di P. DE SOUZA, The Greek and Persian Wars 499-386 BC, Osprey Pub. 2002, pp. 58-66.
Sul mare i Greci avevano acquisito sicurezza, visti i loro successi e la loro buona sorte, ma il terzo giorno le cose cambiarono. I nemici erano di nuovo riusciti a circondarli e nel successivo scontro entrambe le parti subirono numerose perdite, che i Greci non si potevano permettere.
Dopo aver ricevuto la cattiva notizia delle Termopili, la flotta greca si diresse verso l’isola di Salamina, al largo di Atene. Erano stati gli stessi abitanti di Atene a sollecitare la flotta. La popolazione della città doveva essere evacuata a Trezene, nel Peloponneso orientale, e nelle isole di Salamina ed Egina, per metterla in salvo dai Persiani. La decisione di abbandonare Atene e l’Attica ai Persiani ed evacuare la popolazione via mare fu coraggiosa e venne votata dall’Assemblea cittadina (ekklēsía), e rappresenta un autentico esempio del funzionamento della democrazia ateniese. L’opinione della maggioranza prevalse dopo un lungo dibattito, condotto sotto la minaccia dell’invasione persiana.

Mentre i Persiani avanzavano nel Nord della Grecia, gli Ateniesi mandarono una delegazione all’Oracolo di Delfi per chiedere un consiglio divino. Quando si consultava l’Oracolo, la normale procedura prevedeva che la sacerdotessa di Apollo, chiamata Pizia, proferisse le parole del dio – di solito una serie di frasi incomprensibili – rivolgendosi ai suoi sacerdoti, che dovevano poi interpretarle per i consultanti. Ma in questa occasione, gli inviati avevano fatto appena in tempo a prendere posto nella camera sacra della Pizia che le gridò rivolta direttamente a loro:
«Sciagurati! Perché vi sedete? Lasciate le vostre case e la vostra cittadella rocciosa e scappate ai confini della terra!».
Quest’ordine fu seguito da terribili avvertimenti sull’imminente rovina non solo di Atene, ma di molte altre città nelle mani dei Persiani. Anche se vi furono colti di sorpresa da questo sfogo, i due inviati ateniesi dovevano concludere la loro missione: quindi ascoltarono il consiglio di uno dei principali funzionari delfici e fecero un’altra più umile supplica per avere il consiglio di Apollo.
Il loro secondo tentativo ottenne una risposta più incoraggiante. Come al solito, l’Oracolo fu proferito agli Ateniesi in forma poetica:
«Non è nei poteri di Pallade Atena placare Zeus Olimpio,
anche se ve lo supplica con molte parole e sagace astuzia,
ma vi darò una seconda risposta, inflessibile come acciaio:
quando saranno tutte le terre di Cecrope e boschi segreti
del Citerone, divino, conquistate, allora
Zeus celeste concederà ai figli di Tritone un ligneo muro,
unico inespugnabile baluardo,
che sarà salvezza per voi e i vostri figli.
Non aspettate l’arrivo della cavalleria e della fanteria
dal continente, ma ritiratevi, volgetegli le spalle.
Li affronterete un’altra volta. Ah, divina Salamina!
Tu distruggerai i frutti delle donne,
quando Demetra si sparge o quando si raccoglie!».
Come spesso accadeva quando le póleis ricevevano un responso dall’Oracolo di Delfi, ad Atene si aprì un dibattito sul significato di queste parole. I riferimenti ad Atena incapace di placare Zeus, alla conquista delle terre dentro i confini di Cecrope (uno dei mitici re di Atene) e ai boschi del monte Citerone (al confine della Beozia) indicavano che l’intera Attica sarebbe stata invasa dai Persiani. Secondo qualcuno, il riferimento al muro di legno che sarebbe rimasto intatto significava che era necessario difendere una zona, che logicamente doveva essere l’Acropoli, con una palizzata di legno, ma Temistocle e i suoi sostenitori propendevano per un’altra interpretazione. Essi sottolineavano l’accenno a Salamina, un’isola del golfo Saronico a ovest di Atene, e a un esercito in arrivo dal continente, interpretando l’oracolo come un ordine di abbandonare il territorio invaso dell’Attica e ritirarsi a Salamina. Nella loro ipotesi il muro di legno era una metafora e si riferiva agli scafi della nuova flotta da guerra ateniese. Il riferimento a Demetra, dea delle messi, indicava addirittura il periodo dell’anno in cui sarebbe avvenuta la vittoria promessa. Alla fine prevalse la loro interpretazione, e l’Assemblea ordinò con un decreto di evacuare la città e allestire una flotta.

