in Archeologia Viva – Bimestrale, Anno XXXII – n.160 – Luglio/Agosto 2013.
Jean-Pierre Brun, Profumieri nel Foro di Paestum
Che la Campania fosse diventata durante l’Impero romano, la regione dominante per la produzione di profumi, lo sapevamo da Plinio che scrive: questa regione «produce più profumi di quanto le altre producano olio». Plinio ne ricorda le ragioni: nell’area si ritrovano concentrati un eccellente olio d’oliva – l’oliva di Venafro – e rose di campo che fiorivano due volte all’anno. E, in aggiunta, una lunga tradizione di fabbricazione, risalente all’età etrusca, la presenza di mercanti che importavano spezie dall’Arabia e dall’India e, infine, schiavi orientali o liberti esperti nel fissare gli odori sull’olio. Oggi l’archeologia è in grado di mostrare i luoghi stessi di questa produzione, negli scavi di Pompei, di Ercolano e di Paestum. In particolare Paestum ci ha conservato una profumeria edificata al momento della creazione del foro, dopo la fondazione della colonia romana nel 273 a.C., e nella quale, in età flavia o all’inizio del II secolo d.C., viene impiantato un torchio con base di pietra. La bottega così allestita fu utilizzata nel II e probabilmente nel III secolo d.C.

I profumi erano diversi dai nostri perché utilizzavano sempre una base oleosa, spesso olio d’oliva, sulla quale si fissavano gli odori. La base era fondamentale e doveva essere preparata con gran cura. Sei erano le principali categorie di oli adottate: ben (Balanites Aegyptica), olive selvatiche o verdi, datteri adipsos (forse la palma dum), papavero, sesamo e mandorle. Per lungo tempo l’olio venne estratto da questi frutti e semi spremendone la pasta anche tramite sacchetti di tela che venivano torti come si torce un bucato, come mostrano alcuni dipinti egizi. Probabilmente era questo il tipo di strumento utilizzato nelle botteghe di Paestum tra il III secolo a.C. e il momento dell’istallazione del torchio a base di pietra. Appunto durante la seconda metà del I secolo d.C. entrarono in funzione i torchi a vite centrale: su entrambi i lati della base del torchio erano gli alloggiamenti per fissare due pali di legno collegati tra loro da una trave che passava sotto la pietra. Nella parte superiore della struttura, i due montanti erano collegati da una trave nella quale era inserita la vite.
Si realizzavano soprattutto oli profumati facendo macerare gli aromi e i petali di fiori in un bagno d’olio e d’acqua, oppure si riscaldavano insieme a bagnomaria. In Campania, famosa per il suo rhodinon italikon, essenziale era la rosa. La rilevanza della produzione di corone e di profumi motivava lo sviluppo straordinario delle coltivazioni di rose attorno a Paestum.

Adele Campanelli, A Paestum ‘in nome della rosa’
I roseti di Paestum erano famosi e sono rimasti famosi anche quando non esistevano più. Ecco ora la nuova piantumazione di rose nell’area archeologica dei templi, fatta in collaborazione con il Parco del Cilento. La bellezza della rosa e il suo profumo sono immediatamente connessi alla bellezza femminile che gli artisti classici hanno fissato nelle armoniose forme di Venere e nel vasto campo di simboli che legano a Venere alla nascita; anche il sorgere del giorno è associato, in alcune metafore letterarie, al manifestarsi di Venere in un giardino profumato di rose. Il mito narra come l’uso degli unguenti profumati rendesse la dea potentissima, dal momento che la sua arma evanescente e inafferrabile, penetrando attraverso qualsiasi difesa, arriva direttamente al cuore. Nell’antica Grecia l’importanza degli aromi nel rapporto amoroso è documentato dalle Adonie, la festa in cui si piangeva l’amante di Afrodite.
Il segreto della produzione di rose e il suo successo nel mondo antico sono stati rivelati da scavi e ricerche, che proprio a Paestum hanno evidenziato una bottega di profumiere. Appena fuori delle mura, un edificio sacro in località Santa Venera documenta – anche attraverso la persistenza del toponimo – un luogo di culto dedicato alla dea dell’eros. La vicinanza del mare, che lambiva il lato occidentale delle mura, suggerisce che la divinità era inizialmente l’Afrodite Ericina al cui culto sarebbero da riferire spazi e oggetti relativi alla pratica della prostituzione sacra. A questa combinazione di argomenti s’ispira la mostra “Rosantico”, inaugurata al Museo Archeologico di Paestum in concomitanza con la fioritura del roseto all’ingresso del parco archeologico.
Nella religione romana Venere è soprattutto la forza del desiderio carnale cui alcuni hanno voluto riferire anche l’oscura origine del nome di Afrodite, secondo i Greci derivato dal termine aphrós, che indica la schiuma del mare. Il mito esiodeo della nascita della dea dalle onde, nelle quali era stato scagliato il membro di Urano, collega Afrodite all’atto sessuale, definendo sin dall’inizio l’ambito del suo dominio. Una riflessione sul disusato termine “afrore”, che indica anche l’odore acre del corpo umano sudato, ci riporta all’ambiguità olfattiva cui si riferiscono recenti studi sul profumo, riportata a comportamenti tra i più antichi della specie umana da sempre interessata alla riproduzione della specie.
Il nome latino di Venere, Venus, è un neutro che indica la «forza amorosa», da cui deriva anche l’appellativo del filtro amoroso, il venenum. Venus rivela significati simili anche nella somiglianza della radice a quella del vino (che accende il desiderio). Sembra confermarlo l’epiteto osco della dea nota come Herentas, riferito dagli studiosi al verbo herio, «desiderio». Alcune ricette afrodisiache di vino mescolato a rose e al mirto potrebbero chiarire altri aspetti simbolici sulla pertinenza delle due piante alla sacralità di Venere.
L’abitudine a festeggiare Venere con infiorate, di cui ancora rimane la tradizione in molti centri dell’Italia centromeridionale, non era l’unica occasione nella quale era fondamentale una grande disponibilità di fiori: la produzione di fiori, e rose in particolare, era necessaria per corone e addobbi, ma anche nella medicina, nella cosmesi, nell’arte della profumeria, nella culinaria. La coltivazione e il commercio dei fiori alimentò i traffici e produzioni ceramiche che ebbero una grande diffusione in tutto il mondo antico, tracciando con le loro presenze una mappa distributiva che si estende da Cipro alla penisola arabica, dall’Egitto alla Campania, dalla Spagna alla Macedonia, da Cirene alla Caria. La fama che le fonti letterarie attribuiscono alla produzione di profumi in Campania è confermata dal ritrovamento di numerosissimi esemplari di porta-profumi e di edifici utilizzati per questo scopo a Capua, a Pozzuoli, a Pompei ed Ercolano e anche a Paestum.