Per i Greci che nell’VIII secolo a.C. erano in cerca di nuove colonie nell’area mediterranea la Sicilia non era una terra ignota. Prima di loro era stata la ceramica greca a giungere nell’isola: a Pitecussa (Ischia) gli Eubei avevano una base commerciale, nell’Italia meridionale Cuma (vicino Napoli) fu colonizzata prima della Sicilia e nell’Odissea di Omero si parla di schiavi provenienti dalla Sicilia.

È difficile dire fino a che punto la colonizzazione della Sicilia da parte dei Greci sia avvenuta con la forza. Le popolazioni locali, secondo le testimonianze archeologiche, si erano ritirate già prima dell’arrivo dei Greci da alcune località costiere, come Tapso, verso i principali centri dell’interno. Ma le coste non erano disabitate: all’epoca della colonizzazione greca Siracusa, Megara Iblea e Leontini erano sicuramente abitate da popolazioni autoctone e la loro conquista non avvenne senza scontri. D’altra parte, i nuovi venuti dipendevano dalle popolazioni preesistenti per molti aspetti, non da ultimo perché generalmente partivano dalla loro terra senza avere donne al seguito. Inoltre, fino al VI secolo a.C. gli insediamenti erano privi di cinta muraria degna di questo nome. Le colonie greche, contrariamente a quelle dell’era moderna, una volta fondate, erano autonome dalla madrepatria e formavano delle città-stato (póleis) politicamente sovrane. Nonostante ciò, come si vedrà, conservavano stretti rapporti con la città-madre. In molti casi, la memoria dei padri fondatori (ecisti) entrò a far parte delle tradizioni e alla loro morte essi divennero oggetto di culto.
I primi Greci partiti verso occidente e coinvolti nell’organizzazione e nella guida delle spedizioni di coloni provenivano dall’Eubea, e in particolare dalle città di Calcide ed Eretria. Le póleis da loro fondate vengono indicate perciò anche come colonie eubee o calcidesi. La prima colonia greca in Sicilia fu sicuramente Nasso, di cui conosciamo il nome dell’ecista, il calcidese Tucle. La minuscola penisola situata ai piedi della futura Taormina, sulla costa nordorientale, era il punto d’approdo più vicino per le imbarcazioni greche che, dirette in Sicilia, partivano dall’estremità meridionale della penisola italica. A Nasso non ci sono segni di scontri violenti con i Siculi. Se la fondazione di questa colonia avvenne in modo pacifico, ciò dovette incoraggiare ulteriori spedizioni. Ai colonizzatori dall’Eubea si unirono probabilmente, come in altri casi di fondazione coloniaria, gruppi provenienti da altre città; dal nome della nuova colonia si può immaginare che alcuni dei nuovi venuti provenissero dall’isola di Nasso. La data di fondazione indicata da Tucidide (734 a.C.), sorvolando sull’esattezza cronologica, è avvalorata anche dalla datazione dei più antichi reperti in ceramica rinvenuti a Nasso: seconda metà dell’VIII secolo a.C. Gli Scavi eseguiti permettono di stabilire quanto fosse estesa la città. Oltre ai singoli monumenti e alla rete viaria del V secolo è visibile il tracciato delle mura del VI secolo a.C., le cui fondamenta sono formate in parte da blocchi squadrati di pietra calcarea e in parte da rocce laviche poligonali. Dopo la distruzione della città ad opera di Dionisio I (403 a.C.) non si costruì più nulla d’importante sopra le sue rovine.

