Una sera – narra Platone – a casa di Cefalo, padre di Polemarco, si trovano riuniti Socrate con Lisia, Eutidimo, Trasimaco ed altri. Mancando la televisione, si discute dei grandi temi e di cosa sia la giustizia. Ad un certo punto della conversazione, Trasimaco si lancia in un elogio dell’ingiusto che costringerà Socrate, il quale sostiene che nelle cose grandi anche i particolari più piccoli risultano meglio visibili, a costruire il più giusto degli stati. La Repubblica che Platone fa inventare al personaggio di Socrate, si fonda su tre idee rivoluzionarie: affidare il potere ai filosofi, assegnare identica dignità alle donne, se opportunamente educate alla filosofia e spossessare i governanti di ogni loro bene. Questa repubblica verrà anche confrontata con le altre forme di costituzione: il regno, l’oligarchia, la democrazia e la tirannide dando luogo a passi sconvolgenti per la loro attualità.
TRASIMACO «[…] E devi poi tenere presente questo, sempliciotto d’un Socrate, che in qualunque modo un uomo giusto ci perde rispetto ad un ingiusto.
Ciò vale anzitutto nei contratti d’affari: ogni volta che si associano un giusto e un ingiusto, non troverai mai che allo sciogliersi della società il giusto ci guadagni sull’ingiusto, bensì che ci perde. Poi, nei rapporti con lo Stato: quando ci siano dei tributi da pagare, il giusto, a parità di condizioni, paga di più, l’altro di meno; e quando c’è da ricevere, l’uno non guadagna nulla e l’altro molto.
Quando l’uno e l’altro ricoprono una carica pubblica, al giusto succede, anche se non gli capitano altri guai, di veder andare sempre peggio i propri affari, non potendosene occupare, e di non ricavare dalla cosa pubblica profitto alcuno, a causa della sua giustizia; e di venire poi in odio ai familiari e ai conoscenti se non vuole favorirli per rispettare la giustizia. All’ingiusto accade tutto l’opposto. Mi riferisco a chi dicevo poco fa, a chi è assai abile a soverchiare. Ed è a questi che devi guardare, se è vero che vuoi giudicare quanto maggior utile egli ritragga dalla ingiustizia che dalla giustizia. Lo comprenderai senza fatica se ti spingerai fino a realizzare l’ingiustizia assoluta, che rende sommamente felice chi la commette e sommamente infelice chi la subisce e rifugge dal commetterla.
Parlo della tirannide, che con inganno e violenza porta via i beni altrui, sacri e profani, privati e pubblici, non un po’ alla volta, ma tutti in un colpo: e quando in ciascuno di questi ambiti uno viene sorpreso a commettere un atto contro giustizia, non solo viene punito, ma riceve anche i titoli più disonorevoli. A coloro che, ciascuno nel proprio àmbito, si rendono colpevoli di simili misfatti contro giustizia, si dà il nome di sacrileghi, di schiavisti, di sfonda-muri, di rapinatori, di ladri… Ma quando uno, oltre che delle sostanze dei concittadini, s’impadronisce delle loro persone e se ne serve come schiavi, anziché ricevere questi turpi titoli, ecco che è chiamato felice e beato non soltanto dai concittadini, ma anche da quanti vengono a sapere che ha realizzato l’ingiustizia assoluta. Chi biasima l’ingiustizia lo fa non perché tema di commettere le azioni ingiuste, ma perché teme di patirle. E così, Socrate, sempre che sia realizzata in misura adeguata, l’ingiustizia è più forte e più degna di un uomo libero e di un signore di quanto lo sia la giustizia; e, come dicevo fin da principio, la giustizia consiste nell’utile del più forte, e l’ingiustizia in ciò che comporta vantaggio e utile personale».

Molte pagine dopo, quasi al termine dell’opera di edificazione dello “Stato giusto” cui Socrate si è sobbarcato per contrastare Trasimaco, dice:
S – E ora ci resterebbero da esaminare la più bella costituzione e il più bel tipo umano, secondo quanto dice Trasimaco, ossia la tirannide e il tiranno.
T – Precisamente.
S – Allora, suvvia, caro amico, quale è il carattere della tirannide? È pressoché chiaro che risulta da una trasformazione della democrazia.
T – Sì, è evidente.
