe dovuto cedere e supplicare la pace da un nemico vittorioso e arrogante. Giorno e notte, soldati e abitanti scrutavano l’orizzonte, dall’alto delle mura, in direzione della catena alpina. Finalmente, dopo un’attesa sempre più ansiosa, un denso polverone annunciò l’avvicinarsi di un grosso esercito. Tutta la popolazione, si può dire, era salita sugli spalti e sulle torri per rendersi conto di chi si trattasse. Finalmente, alla testa di quelle schiere apparve Stilicone, e un coro di esultanza corse di bocca in bocca lungo le mura della città assediata. Mentre i Visigoti, sbigottiti, toglievano in fretta il campo e si ritiravano verso Occidente, Onorio alla testa dei suoi cortigiani e del popolo esultante uscì fuori dalla porta, per accogliere personalmente il suo liberatore (Claud., Bell. Got., 453-62).

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Flavio Stilicone, la moglie Serena e il figlio Eucherio. Dittico, avorio, 395 d.C. ca. Monza, Cattedrale.

 

La fine dell’assedio di Milano impresse un carattere più risoluto alla guerra, che si era trascinata per mesi in un assedio inconcludente e in una serie di facili scorrerie di bande barbariche intente al saccheggio. Rifiutando la battaglia in campo aperto, Alarico attraversò il Ticino, lasciò da parte la munita piazzaforte di Pavia e superò l’ampio corso del Po, sempre marciando a Occidente. Così come è incerta la cronologia (e, almeno in parte, la topografia) di questi avvenimenti, altrettanto lo sono i propositi del re dei Visigoti durante la sua ritirata da Milano. Sperava forse di aprirsi il valico del Monginevro, per passare in Gallia col suo popolo, alla ricerca di una sede definitiva? E’ probabile che, mentre le operazioni erano in corso e Stilicone tallonava prudentemente i Visigoti, delle trattative siano state aperte fra la corte di Onorio e il re goto. Su quali basi? Giordane afferma addirittura che Alarico avrebbe chiesto all’imperatore il permesso di stabilirsi col suo popolo nella penisola italiana (Get.,XXX), ma la sua testimonianza è totalmente destituita di credibilità. Il re dei Visigoti trattò forse lo stanziamento, col titolo di foederatus, in qualche regione della Gallia, come poi effettivamente avvenne sotto il suo successore Ataulfo, e, in maniera definitiva, con Wallia, nel 418? Non lo sappiamo, tuttavia è probabile che, se delle trattative vi furono, queste sarebbero state protratte da Stilicone al solo e vero scopo di guadagnar tempo, fintanto che i lontani corpi d’esercito del Reno e della Britannia – da lui richiamati in tutta fretta mentre era in Rezia – avessero il tempo di sboccare nella Pianura Padana dai valichi alpini occidentali del Monginevro o del Gran San Bernardo. Comunque i negoziati dovettero giungere a un punto morto e Stilicone, raggiunto il suo scopo, fu in grado di stringere un poco alla volta la massa disordinata dei Visigoti entro un perimetro sempre più angusto, nella valle del fiume Tanaro, affluente di destra del Po.
Grande stratega della manovra avvolgente, come aveva già dimostrato in Tessaglia e nel Peloponneso (e come dimostrerà ancora a Verona e Fiesole), evitando lo scontro diretto, il generale vandalo chiuse gradualmente l’avversario entro una rete di trincee, sì da averlo in suo potere prima ancora che si fosse data mano alle armi. Anche questa volta era chiaro – come già in Grecia – che Stilicone avrebbe preferito evitare una soluzione puramente militare del conflitto, e risparmiare quel nemico che ancora sperava, secondo un suo calcolo forse azzardato, di poter trasformare in un valido alleato del declinante Impero. Ma Alarico, che già in Grecia si era salvato, in circostanze altrettanto difficili, per l’intervento della corte orientale, ancora una volta rifiutò le ragionevoli offerte del suo avversario, disprezzò il ruolo di semplice pedina nel gioco della politica romana, e volle tentare la sorte delle armi, per rivendicare al suo popolo un più alto destino.