Una versione rivista del decreto fu conservata a Trezene. Da lì è preso il seguente frammento:
«La boulḗ e l’ekklēsía hanno deciso. Temistocle di Neocle, del demo di Freari propose: si affidi la città di Atena, patrona della città, e a tutti gli altri dèi perché la proteggano e tengano lontani i barbari. Tutti gli Ateniesi e gli stranieri che risiedono in città mettano in salvo i figli e le donne a Trezene… i vecchi e i beni mobili, poi, li portino al sicuro a Salamina… tutti gli altri, Ateniesi e stranieri nel vigore degli anni, si imbarchino nella flotta e combattano i barbari in difesa della loro libertà e di quella degli altri Greci…».
Il decreto fu approvato nell’estate del 480 a.C., prima della battaglia di Salamina. Gli Ateniesi avevano deciso di resistere ai Persiani, riponendo fiducia nella cooperazione degli altri Greci. Un decreto precedente aveva richiamato tutti i cittadini ateniesi che erano stati ostracizzati, tra cui molti avversari politici di Temistocle, a cui venne ordinato di recarsi a Salamina.
Alla fine poche persone rimasero in città, in particolare i tesorieri dei templi e le sacerdotesse dei culti dell’Acropoli, che non potevano essere completamente abbandonati al nemico. Alcuni degli Ateniesi più poveri erano ancora convinti che un vero muro di legno avrebbe fermato i barbari e si barricarono all’interno dell’Acropoli dietro una palizzata di legno. I Persiani occuparono l’attica all’inizio del settembre dello stesso anno e saccheggiarono Atene. Presero posizione sulla collina dell’Areopago, di fronte all’ingresso dell’Acropoli e scagliarono frecce incendiarie all’interno della palizzata. Alcuni Ateniesi discendenti dalla famiglia di Pisistrato, che erano dalla parte dei Persiani, cercarono di convincere i difensori alla resa, ma alla fine i Persiani dovettero prendere d’assalto la cittadella. Uccisero tutti quelli che erano rimasti e saccheggiarono e dettero alle fiamme i templi.
Inoltre, Serse spedì un parte della sua armata a Focea, per devastare le campagne e depredare la città. I Focesi scapparono verso ovest, seguiti anche da molti cittadini di Delfi, ma il santuario di Apollo scampò al saccheggio. Il resoconto di Erodoto narra che quanto scrive a proposito gli fu riferito dai sacerdoti del tempio: mentre un distaccamento dell’esercito del Grande Re si stava avvicinando, i sacerdoti rimasti chiesero al dio che cosa dovessero fare ed egli rispose che li avrebbe protetti; quando i soldati persiani s’incamminarono sullo stretto pendio dei monti in direzione del tempio, ci fu un tremendo tuono e due fulmini colpirono una parete rocciosa sopra le loro teste; caddero due enormi macigni che uccisero alcuni, mettendo gli altri in fuga. Una spiegazione alternativa è che Serse era ben disposto nei confronti dei sacerdoti delfici, che avevano fatto del loro meglio per convincere i Greci dell’inutilità di resistergli, e quindi avrebbe deciso di non mettere al sacco il santuario. Nelle satrapie dell’Impero non era insolito riservare un trattamento di riguardo ai principali centri religiosi.

Le flotte si preparano alla battaglia.
