Moda maschile a Roma

di A. Angela, Una giornata nell’Antica Roma. Vita quotidiana, segreti e curiosità, Milano 2007.

[…] Come si vestono i Romani? Siamo abituati a vederli, in film e sceneggiati, avviluppati in toghe colorate simili a lunghi lenzuoli. Ma è sempre così? In effetti, la prima sensazione è che questi indumenti siano scomodi e impaccino i movimenti, impedendo di correre, di salire le scale o anche semplicemente di sedersi senza rimanere impigliati da qualche parte. In realtà, sono comodi. Anzi, in epoca moderna c’è ancora chi si veste così: se andate in India e in molti altri Paesi asiatici, e arabi, troverete una moda tradizionale in fondo non molto diversa da quella dei Romani, basata su vesti lunghe, tuniche, sai e sandali. È solo una questione di abitudine.
Cominciamo dalla biancheria intima. I Romani portano le mutande? La risposta è sì. In realtà non si tratta di mutande vere e proprie, ma di una specie di perizoma di lino, chiamato subligar, che si annoda intorno alla vita e fascia le parti intime.
Vi stupirete di sapere che non sempre è la prima cosa che si indossa la mattina. È abbastanza diffusa, infatti, l’abitudine di non spogliarsi per andare a letto, ma di andarci semivestiti; ci si toglie il mantello, lo si getta su una sedia (o lo si usa come una coperta) e si rimane solo con il perizoma e la tunica. È così che si si infila nel letto: la tunica che si è indossato durante la giornata funzionerà anche da “pigiama”. A noi può sembrare un’abitudine poco igienica, ma in fondo è quello che si faceva fino al secolo scorso nelle nostre campagne. Con una differenza: i Romani sono molto più puliti, perché vanno ogni giorno alle terme. Quindi, ci si è lavati a fondo qualche ora prima di andare a letto. Il solo problema è che i vestiti rimangono sporchi.
Il capo d’abbigliamento di base della moda romana è la famosa tunica. C’è un modo per capire la sua praticità. Immaginate di infilarvi una maglietta lunga fino alle ginocchia (diciamo una XXL), che poi si stringe in vita con una cintura. Ebbene, con le dovute differenze, la tunica è qualcosa di molto simile.
È davvero sorprendente vedere come anche noi, in fondo, continuiamo a utilizzare (soprattutto d’estate) una soluzione nata nell’antichità. Le diamo solo un nome diverso: T-shirt.
Naturalmente i materiali non sono gli stessi. Se noi usiamo il cotone, un Romano invece usa di solito il lino, oppure la lana. Una lana non tinta, che ha una tonalità beige intensa: è la colorazione giusta per mascherare le macchie e la polvere.
Il lino ha una particolarità: viene prodotto e tessuto soprattutto in Egitto da dove è poi esportato in tutto l’Impero. Quindi ogni Romano, un po’ come noi, si veste con indumenti prodotti in Paesi lontani, fenomeno che è il risultato della prima grande globalizzazione della Storia, quella avvenuta nel Mediterraneo a opera di Roma. […]
La tunica va bene per qualunque occasione: la si usa come camicia da notte, come sottoveste per la toga, o come abito vero e proprio nelle classi più umili. In effetti un povero, dopo averla indossata, si infila i sandali ed esce di casa. Un ricco, no: perché è questo il momento in cui deve vestire l’indumento più importante dei cittadini romani, la toga.
Potremmo definirla la “giacca e cravatta” dell’epoca, cioè un indumento di rappresentanza per mostrarsi in pubblico, soprattutto nelle occasioni importanti.
È stata usata fin dai tempi più antichi, e ha conosciuto una vera e propria evoluzione. Inizialmente aveva dimensioni ridotte, poi è diventata sempre più grande: distesa per terra ha la forma di un semicerchio (di lana o lino) di sei metri di diametro!
Non stupisce quindi che per indossare la toga sia spesso necessario l’aiuto di uno schiavo. Come sta accadendo ora al nostro dominus (fig. 1). E questo ci permetterà di capire come s’indossa.
Il padrone è in piedi, immobile, lo sguardo fisso all’orizzonte. Lo schiavo gli poggia la toga sulle spalle quasi fosse una coperta, avendo cura però di non centrarla perfettamente, ma di lasciare un lembo più lungo su uno dei lati, che scende fino a terra. Con delicatezza raccoglie questo lembo e lo passa sotto un’ascella facendogli fare un giro sul torace fino al collo, come una bandoliera. Poi, a mo’ di sciarpa gli fa fare un ampio giro intorno al collo e lo fissa con una spilla all’altezza della clavicola. Ma non basta: il lembo è ancora così lungo che ci vuole un altro giro intorno al corpo, infilandolo sotto i giri precedenti. Alla fine, lo schiavo si allontana per dare uno sguardo generale. È soddisfatto. Il suo padrone è molto elegante, soprattutto per il gioco di pieghe che gli danno nobiltà. Un braccio è libero, mentre l’altro è semicoperto dal drappeggio e il dominus deve tenerlo sempre un po’ sollevato per evitare che la toga strusci per terra e si sporchi. È un po’ scomodo ma ci si fa presto l’abitudine.