Cinque anni dopo la fondazione di Nasso, da quest’ultima vennero stanziate altre due colonie: Leontini e Catania, ad opera rispettivamente dello stesso Tucle e di Evarco. In un arco di tempo così breve la popolazione di Nasso non poteva essere aumentata tanto da rendere necessaria la colonizzazione di nuove terre. Occorre dunque pensare che dalla madrepatria greca fossero giunti altri coloni, incoraggiati dal successo di Nasso come testa di ponte e «colonia sperimentale». Lentini fu costruita sulle colline, a una certa distanza dalla costa, dopo che i nuovi venuti ne ebbero scacciato i Siculi. Visibili ancor oggi sono i resti delle mura cittadine, dell’agorà e di un tempio. La città dominava una delle pianure più vaste e fertili della Sicilia orientale, che in seguito avrebbe assunto grande importanza per la produzione di cereali. Anche Catania, fondata sulla costa ai piedi dell’Etna, sorgeva in una zona molto fertile da cui traeva sostentamento una popolazione relativamente numerosa. Ma in questo caso sulle rovine sorge oggi una città e pochi monumenti di quest’epoca sono ancora visibili.
L’anno successivo a quello in cui secondo Tucidide fu fondata Nasso, ossia nel 733 a.C., a 60 km circa da Catania verso sud fu fondata Siracusa, destinata a diventare la pólis più importante della Sicilia e a influire sui destini dell’isola più di ogni altra città. Siracusa fu fondata da coloni provenienti da Corinto e guidati da Archia. Costoro scacciarono i Siculi dall’Ortigia (che originariamente era un’isola), e vi costruirono il primo nucleo urbano. La successiva espansione sulla terraferma portò alla costruzione di un terrapieno sullo stretto braccio di mare che separava dall’isola. I tracciati stradali regolari venuti alla luce tra i templi di Atena e di Apollo risalgono all’impianto cittadino più antico. L’isola aveva porti naturali su tutti i lati, ma l’insenatura meridionale era nettamente più estesa di quella settentrionale. In essa si riversa ancor oggi una sorgente d’acqua dolce, l’Aretusa; la testa della ninfa di fonte divenne simbolo della città e, come a lungo si è ritenuto, sarebbe stata effigiata sulla maggior parte delle monete coniate in seguito. Di recente, invece, si tende a riconoscere in queste teste femminili la raffigurazione della dea Artemide. La storia della colonizzazione di Siracusa, che prese le mosse dal Peloponneso, si riflette nella leggenda secondo cui il fiume-dio Alfeo (che sfocia in mare vicino alla greca Olimpia) scorrerebbe sul fondo del mare fino all’Ortigia per unirsi all’amata Aretusa.
Siracusa fondò a sua volta delle sottocolonie, sebbene meno rapidamente di Nasso: Acre (nel 663 a.C.), Casmene (643 a.C.) e Camarina (598 a.C.). Solo Camarina divenne una pólis autonoma, che tuttavia nel VI secolo, dopo un conflitto con la madrepatria, fu declassata ad avamposto siracusano, alla stregua delle altre due città. Siracusa acquisì dunque il controllo su un territorio sempre più vasto, fino a dominare tutta la parte sudorientale della Sicilia, che divenne la base della sua successiva supremazia. Una parte della preesistente popolazione sicula fu allontanata. La restante instaurò invece una relazione di dipendenza economica e giuridica con i nuovi venuti. Questi Siculi sono chiamati dalle fonti kyllýrioi e dagli studi più recenti sono generalmente equiparati agli iloti spartani, sebbene non si sappia esattamente se la loro condizione fosse una sorta di schiavitù di Stato o piuttosto della gleba.
Proprio dirimpetto alla penisola italica, a soli tre chilometri di distanza da essa, alcuni abitanti di Cuma, cui si unirono presto dei coloni eubei, fondarono un nucleo urbano battezzato prima Zancle, poi Messana. Tucidide non indica la data, ma gli studi moderni ipotizzano che la fondazione sia avvenuta intorno al 730 a.C. Della città antica non è rimasta traccia. Zancle, stretta tra le montagne e il mare, aveva poche terre coltivabili, e per questo già nel 716 a.C. fondò sulla vicina costa settentrionale la sottocolonia di Mile. Quest’ultima non raggiunse importanza sufficiente a ottenere l’autonomia, al contrario di Imera, fondata, anch’essa da Zancle, intorno al 650 a.C. Zancle divenne la base di partenza per la colonizzazione della costa settentrionale della Sicilia. A Imera giunsero nuovi coloni calcidesi, ma anche Greci di lingua dorica banditi da Siracusa. Nella Sicilia settentrionale Imera era anche la pólis greca più vicina al territorio cartaginese di Panormo e Solunto. Dalla fiorente città, distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.C., non è rimasto nulla.