Dopo aver coperto l’evacuazione degli Ateniesi a Salamina, la flotta greca restò in attesa in una baia della costa orientale dell’isola, mentre i comandanti discutevano se ritirarsi nell’Istmo di Corinto, dove c’erano maggiori possibilità di difesa. Molti stati del Peloponneso avevano già deciso che su quella stretta striscia di terra sarebbe stato più facile resistere all’avanzata persiana. Quando la notizia della sconfitta delle Termopili li raggiunse, gli Spartani e gli altri abitanti del Peloponneso, che avevano appena finito di celebrare le festività delle Carnee, si riunirono immediatamente nell’Istmo e cominciarono a costruire un muro fortificato nel suo punto più stretto.
Quando i Persiani entrarono in Attica, i comandanti della flotta cominciarono a discutere sul da farsi. Dopo un giorno di litigi inconcludenti, si interruppero per la notte. Il giorno seguente la flotta persiana arrivò e si posizionò nelle acque oltre la baia del Falero, a est di Salamina. Le navi erano state decimate dalle tempeste e dalla battaglia ma se ne erano aggiunte altre perché alcuni Greci erano stati costretti a combattere dalla loro parte, quindi la forza complessiva probabilmente superava le 700 navi. La lega delle póleis, che avevano solo poco più di 300 navi, non si mossero, ma continuarono le loro discussioni fino a quando non vennero interrotti dalla notizia che i barbari avevano preso l’Acropoli. Inoltre, un grosso contingente dell’esercito persiano cominciò ad avanzare verso l’Istmo di Corinto. Queste manovre convinsero la maggior parte dei comandanti ad abbandonare Salamina prima che la flotta persiana li circondasse. Temistocle e gli Ateniesi supplicarono Euribiade, lo spartano che era ancora a capo della flotta, ma egli era convinto che l’opzione dell’Istmo fosse la migliore. Ordinò ai trierarchi di prepararsi alla partenza con il favore dell’oscurità. Ma nel corso della notte Euribiade cambiò idea e il mattino seguente la flotta greca era tutta ancora a Salamina, pronta ad affrontare il nemico. […]
Le due flotte erano a conoscenza delle rispettive posizioni, anche se nessuna delle due poteva vedere direttamente i propri avversari ed entrambe avrebbero potuto condurre molte manovre senza essere scoperte. I comandanti dovevano ottenere delle informazioni sul nemico per decidere la mossa successiva. Per i Persiani la cosa più importante da sapere era se i Greci sarebbero stati fermi a Salamina, o se invece si sarebbero ritirati verso ovest attraverso lo stretto di Megara. In parte avrebbero potuto prevederlo, osservando la posizione dei nemici dalla terraferma di fronte all’isola, sebbene una piccola isola (oggi chiamata Agios Georgios) li impedisse la visuale completa; pertanto, era naturale che i Greci avrebbero potuto allontanarsi durante la notte. Per quanto riguarda i Greci, la questione era capire se ci fosse una via di fuga praticabile. L’esercito nemico stava muovendo lungo la costa della baia di Eleusi e presto avrebbe occupato la zona immediatamente a nord di Salamina, nei pressi dello stretto di Megara. Se un’unità della flotta persiana avesse navigato a sud dell’isola e avesse attraversato lo stretto da ovest, mentre la flotta principale rimaneva a est, avrebbero completamente tagliato fuori i Greci dal resto del Peloponneso. Una simile manovra era già stata tentata dai comandanti persiani quando i Greci avevano fatto base all’Artemision. Se non fosse stato per la tempesta sarebbero riusciti a intrappolarli in quell’occasione.