S – Ora, non nascono in maniera pressappoco identica la democrazia dall’oligarchia e la tirannide dalla democrazia?
T – Come?
S – Quel bene, dissi, che i cittadini si erano proposti come obiettivo e che comportava l’instaurazione dell’oligarchia era la ricchezza eccessiva, non è vero?
T – Sì.
S – A rovinare l’oligarchia furono dunque l’insaziabilità di ricchezza e la noncuranza del resto, provocata dall’avarizia..
T – È andata così.
S – Ebbene, a distruggere la democrazia, non è pure l’insaziabilità di ciò che essa definisce un bene?
T – E, secondo te, che cosa essa definisce così?
S – La libertà. In uno Stato democratico sentirai dire che la libertà è il bene migliore e che soltanto là dovrebbe perciò abitare ogni spirito naturalmente libero.
T – Sì, è una frase molto comune.
S – Allora, come stavo per dire, l’insaziabilità di libertà e la noncuranza delle altre cose non mutano anche questa costituzione? Non la preparano a ricorrere fatalmente alla tirannide?
T – E come?
S – Quando, credo, uno Stato democratico si trova alla mercé di cattivi “coppieri” e troppo si inebria di schietta libertà; a quel punto – a meno che i suoi governanti non siano assai miti e non concedano grande libertà – li pone in stato d’accusa e li condanna come “oligarchici”.
T – Si, si comporta così.
S – E coloro che obbediscono ai governanti li copre d’improperi, trattandoli da gente contenta di essere schiava e buona a nulla, mentre loda e onora privatamente e pubblicamente i governanti che sono simili ai governati e i governati che sono simili ai governanti. Non è inevitabile che in uno Stato simile il principio di libertà si allarghi del tutto?
T – Come no?
S – E così, mio caro amico, si sviluppa l’anarchia e s’insinua nelle case private e s’estende fino alle bestie.
T – Come possiamo convenire su una cosa simile?
S – Beh, per esempio, nel senso che il padre si abitua a comportarsi come il figlio e a temere i figli stessi, e il figlio ad atteggiarsi come un padre, senza portar rispetto né timore verso i genitori, per sentirsi “libero”; e lo straniero (lett., il meteco) si pone sullo stesso piano di diritto del cittadino, e viceversa.
T – Sì, succede così.
S – A tutto ciò si aggiungano altre bagatelle, come queste, per esempio: in un sistema come questo, un maestro teme e adula i propri alunni; e gli alunni se ne infischiano di lui, così come degli educatori (lett., i pedagoghi). In generale, i giovani si pongono alla pari degli anziani e li emulano nei discorsi e nelle azioni, mentre gli adulti e i vecchi accondiscendono ai giovani, si fanno giocosi e faceti, imitandoli, per non passare per dispotici e disprezzabili.
T – Senza dubbio, accade questo.
S – Ma, a dirla tutta, caro mio, l’estremo della libertà cui la massa può giungere in uno Stato come questo si ha quando le persone, uomini e donne, acquistate (cioè, gli schiavi) sono “liberi” tanto quanto lo sono i loro acquirenti. Ah, e quasi ci siamo scordati di dire quanto grandi siano la parificazione giuridica e la libertà nei rapporti reciproci fra uomini e donne.
T – Ebbene, con Eschilo non «diremo quel che ora è venuto alle labbra»?
S – Precisamente! La penso così anch’io. Consideriamo ora gli animali domestici (lett., soggetti all’uomo): nessuno potrà convincersi, senza averli visti, che qui, in un sistema simile, siano più liberi che in qualsiasi alto posto al mondo. Le cagne – per stare al proverbio – sono esattamente «come le loro padrone»; e ci sono cavalli e asini che, abituati a camminare in piena libertà e solennità, cozzano per le strade contro i passanti, se non si scansano. E dappertutto c’è questa libertà. Ora, non pensi anche tu quanto l’anima dei cittadini si lasci impressionare dal sommarsi di tutte queste circostanze insieme raccolte, al punto che uno, se gli si prospetta anche la minima forma di schiavitù, si sdegna e non la tollera? E tu sai che finiscono con il trascurare del tutto le leggi scritte e quelle non scritte per poter essere assolutamente senza padroni.
T – Certo che lo so.
la prima parte mi sembra che abbia nome Berlusconi, l’ingiusto
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L’ha ribloggato su Scelti per voi.
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