Aquile. Fibule, oro, bronzo, pasta vitrea ed ametista, VI sec. d.C. ca. da Tierra de Barros (Badajoz, Spagna). Walters Art Museum
Aquile. Fibule, oro, bronzo, pasta vitrea ed ametista, VI sec. d.C. ca. da Tierra de Barros (Badajoz, Spagna). Walters Art Museum.

 

Pollentia (Pollenzo), era una florida cittadina sulle rive del Tanaro, là dove oggi non resta che un modesto villaggio con quel nome, nei pressi della cittadina di Bra. Fondata nel 170 a. C., aveva pianta rettangolare, era cinta da mura e andava fiera di un anfiteatro ellittico, di un notevole complesso termale oggi riconoscibile, in parte, nel torrione detto Turilio), di un foro e di numerosi templi. Una strada la collegava con Augusta Taurinorum (Torino), distante circa venti miglia verso Settentrione, e un’altra scendeva fino alla costa ligure, a Savona, scavalcando le Alpi Marittime al Passo di Cadibona. Fu in questa parte della provincia romana delle Alpes Cottiæ (comprendente, nel IV e V secolo, tutta la regione ligure a Sud del Po) che ebbe luogo lo scontro decisivo della guerra alariciana.
I Visigoti erano entrati in Italia, per la valle del Timavo, all’inizio del 400 (secondo il raffronto tra Giordane, che scrive «Stilicone et Aureliano consulibus», in Get., XXIX, e Cassiodoro, Chron., in M. G. H., A. A., 21) o forse al principio del 401, poiché la data tradizionale della battaglia di Pollenzo, incerta del resto anch’essa (cfr. Pasquale Villari, Le invasioni barbariche in Italia, 1901) è il 6 aprile del 402, ed è difficile ammettere che Stilicone abbia lasciato scorrazzare i Visigoti in Italia settentrionale per un anno, prima di affrontarli sul campo.

Ricostruzione di un guerriero visigoto. Illustrazione di A. Gagelmann.
Ricostruzione di un guerriero visigoto. Illustrazione di A. Gagelmann.

 