Erodoto narra che fu esattamente ciò che fecero i Persiani: Temistocle li spinse all’iniziativa, inviando a Serse stesso un servo fidato, di nome Sicino, con un messaggio segreto, che annunciava l’imminente partenza dei Greci e gli consigliava di non perdere l’ultima occasione di attaccarli prima che fuggissero. Il messaggio riferiva che, se avesse attaccato, il Re li avrebbe colti impreparati e disuniti e avrebbe ottenuto facilmente la vittoria. Ma è vero che Temistocle mandò un messaggio al nemico e che i Persiani lo abbiano preso sul serio? Un motivo per dubitare di questo aneddoto è che in seguito lo stesso ammiraglio venne esiliato dagli Ateniesi e chiese asilo ai Persiani stessi. È probabile che i suoi avversari politici abbiano inventato l’episodio del messaggio per rovinarne la reputazione. Comunque siano andate le cose, non si sa se il messaggio avrebbe cambiato il corso degli eventi. Quello che è certo è che quella sera i Persiani cominciarono a schierare le navi in posizione da battaglia, ma è ancora tutto da chiarire se lo abbiano fatto dopo aver ricevuto il fantomatico messaggio o perché il sovrano avesse deciso indipendentemente di prendere l’iniziativa proprio quella notte. Serse ordinò che una squadra composta da duecento navi egiziane si dirigesse verso la costa orientale di Salamina per bloccare la strada che portava all’Istmo passando per l’angusto stretto di Megara. Un’altra squadriglia venne inviata con l’ordine di presidiare gli ingressi meridionale e orientale all’isola, mentre il resto della flotta si spinse nello stretto tra Salamina stessa e la terraferma, verso la flotta greca. Una piccola forza d’élite della fanteria persiana era intanto sbarcata nella piccola isola di Psitallia per occuparla in previsione del fatto che durante il combattimento alcune navi vi si sarebbero potute arenare. Le navi persiane avrebbero impiegato parecchio tempo a spostarsi dal Falero all’imbocco dello stretto, nonostante cominciassero a muoversi al crepuscolo; verso la mezzanotte alcune di esse dovevano ancora prendere posizione. Molti comandanti non conoscevano le acque intorno all’isola e Erodoto aggiunge che queste manovre che venivano eseguite «in silenzio», affinché i Greci non se ne accorgessero. È ragionevole supporre che i Persiani sperassero di stanare il nemico dagli stretti canali attorno alla costa orientale dell’isola nelle acque più aperte della baia di Eleusi. Non si aspettavano che i Greci potessero tentare di sconfiggere la grande potenza navale di Serse, ma credevano che sarebbero scappati verso ovest per cercare di aprirsi la strada oltre il più piccolo distaccamento egizio. I comandanti persiani posizionarono le loro navi in mare sul far dell’alba, a prescindere dal messaggio di Temistocle, perché la trappola doveva scattare prima che scendesse l’oscurità e i Greci potessero scappare più facilmente. Quindi, non è detto che sia stato il messaggio di Sicino a spingere Serse ad agire. I Persiani avrebbero seguito il piano prestabilito anche senza quel messaggio, perché né gli osservatori sulla terraferma, né le navi da esplorazione sul mare potevano vedere i Greci, qualora avessero deciso di scappare nascosti dall’oscurità, o persino al crepuscolo. Bloccando l’unica via di fuga possibile al calar della notte, i barbari avrebbero evitato la fuga dei nemici.
I Greci ricevettero due rapporti delle manovre dei Persiani: il primo lo fece l’equipaggio di un’altra nave greca proveniente dall’isola di Tinos che aveva abbandonato i Persiani per passare dall’altra parte; essi rivelarono il piano persiano a Euribiade e ai suoi comandanti, ma l’attendibilità dell’informazione fu posta in dubbio; più tardi, quella sera stessa, Aristide, uno degli Ateniesi richiamati dall’esilio, tornò da un giro di ricognizione con la notizia che i Persiani stavano circondando la postazione greca e non era più possibile ritirarsi verso l’Istmo senza combattere. Temistocle continuava a sottolineare la necessità di affrontare la flotta persiana, affermando che era meglio condurre la battaglia sugli stretti nella parte orientale di Salamina che nella baia di Eleusi o nelle acque più aperte intorno all’Istmo. La situazione cambiò quando Temistocle e i suoi concittadini minacciarono di abbandonare completamente il resto dei Greci e di andarsene in Italia con le loro famiglie. Le navi ateniesi costituivano il contingente maggiore della flotta greca lì radunata, e di conseguenza la loro presenza in uno scontro navale era più che essenziale. In queste circostanze non c’è da meravigliarsi che Euribiade cambiasse idea e guidasse la flotta greca in battaglia. ogni speranza di sgattaiolare via nascosti dall’oscurità era stata vanificata dal dispiegamento delle navi persiane. L’unica possibilità rimasta era uscire allo scoperto e dar battaglia, con la speranza che combattendo in acque relativamente strette la flotta nemica non sarebbe stata in grado di sfruttare la propria superiorità numerica.