L’ultima colonia sorta sulla costa orientale fu Megara, fondata nel 728 a.C. dall’omonima città greca. Per distinguere le due città, la colonia fu qualificata Iblea, poiché stando alla tradizione la terra su cui sorgeva era stata ceduta ai Megaresi dal re dei Siculi, Hyblon. Ciò, se fosse vero, significherebbe che i Siculi tentarono di allearsi con i Megaresi per resistere alla pressione di Lentini e Siracusa. Come Corinto e Megara, anche Siracusa e Megara Iblea, loro rispettive colonie, erano molto vicine; e così come Megara per importanza non poteva stare alla pari di Corinto, nemmeno Megara Iblea poteva tener testa a Siracusa. La città fu distrutta nel 483 a.C. dal tiranno di Siracusa Gelone e scavi ottocenteschi hanno riportato alla luce un tratto delle mura urbane, costruite in blocchi squadrati, e i resti delle fondamenta di alcuni edifici. Scavi più recenti hanno invece fatto riemergere l’impianto urbano di stampo ellenistico (più piccolo, ma meglio conservato) risalente all’epoca di Timoleonte, lo stratega inviato nel IV secolo a.C. da Corinto per intervenire nelle questioni siciliane.
Un secolo dopo la sua fondazione, nel 628 a.C., Megara, stretta tra Siracusa, Leontini e Catania, e dunque con scarse possibilità di sviluppo, fondò la sottocolonia di Selinunte, che divenne, a sud (come Imera a nord), l’ultimo avamposto greco ai margini della sfera d’influenza cartaginese. Questa sottocolonia avrebbe superato in ricchezza e prestigio la madrepatria, come dimostrano i tanti imponenti templi ancor oggi visibili. Allo sviluppo economico della città contribuirono anche due ottimi porti, oggi interrati. Nei pressi del porto occidentale è stato rinvenuto un quartiere di artigiani e mercanti. Anche qui la produzione agricola aveva importanza fondamentale per il benessere cittadino, e il territorio della pólis fu ulteriormente esteso a tal fine: a est fino al fiume Alico, e a nord fino ai confini della città elima di Egesta.
Mentre la costa orientale della Sicilia era stata densamente colonizzata nel corso dell’VIII secolo a.C., la vicina costa meridionale appariva particolarmente propizia a un’ulteriore colonizzazione nel corso del VII secolo. Nel 688 a.C., prima ancora di Selinunte e Camarina, un gruppo di coloni giunti da Rodi, capeggiati dall’ecista Antifemo (cui probabilmente si aggiunse un altro gruppo proveniente da Creta e guidato dall’ecista Entimo) fondò Gela. Un vaso di terracotta su cui è inciso in dialetto dorico il nome di Antifemo dimostra la storicità delle indicazioni letterarie: felice e rara concordanza di fonti. […] La peculiarità delle mura cittadine di Capo Soprano consiste nel
fatto che la parte superiore di esse, fatta di mattoni d’argilla essiccati al sole, si erge su un basamento di blocchi squadrati di arenaria. Gela è l’unico luogo dove si è conservato questo materiale edilizio, utilizzato anche altrove ma poco resistente: quel tratto di mura, infatti, è stato protetto da un’alta duna sabbiosa. Gela ampliò il proprio territorio verso ovest fino al fiume Himera (Salso) e verso l’interno, dove per questo si venne a scontrare con le popolazioni autoctone sicane. Fu Gela a fondare nel 580 a.C. Agrigento, l’ultima delle grandi città greche della Sicilia. Secondo altre fonti, tuttavia, i fondatori di Agrigento sarebbero venuti direttamente da Rodi. I suoi templi imponenti, ammirati da folle di turisti, attestano il grande sviluppo di quella che sarebbe divenuta, per dimensioni, la seconda città greca della Sicilia.
