di T. Ritti, in Storia e civiltà dei Greci. La cultura ellenistica. Filosofia, scienza, letteratura (dir. R. Bianchi Bandinelli), vol. 9, Milano 2000, pp. 111 ss.
La matematica si presenta all’inizio dell’Ellenismo come una scienza altamente evoluta, nella quale numerosi problemi sono stati posti e risolti. Dopo l’attività, a noi mal nota, di Talete, i maggiori apporti in questo campo vennero da Pitagora e dalla sua scuola, nell’àmbito della quale furono formulati concetti matematici basilari e fu indicata l’importanza educativa dello studio matematico. È probabile inoltre che i pitagorici (ma forse non Pitagora stesso) siano giunti alla scoperta delle grandezze irrazionali, almeno della √2.
Alcune questioni fondamentali si condensarono nei tre problemi canonici della matematica antica: la duplicazione di un solido, la trisezione di un angolo e la quadratura del cerchio. La giusta via per risolvere il primo problema fu indicata, già nel V secolo, da Ippocrate di Chio, mentre la quadratura del cerchio fu tentata da molti e in vari modi, tra cui si può ricordare la “quadratrice” di Ippia di Elide.
La teoria degli irrazionali fu discussa durante tutto il IV secolo a.C., prima da Teodoro di Cirene, per quelli compresi fra √2 e √17, e più tardi da Teeteto – l’interlocutore del dialogo platonico omonimo – che formulò un metodo rigoroso e generale per determinare se due grandezze sono tra loro commensurabili. Con Eudosso di Cnido si giunse alla scoperta del metodo di esaustione, cioè ad un “embrione” di calcolo infinitesimale. La sua teoria delle proporzioni, applicabile tanto alle grandezze commensurabili quanto a quelle incommensurabili, fu alla base del V libro degli Elementi di Euclide.
In conclusione, numerose nozioni di geometria piana e solida erano già definite prima dell’Ellenismo (tra esse il rapporto tra i volumi del cono e della piramide e quelli del cilindro e del prisma di basi uguali), così come una complessa teoria dei numeri, comprendente le loro serie e progressioni, le proporzioni e gli irrazionali.
Il metodo di dimostrazione procedeva rigorosamente attraverso l’analisi e la sintesi dei dati e la riduzione dei problemi più complessi a quelli più semplici. Lo studio della matematica, ormai parte integrante della paideía comune, era considerato inscindibile dall’insegnamento filosofico.
Si sentì quindi il bisogno di sintetizzare le conoscenze raggiunte: Proclo ci dà i nomi dei primi autori di trattati complessivi, da Ippocrate di Chio a Leonte e Teudio – in questo campo predecessore di Euclide.
Il primo in ordine di tempo dei grandi matematici ellenistici è Euclide, vissuto ad Alessandria negli anni attorno al 300 a.C., sotto il regno di Tolomeo I. Fu autore di molti scritti, ma il suo nome è legato alla composizione dei tredici libri di Stoicheía (“Elementi”), nei quali egli espone con perfetta chiarezza e con metodo rigoroso un’organica e completa sintesi delle conoscenze del tempo. L’ampia trattazione è preceduta dalla materia. Egli distingue tre categorie di nozioni preliminari: definizioni (hóroi), postulati (aítēmata), assiomi (“opinioni comuni”: koinaí énnoiai).

I primi quattro libri riguardano le proposizioni fondamentali della geometria piana: uguaglianza ed equivalenza dei poligoni, proprietà del cerchio e dei poligoni regolari ad esso circoscritti o inscritti. Soggetto del libro V è la teoria delle proporzioni, derivata da Eudosso, la cui applicazione alla geometria piana è contenuta nel VI libro, che così introduce nell’ambito della planimetria. Le proposizioni finali del libro – ad esse, come all’intero libro II, si applica la definizione di “algebra geometrica” – riprendono il problema pitagorico dell’applicazione delle aree, corrispondente, in campo geometrico, alla risoluzione di equazioni algebriche di secondo grado e con radice reale e positiva. I libri dal VII al IX riguardano la teoria dei numeri razionali (numeri primi, quadrati e cubici, progressioni geometriche), mentre nel X sono esposti i criteri per stabilire se due grandezze sono o non sono fra loro commensurabili, e alla fine si tratta la classificazione degli irrazionali che risultano da radicali quadratici.