Tutte le fonti concordano nel fissare l’attacco stiliconiano nel bel mezzo delle festività pasquali, che i Goti ariani stavano celebrando nel loro accampamento con animo relativamente tranquillo. Stilicone venne poi biasimato dai cattolici più zelanti per tale violazione della settimana santa, che equivaleva a una profanazione e che gli assicurò un successo disonorevole, come si disse, o addirittura (Giordane, Get., XXX) un clamoroso fallimento. Il generale vandalo aveva affidato il comando dell’esercito a Saulo, pagano e di stirpe barbara (Orosio, VII, 37, 2) e, mentre teneva di riserva il grosso delle proprie forze, lanciò per prima all’attacco la cavalleria degli Alani. Forse è eccessivo affermare, come fa Giordane, che i Goti non si aspettavano alcuna sorpresa, ma è possibile che essi avessero fatto affidamento su una tacita tregua pasquale e rimasero alquanto sorpresi da quell’attacco, che giudicarono proditorio. Tuttavia, dopo essersi riorganizzati, contrattaccarono con la massima energia e il capo degli Alani, un guerriero dalla piccola figura ma dall’animo grande e valoroso (Claud., Bell. Got., 581-93) trovò una morte da eroe nella mischia furibonda. Vedendolo cadere, i suoi uomini ebbero un attimo d’incertezza, cominciarono a sbandarsi e già si profilava una vittoria clamorosa di Alarico, quando l’attacco ordinato e micidiale della fanteria romana, accuratamente predisposto da Stilicone, rovesciò le sorti dello scontro ed ebbe ragione del valore disperato dei Goti. La battaglia si trasformò in un confuso inseguimento e le truppe di Saulo e di Stilicone, inebriate dal successo, avanzarono con impeto irresistibile oltre le trincee nemiche, penetrando nell’accampamento goto, travolgendo le ultime difese e conquistandolo. Le donne dei barbari, la stessa famiglia di Alarico, e quella parte del bottino di Corinto, Argo e Sparta che i Visigoti si erano portati dietro dopo la ritirata dal Peloponneso: tutto cadde nelle mani del vincitore, insieme alle spoglie delle sfortunate città italiche.
Ancora una volta, però, la vittoria romana fu arrestata a mezzo, e un’insperata via di scampo venne offerta ad Alarico e alla sua gente, che furono svelti ad approfittarne. Impossibile dire come, fatto sta che già l’indomani della battaglia di Pollenzo i Visigoti sembravano essersi ripresi, almeno in parte, dalla sconfitta e, radunatisi, costituivano sempre una minaccia temibile per la Pianura Padana. Noi ignoriamo le precise condizioni che Stilicone impose ad Alarico dopo la giornata del 6 aprile; è probabile (ma non dimostrato) che tra i due intercorse un vero trattato di pace. Tra le prime condizioni di esso, certamente vi era la restituzione di tutti i prigionieri e di tutto il bottino e lo scioglimento dei corpi barbarici ausiliari (Claud., op. cit., 614-22); poi, senza dubbio, lo sgombero immediato dell’Italia e il ritorno al di là delle Alpi Giulie, in una qualche sede da destinarsi.
Il mondo romano si era entusiasmato per quest’ultima vittoria delle legioni sui barbari invasori, ma ben presto subentrarono recriminazioni e sospetti. Perché – si diceva a mezza voce – Stilicone aveva concesso un’altra volta al nemico di Roma, di ritirarsi indisturbato? Perché non aveva spinto la sua vittoria sino in fondo? Tanto l’aristocrazia senatoria, quanto le alte sfere della chiesa cattolica guardavano con poca fiducia a quel semibarbarus che spadroneggiava alla corte milanese e conduceva oscuri maneggi con i nemici che avrebbe dovuto schiacciare. I sentimenti negativi di questa parte dell’opinione pubblica romana, l’indomani della battaglia di Pollenzo, sono compendiati nel giudizio sbrigativo di Paolo Orosio: «Stilico, Vandalorum inbellis avara perfidiæ et dolosæ gentis genere editus» (VIII, 38, 1).
Una valutazione serena dell’operato di Stilicone in quel periodo può essere formulata con molta difficoltà dallo storico moderno, che non possiede tutti gli elementi della situazione. In Grecia, il generale vandalo aveva risparmiato i Visigoti dalla distruzione soprattutto per evitare di creare una rottura irreparabile con la corte di Costantinopoli, che sarebbe degenerata in guerra aperta. Anche dietro l’invasione di Alarico in Italia era possibile sospettare, se non istruzioni precise della corte orientale, quanto meno un invito e un suggerimento. Però il comportamento di Alarico, che aveva dimostrato totale irriconoscenza per la benevola politica di Stilicone verso di lui, quando avrebbe potuto distruggerlo, pareva tale da sconsigliare un nuovo tentativo di accordo. E’ probabile che Stilicone, nella sua politica alariciana del 402, fosse in buona fede nei riguardi dello Stato, ma che commise un errore di valutazione, pensando di potersi servire dei Visigoti nonostante le recenti esperienze negative.
Si è spesso affermato che la politica filo-barbarica di Stilicone altro non era che la prosecuzione di quella di Teodosio, ma i tempi erano cambiati e le condizioni non erano più le stesse. Perciò la stessa politica che era apparsa accettabile alle classi dominanti dopo il disastro di Adrianopoli, da parte di Teodosio, adesso non poteva che destare perplessità e sospetti di tradimento. Nel 378 l’arruolamento di grandi masse di barbari nell’esercito era apparso manifestamente come una necessità improrogabile, dato che non vi era speranza di risolvere militarmente il problema germanico. Ma nel 402 l’aristocrazia senatoria s’illudeva che questa seconda soluzione fosse divenuta praticabile, e gridavano al tradimento per il fatto che Alarico era stato di nuovo risparmiato. Non si rendeva conto che, per Stilicone, la soluzione militare restava subordinata a quella politica, e che si doveva ricorrervi solo quando non vi fosse più alcuna speranza di accordo – come avrebbe fatto, pochi anni dopo, con le orde di Radagaiso. Alarico, invece, per lui rimaneva un prezioso alleato potenziale: la grandezza di Stilicone sta appunto in questo generoso e disinteressato sentimento della romanità, che lo portava a sottovalutare le istanze di indipendenza dei giovani capi barbari come, appunto, Alarico. Quest’ultimo era stato eletto capo o, come pare, re dai suoi Visigoti, nel 395 (cfr. Giordane, Get.,XXII) sulla base di un preciso programma politico nazionalista e anti-romano. Tale programma era stato recepito dai maggiorenti goti, sì che ora Alarico non avrebbe potuto tornare a una politica mercenaria nei confronti dell’Impero, senza minare irreparabilmente la sua posizione di capo. Erano finiti i tempi in cui le tribù germaniche potevano essere indotte a massacrarsi vicendevolmente al soldo di Roma; esse ormai avevano preso coscienza della propria forza e della debolezza dell’Impero.
Questo non seppe comprendere il magister utriusque militiæ, e perseguì fino all’ultimo la sua politica di accordo con i Visigoti: contro i sentimenti anti-germanici della moglie Serena, contro i sospetti del giovane Onorio, che si faceva consigliare dalla zia più che dal suocero; contro la coalizione dell’alta ufficialità romana e dell’aristocrazia senatoria; instancabilmente, nonostante tutte le delusioni e i disinganni. Non c’è dubbio che, alla fine, quella politica si sarebbe rivelata disastrosa, non solo per lui personalmente, ma per tutto l’Impero.