Coloni di Rodi facevano parte anche del gruppo, in maggioranza proveniente da Cnido, che diede vita a una colonia sull’isola di Lipara (oggi Lipari) fra il 580 e il 576 a.C. Dopo un primo tentativo andato a vuoto, la colonia, grazie all’aiuto di Selinunte, fu ubicata nella zona della futura Lilibeo. In questo caso, i resti ancora visibili sono scarsi.
Nell’arco di circa due secoli e mezzo, dunque, i Greci colonizzarono la costa orientale della Sicilia, poi quella settentrionale e, infine, quella meridionale. L’interno rimase in gran parte sotto il controllo delle popolazioni autoctone, ma i confini erano fluidi ed è documentata la graduale ellenizzazione di molte località sicule e sicane. Prima dell’arrivo dei Greci, la costa occidentale e nordoccidentale dell’isola era abitata da gruppi fenici, sempre più dipendenti da Cartagine. Le loro città principali erano Solus, Panormos e la piccola isola di Motye.
I Greci fondarono le loro colonie a volte sulla costa in posizione pianeggiante (come Nasso, Megara o Catania) e a volte su alture più o meno scoscese (come a Gela, Selinunte e Agrigento). I nomi delle città derivavano spesso da quelli dei fiumi vicini. In seguito alla dominazione romana della Sicilia (a partire dal 241 a.C.) anche i nomi greci furono romanizzati (Akragás divenne Agrigentum, e Selinoûs si trasformò in Selinuntum) e dalla toponomastica romana è derivata quella moderna.
Gli Elleni giunti in Sicilia appartenevano ai due più importanti gruppi linguistici greci: gli Ioni fondarono Nasso, Leontini, Catania e Zancle; i Dori, invece, Siracusa, Megara, Selinunte, Gela e Agrigento (per citare solo i centri principali). Imera fu un caso particolare: fondata da Zancle e regolamentata da leggi calcidiche, accolse anche coloni siracusani. I gruppi linguistici di questa città riuscirono, secondo Tucidide, a convivere durevolmente; vi fu persino una fusione tra il dialetto ionico e quello dorico. Imera mostra in modo particolarmente chiaro che non vi era alcuna inimicizia di principio tra i due gruppi etnici. Se nel V secolo a.C. questa contrapposizione finì per emergere tanto violentemente, fu per ragioni contingenti.
Nelle città, abitate con continuità per secoli, e dunque ricoperte da costruzioni via via più recenti, in generale, sono stati riportati alla luce solo singoli monumenti antichi, e non aree più estese. Tuttavia gli scavi puntuali
e le fotografie aeree hanno rivelato nella maggior parte delle località (come ad Acre e Casmene) la regolarità del tracciato viario. La forma di quest’ultimo si data all’epoca successiva alle innovazioni urbanistiche dell’architetto Ippodamo di Mileto, ed è dunque posteriore al V secolo a.C., e in molti casi risale al periodo ellenistico-romano (dal 338 a.C. in poi). È però certo che lo schema viario ortogonale fu seguito anche nella fase più antica, molto probabilmente già al momento della fondazione delle città. Una peculiarità delle città greche in Sicilia è che esse si discostavano dagli schemi urbanistici di Ippodamo, in quanto le strade principali (plateíai) correvano solo in senso longitudinale. Questa impostazione si modificò soltanto con l’urbanistica romana, come si vede chiaramente nella Sicilia settentrionale, a Solunto.
cit. M. Dreher, La Sicilia antica, Bologna 2010.
ottima sintesi, grazie!
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