Nell’XI libro compaiono i primi elementi della stereometria; nel XII il metodo di esaustione di Eudosso è utilizzato in relazione a cerchi, piramidi, coni, cilindri e sfere. Il XIII libro, infine, riguarda la costruzione dei cinque poliedri regolari, i “solidi platonici”, cosiddetti per la grande importanza loro assegnata nel Timeo.
Come si vede, Euclide non è il creatore della maggior parte delle teorie esposte negli Elementi. Di alcune, come la teoria delle proporzioni, quella degli irrazionali e il metodo di esaustione, egli è debitore ai suoi predecessori del IV secolo, Eudosso di Cnido e Teeteto. Molto deriva anche dal pensiero dei pitagorici, così la teoria dei numeri e in genere il contenuto dei primi tre libri. Il metodo stesso delle dimostrazioni euclidee, che si dipanavano attraverso rigidi stadi dalla enunciazione alla prova e alla conclusione, era forse già in parte codificato nei trattati anteriori. Il merito principale di Euclide consiste dunque non nell’originalità, ma nell’aver compiuto una sintesi generale, nella chiarezza espositiva e nella formulazione in termini nuovi e rigorosi di teorie e acquisizioni precedenti. Con la sua presentazione del materiale, egli fornì – come nota Proclo – una salda dimostrazione di proposizioni che a volte i suoi predecessori avevano provato in modo insufficiente. A buon diritto, gli Elementi euclidei soppiantarono le sintesi precedenti e rimasero per secoli alla base di ogni conoscenza matematica.
Altre opere di Euclide ci sono pervenute più o meno integralmente. I Dedoména (“Dati”), contengono proposizioni geometriche in cui la presenza di un dato permette di dedurre altri elementi. Un libro Intorno alle suddivisioni riguarda la divisione delle figure in altre simili ed è pervenuto in una completa traduzione araba. Altre opere sono i Fenomeni, sulla geometria sferica e l’Ottica, trattato di prospettiva, nonché uno scritto sulla musica, la Sezione del canone.

Archimede, il più grande matematico dell’Ellenismo e uno dei più grandi e versatili dell’antichità, visse una generazione dopo Euclide, risiedette in Alessandria e in Sicilia, dove nel 212 trovò la morte, durante la difesa di Siracusa, sua patri, dall’assedio romano.
Le sue ricerche nel campo matematico, cui ora ci limitiamo, furono di importanza fondamentale. Tra gli scritti di geometria pervenutici sono Conoidi e sferoidi, Sulle spirali, Quadratura della parabola. In essi Archimede si occupa di calcolare l’area e il volume di superfici e di solidi che hanno una curvatura particolare. Egli arriva a dimostrare teoremi che equivalgono alle odierne formule per superficie e volume della sfera (rispettivamente 4πr2 e 4/3πr2) e per l’area del segmento di parabola (4/3 del triangolo inscritto).
Oltre ad uno studio sui poliedri semi-regolari, perciò detti “archimedei”, rimane anche un’opera Sulla sfera e sul cilindro, ai cui risultati Archimede stesso annetteva molta importanza, tanto da pregare i suoi amici – racconta Plutarco – di far rappresentare sulla sua tomba un cilindro circoscritto ad una sfera con un’iscrizione esprimente i rapporti (di superficie e di volume) tra i due solidi [1].
Nella determinazione di aree e volumi, Archimede si serve spesso del metodo di esaustione codificato da Eudosso di Cnido. Il postulato di Eudosso – «Date due grandezze diseguali si può sempre trovare un multiplo della minore che superi la maggiore» – che ne è la base, viene infatti comunemente indicato come “postulato di Archimede”.
Benché solo un metodo rigoroso come era quello di esaustione potesse soddisfare le esigenze dell’esposizione scientifica, nella fase di ricerca Archimede si serviva di altri procedimenti. Un’operetta ritrovata nel 1906 a Istanbul, intitolata appunto Sul metodo, descrive un metodo meccanico per calcolare aree e volumi, paragonando la grandezza richiesta ad un’altra già nota. Uno dei postulati di base di questo procedimento consisteva nel considerare le figure tanto piane che solide come somma di un numero infinito di segmenti lineari o di segmenti piani. Applicando a questa concezione il principio della legge fisica della leva, in combinazione con un tipo di calcolo infinitesimale, per stabilire l’equivalenza delle figure, Archimede arriva a quei risultati che poi dimostrerà in maniera rigorosamente geometrica. Tra gli altri risultati, è notevolissimo il valore di π, che Archimede comprese tra 3 e 10/71 e 3 e 10/70, dimostrando di essere in grado di calcolare il valore approssimato delle radici quadrate dei numeri non quadrati. Nello Psammítēs (“Raccoglitore di sabbia”) Archimede presentò un nuovo sistema di notazione aritmetica, per mezzo del quale, superati i limiti della terminologia corrente, giungeva alla notazione di numeri grandissimi.