Flavio Stilicone, illustrazione di Andreas Gagelmann.
Flavio Stilicone, illustrazione di Andreas Gagelmann.

4 pensieri su “La battaglia di Pollenzo

      • Ciao.
        Prima di tutto grazie per la disponibilità. Ti chiedo scusa per il ritardo con cui ti rispondo ma non avevo visto il tuo commento… (Eternamente distratto).
        Ho avuto l’incarico di scrivere un testo, diciamo “teatrale”, sulla presenza Gotica in provincia di Cuneo. In realtà la richiesta faceva riferimento al Neogotico di Pelagio Pelagi e di Schellino, e su quello che volevano rappresentare con le loro anacronistiche architetture, ma io ho voluto andare oltre perchè c’era ben poco da dire. La cosa che più mi ispira è la famosa battaglia di Pollenzo, che credo possa essere, a torto o a ragione, considerata uno spartiacque nella storia della nostra civiltá. Ora, le fonti a cui ho attinto sono tutte quelle conosciute: Claudiano, Orosio ecc… ecc… oltre a qualche storico moderno, ma devo dire che ben poco sono riuscito a carpire della dinamica della battaglia stessa. Essendo poi io del posto e avendo compiuto diversi sopralluoghi sui territori descritti, ho potuto riscontrare diverse incongruenze. Ti faccio un esempio: si dice che Alarico, pressato sul Monte Vittore (che è una piccola collina a dirupo sulla pianura circostante), abbia cercato e trovato (accordo?) una via di fuga dallo stesso dirigendosi verso le Langhe per raggiungere la Liguria, in quanto Stilicone voleva impedirgli di dilagare in Pianura Padana o di raggiungere le Alpi. Ti posso garantire che questo è quantomeno improbabile, dato che da Santa Vittoria ( così si chiama oggi) è nel Roero e per raggiungere le Langhe (che gli sono di fronte) avrebbe dovuto riattraversare il Tanaro, aggirare Pollenzo e percorrere dietro le linee tutta la pianura dove suppongo fosse dispiegata la fanteria di Stilicone … e da li salire le colline opposte (appunto le Langhe), cioè in pieno territorio nemico; in oltre, fuggendo nella direzione direzione narrata, sarebbe ritornato verso Asti, liberissimo e avvantaggiatissimo per una suo eventuale riassedio di Milano o per il raggiungimento dei valichi Alpini. So che è difficile trovare notizie certe sullo svolgimento della Battaglia, ma se tu ne avessi e me le potessi indicare ti sarei immensamente grato. Devo in oltre chiederti se puoi fornirmi notizie sul probabile abbigliamento da battaglia, le armi e le insegne dei due eserciti … Forse ti chiedo troppo ma se puoi aiutarmi te ne sarò davvero riconoscente

        Saluti.

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  1. purtroppo, anche se è vero che non abbiamo tutte le informazioni in merito, al minimo la politica di Stilicone nei confronti di Alarico puo’ essere definita sconcertante… Storici moderni credono che cercava di evitare la battaglia per paura di perdere l’ultimo valido esercito romano (concentrato pericolosamente proprio da stilicone in Italia). Ma se a Pollenzo aveva la possibilità di sterminare Alarico, il suo errore è stato gravissimo. Sembra che la sua politica verso la parte orientale dell’impero l’abbia abbagliato….

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