(fig. 1) Il "dominus" si fa aiutare da un servo per indossare la toga. Immagine di L. Tarlazzi.
(fig. 1) Il “dominus” si fa aiutare da un servo per indossare la toga. Immagine di L. Tarlazzi.

La toga è davvero un simbolo della cultura e della civiltà di Roma. Solo i cittadini romani possono indossarla, ed è invece vietata agli stranieri, agli schiavi o ai liberti (gli schiavi resi liberi). Le toghe, quasi fossero delle uniformi, seguono un vero “codice sociale”: hanno nomi diversi a seconda di chi le porta e dell’uso che se ne fa. Ad esempio, quelle bianche bordate di una banda color porpora, dal significato protettivo (toga prætexta), sono indossate dai senatori e dai ragazzi fino ai quattordici/quindici anni. A quell’età un ragazzo l’abbandona con un’importante cerimonia. È un rito di passaggio che segnala la fine dell’adolescenza. Da questo momento il ragazzo è “ufficialmente” adulto, cioè abile alle armi e alla vita pubblica.
E i pantaloni? Non se ne vedono molti in giro. I pantaloni in effetti sono un indumento estraneo alla cultura romana e mediterranea. All’epoca di Traiano (98-117 d.C.) li indossavano solo i legionari. Ma sono dei modelli “corti” aderenti, che terminano poco sotto il ginocchio. In realtà, i pantaloni esistono, ma li indossano solo i nemici di Roma, i barbari, che li hanno “inventati”: sono le popolazioni celtiche e germaniche, a nord, e i Parti, a oriente, nell’attuale Iran. Ma non sarà sempre così. Nel giro di centocinquant’anni, i pantaloni “conquisteranno” Roma per la loro comodità e diventeranno parte integrante della moda romana. […]
Curiosamente i Romani non usano le calze (tranne a nord dove la rigidità del clima impone delle protezioni ai piedi), quindi appena tolte le scarpe restano a piedi nudi.
Esistono tanti tipi di scarpe: chiuse come degli stivaletti, aperte come i sandali, con tante strisce di pelle oppure con tanti piccoli “tacchetti”, veri e propri chiodi sulla scuola per una presa migliore (sono le famose caligæ, usate dai legionari) e così via.
Per la vita a Roma, i calcei, chiusi come dei mocassini, sono certamente le calzature preferite da tanti Romani benestanti, ma in casa difficilmente li indossano. Sapete perché? Il bon ton impone, quando si entra in casa, di togliersi le scarpe che si sono usate in strada: così nella domus si circolava con semplici sandali dalla suola di cuoio o di sughero. Quando si va da amici, li si porta dietro, perché ovviamente la stessa regola vale a casa loro.

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