Rose sulle monete

Oncia in bronzo da Paestum (Lucania), 264-241 a.C. ca. Bronzo – g 7,37; mm 19; h 9. Recto – Testa laureata e barbata di Nettuno; Verso – Nettuno che cavalca un delfino e impugna il tridente, con Nike che gli corona il capo. SNG Copenhagen.
Oncia in bronzo da Paestum (Lucania), 264-241 a.C. ca. Bronzo – g 7,37; mm 19; h 9. Recto – Testa laureata e barbata di Nettuno; Verso – Nettuno che cavalca un delfino e impugna il tridente, con Nike che gli corona il capo. SNG Copenhagen.

Per Marziale, vissuto a Roma nel I sec. d.C., le rose di Paestum sono quasi proverbiali: in uno dei suoi epigrammi, nell’elencare le qualità che vorrebbe trovare in un giovane schiavo, il poeta dice: «che i suoi occhi rivaleggino con lo scintillio delle stelle… che le sue labbra rosse sfidino le rose di Paestum»; e in un altro, a proposito di una fanciulla: «più bella delle perle dei mari d’Oriente… della neve vergine, del giglio immacolato… il cui alito aveva il profumo di un roseto di Paestum…». Ma cercheremo invano immagini dei fiori profumati sulle monete di Paestum: è Poseidone, la divinità dalla quale Poseidonia (Paestum) prese il nome, raffigurato sulle emissioni arcaiche e classiche, tra la fine del VI e il V sec. a.C., secondo un’abitudine attestata presso le póleis. Come Poseidone a Poseidonia, troviamo la testa di Atena e la civetta, animale sacro alla dea, sulle monete di Atene, o il Minotauro e il labirinto sulle monete della cretese Cnosso.
La volontà di autorappresentarsi sulle monete è particolarmente evidente nei casi in cui le póleis greche appongono dei tipi “parlanti”: pronunciando la parola che indica il tipo che compare sulla moneta, si evoca il nome della città. Esempi sono quelli di Focea in Asia Minore, che adotta come tipo monetario la foca (phokḗ); Selinunte in Sicilia, che ha come tipo la foglia di sedano (selínon); Melos nelle Cicladi che ha la mela (mḗlos). Fra i tipi “parlanti”, c’è quello di Rodi, le cui monete avranno, dalla fine del V sec. a.C. e per tutta l’età ellenistica, al dritto, la testa di Helios e, al rovescio, una rosa (rhódon). Il fiore è reso talvolta in maniera così naturalistica, da riprodurre le piccole spine delle foglie alla base del bocciolo schiuso (riconoscibile quindi nella varietà “rosa canina”). Più tardi, la rosa verrà raffigurata dall’alto, completamente sbocciata, e rimarrà simbolo di Rodi anche quando, con Alessandro, la monetazione del mondo greco verrà unificata.
Nella stessa Macedonia la rosa era associata al racconto mitico dell’origine della dinastia macedone. La leggenda, narrata da Erodoto, racconta che tre fratelli, Aeropo, Gavane e Perdicca, cacciati da Argo, dopo aver servito un sovrano locale, inseguiti dalle sue guardie si stabilirono in una parte della Macedonia vicina ai «giardini di Mida», dove crescevano «rose ciascuna con sessanta petali e dal profumo insuperabile». Di lì il più giovane, Perdicca, partì per fondare il regno di Macedonia. Le rose dai sessanta petali dei giardini di Mida sono poi diventate «dai cento petali» nel trattato di Teofrasto sulle piante, dove si dice che crescevano nei dintorni di Filippi e sul Pangeo, il massiccio della Grecia settentrionale famoso per i metalli preziosi. Così alcune delle città della regione scelsero di utilizzare quale tipo monetale la rosa, come nel caso di Tragilos, che sorgeva non lontano da Filippi ai piedi del Pangeo. In altre monete coniate nella stessa area, un motivo floreale che compare come simbolo accanto al tipo principale è stato identificato con la rosa del Pangeo: è il caso delle monete, battute all’inizio del V sec. a.C., delle locali tribù dei Derroni e dei Migdoni.

Tetradramma in argento, da Rodi. 404-385 a.C. ca. Argento – 22 mm, 14, 98 g, 12 h. Recto – Testa di Elio (il sole); Verso – una rosa vista di profilo.
Tetradramma in argento, da Rodi. 404-385 a.C. ca. Argento – 22 mm, 14, 98 g, 12 h. Recto – Testa di Elio (il sole); Verso – una rosa vista di profilo.

Cit. art. di A. Polosa, in Archeologia Viva – Bimestrale, Anno XXXII – n.160 – Luglio/Agosto 2013, pp. 20-21.

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