Rimane infine da ricordare un’opera in versi, il Problema dei buoi, dedicato, come il Metodo, ad Eratostene. Col pretesto di determinare, sulla base di alcuni dati iniziali, i vari gruppi di buoi e vacche nei quali di conseguenza si dividevano le quattro mandrie del mitico gregge del Sole, è posto un difficile problema di analisi indeterminata con otto incognite. La soluzione di Archimede non ci è pervenuta, ed il problema è stato risolto solo verso la fine dell’Ottocento.
Trattando della fisica ellenistica ricorderemo le opere non matematiche di Archimede. Di esse, come delle altre, la redazione giuntaci è di certo un adattamento seriore alla koinḕ ellenistica del dorico di Siracusa che Archimede usava e che rimane in pochi lavori e nelle prefazioni. Resta però il suo stile fortemente individuale, ricco di richiami personali, in contrasto con i modi più anonimi di Euclide e di molti che ad essi si ispirarono.
Due opere di Archimede, il Metodo e il Problema dei buoi, sono dedicate ad Eratostene, di lui poco più giovane. Questo solo fatto basta a dare un’idea dell’alta stima che Eratostene godeva in campo matematico, anche se gli scarsi e disparati frammenti delle sue opere non sono sufficienti a darci una chiara idea del suo valore. Di lui ricordiamo che visse ad Atene e venne ad Alessandria su invito dell’Evergete, per essere tutore del figlio di lui, il futuro Filopatore.

« Ad un tratto entrò nella stanza un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise».
(Plut., Marc. XIX, 4)
Al nome di Eratostene è legato un metodo pratico per trovare numeri primi, purché non molto grandi, che era noto già in antico come il “crivello (kóskinon) di Eratostene”.
La sua educazione platonica era rispecchiata nello scritto in due libri intitolati Platōnikós, dei quali poco sappiamo, ma che a quanto pare trattavano le nozioni fondamentali della matematica collegandosi alla filosofia platonica. Vi era ricordato come gli abitanti di Delo, cui Apollo aveva imposto di raddoppiare il suo altare cubico, si erano rivolta a Platone, il quale aveva interpretato il responso come un rimprovero ed un’esortazione allo studio della matematica.
Alla soluzione del “problema delio”, cioè raddoppiare un qualunque solido senza alterarne la forma, si erano applicati già in molti, e nel V secolo a.C. Ippocrate di Chio aveva indicato la via che da allora fu sempre seguita, riducendo il problema a quello di trovare due medi proporzionali in proporzione continua fra due segmenti dati. Archita di Taranto, Eudosso di Cnido e altri avevano escogitato diversi e complessi metodi per determinare i due medi richiesti, Eratostene pensò invece ad una soluzione geometricamente più semplice e soprattutto ad un comodo strumento meccanico, il mesólabon, per ottenere i medi proporzionali. Un esemplare bronzeo di questa sua invenzione fu posto sopra una colonna votiva, sulla quale un epigramma e una rappresentazione figurata ne spiegavano il funzionamento.
Il più notevole studioso di matematica dopo Archimede fu Apollonio di Perge (in Panfilia), che visse all’incirca tra il 260 e il 190 a.C. e risiedette ad Alessandria, compiendo viaggi a Pergamo e ad Efeso.
Astronomo di fama, oltre che matematico, riprese problemi già trattati da Euclide e Archimede fornendone nuove soluzioni. Come Archimede, si occupò di ricercare un’approssimazione soddisfacente di π e di trovare un sistema di notazione per i numeri molto grandi. La sua opera principale riguarda però l’analisi delle sezioni coniche, in particolare dell’ellissi, dell’iperbole e della parabola; i suo nove libri di Koniká furono poi sempre considerati l’autorità definitiva in materia. Ciascuno di essi è preceduto da una prefazione in forma epistolare che – come nelle opere di Archimede – ne sintetizza il contenuto e sottolinea, con notevole modestia, gli apporti originali dell’autore.
Già Aristeo, verso la metà del IV secolo, aveva individuato le tre curve e ai suoi studi si era rifatto Euclide nei suoi quattro libri di Koniká. Apollonio riprende e completa, nei suoi primi quattro libri, il contenuto di quelli euclidei, ma supera poi completamente l’impostazione dei suoi predecessori. Apollonio fonda, infatti, la sua teoria generale sulla produzione di tutte e tre le curve ad ogni tipo di cono retto o obliquo, codificando un principio che era bensì noto ad Euclide e Archimede, ma che essi non avevano sfruttato.
Per il suo rigore e la sua completezza, l’opera di Apollonio è tra quelle che maggiormente influenzarono la matematica posteriore, soprattutto lo studio della meccanica celeste dal Seicento in poi: le teorie planetarie di Keplero e Newton vi trovarono il loro fondamento.
Gli studi astronomici portarono intanto ad approfondire le misurazioni dei triangoli e cioè allo sviluppo della trigonometria piana e sferica. Stando ad alcune testimonianze, è possibile che l’inizio della trigonometria risalga allo stesso Apollonio, ma il primo a farne uso scientifico fu l’astronomo Ipparco di Nicea, vissuto a Rodi nella seconda metà del II secolo a.C.
La maggior parte delle sue opere sono perdute; rimane un commento ai Fenomeni di Eudosso e di Arato, e molte citazioni in autori più tardi. È certo comunque che i suoi risultati erano ottenuti utilizzando le formule della trigonometria sferica e che egli disponeva di una tabella delle corde di un cerchio – poteva cioè calcolare la funzione del seno.
I progressi compiuti durante l’Ellenismo portarono la matematica greca ad un livello di eccezionale complessità. Le possibilità della geometria piana e solida sono quasi tutte esplorate, la trigonometria si afferma pienamente, vengono escogitati sistemi evoluti di notazione numerale. Archimede utilizza nelle sue opere procedimenti che coincidono con il calcolo integrale e anticipano quello differenziale, precedendo Newton e Leibniz. Inoltre la terminologia stessa si viene raffinando e il metodo della ricerca e delle dimostrazione raggiungono il massimo rigore.
Si sarebbe potuto andare al di là di tutto questo? Restrizioni di forma e di metodo impedirono di superare certi limiti. La matematica greca si fondava su una visione esclusivamente geometrica. Mancavano i simboli algebrici e con essi la possibilità di impostare problemi che coinvolgessero quantità non rappresentabili in termini di linee, superfici e volumi. Con Archimede e Apollonio si raggiunge il culmine, e insieme si esauriscono le possibilità, della matematica fondata su basi geometriche.
Note:
[1] Al tempo della sua questura in Sicilia, Cicerone poté così riconoscere la tomba di Archimede e farla restaurare (Cic., Tusc. V, 64–66).
************************************************************
Bibliografia:
BECKER O.- HOFMANN J.E., Geschichte der Mathematik, 1965 (2).
DIJKSTERHUIS E.J., Archimedes, København 1956.
ENRIQUEZ E. – DE SANTILLANA G., Mathématiques et astronomie de la période hellénique, Paris 1939.
FRAIESE A., La matematica nel mondo antico, Roma 1951.
HEATH T., A History of Greek Mathematics, voll. I-II, Oxford 1921.
HEATH T., Archimedes, New York 1955 (2).
HEIBERG J.L., Euclides. Phænomena et scripta minora, Lipzig 1916.
HEIBERG J.L., Geschichte der Mathematik und Naturwissenschaften in Altertum, Handbuch der Altertumswissenschaft V, I, 2, München 1925.
SPEISER A., Die Grundlagen der Mathematik, München-Freiburg 1954.
SZABÒ Á., Anfänge der griechischen Mathematik, Wien 1969.
WUSSING K., Mathematik in der Antike, Leipzig 1962.
ZEUTHEN H.G., Geschichte der Mathematik, København 1896.
Buongiorno o Buonasera a dipendenza,
non capisco come potevano fare di calcolo e scoprire i numeri irrazionale e tante altre cose durante l’epoca ellenistica se da quanto si sa i numeri vennero scoperti in india almeno 1000 anni piu tardi V sec. d.c. e introdotti in europa non prima dell’anno 1000 d.c. come si puo rappresentare un numero irrazionale senza la conoscenza dello zero e soprattutto dei numeri come li conosciamo noi?
"Mi piace""Mi piace"