La battaglia.
Ansioso di assistere a una schiacciante vittoria, Serse si era fatto costruire un punto d’osservazione dal quale poteva guardare la battaglia. Si trovava di fronte alla città di Salamina, con una buona vista su Psitallia, l’isola su cui durante la notte erano scese le sue truppe d’élite. Ma invece di assistere al trionfo definitivo della sua flotta sui Greci, egli vide svolgersi davanti ai propri occhi una tremenda disfatta navale.
I vari contingenti della flotta persiana divisi per etnia erano allineati su diverse file, poste l’una dietro all’altra lungo lo stretto canale. I Fenici erano posizionati sull’ala destra, vicino al punto in cui si trovava Serse, mentre gli Ioni erano a sinistra, più vicini a Salamina. Man mano che avanzavano all’interno del canale, le navi persiane cominciarono a premere le une sulle altre a causa della ristrettezza degli spazi e non riuscirono più a mantenere la formazione. Gli equipaggi non avevano riposato durante la notte ed erano spossati. A peggiorare la situazione, il mare cominciò ad agitarsi, rendendo ancor più difficile l’avanzata dei vascelli. Temistocle, che conosceva bene le condizioni del mare locali, aveva previsto l’arrivo delle onde e aveva convinto gli altri comandanti greci ad aspettare che le navi avversarie rompessero le fila prima di attaccarle. Questo spiegherebbe l’apparente ritirata greca che, secondo Erodoto, precedette il primo scontro, e che può essere interpretata come il passaggio da una formazione passiva ad una più attiva.
Le navi ateniesi ed eginetiche si posizionarono sulle due ali e guidarono la carica per sfondare le linee nemiche, speronando le singole navi che cercavano di fare manovra. Ai Persiani sembrò che le navi greche si stessero girando dall’altra parte e ovviamente pensarono che intendessero ritirarsi.
Eschilo, nella tragedia I Persiani, parla di un segnale di tromba rivolto alla flotta greca, che poteva essere stato predisposto per avvisare i capitani del momento giusto per farsi avanti ed attaccare. Segnali di questo tipo erano stati utilizzati per coordinare le azioni della flotta greca all’Artemision. Sembra dunque che entrambe le parti avessero in una certa misura stabilito in anticipo lo svolgimento della battaglia. Ma, come in tutti gli scontri, una volta cominciata l’azione, era impossibile attenersi a un piano specifico, anche se ce n’era uno, e spettava ai comandanti delle singole navi prendere decisioni al momento. Di fronte all’attacco greco, la prima decisione di molti comandanti delle prime linee della flotta persiana fu quella di girarsi, aumentando ancor di più la confusione, perché si scontrarono con le linee successive.
I trierarchi greci approfittarono di quel caos e spronarono i propri equipaggi – più freschi e riposati – a incalzare i nemici, con un grande successo.
Nel suo resoconto della battaglia, Erodoto si concentra soprattutto su una serie di aneddoti delle imprese di vari individui o gruppi. Questi aneddoti, come molte delle storie riportate nella sua opera, sono versioni degli eventi raccontati da gruppi o individui particolari e quindi sono spesso parziali e non danno il quadro completo della battaglia.
Erodoto, VIII 94, 1: «Gli Ateniesi racconto che Adimanto, comandante corinzio, subito, al primo inizio, non appena le flotte presero contatto fra loro, sbigottito e oltremodo spaventato, issate le vele si diede alla fuga e i Corinzi, al veder ritirarsi la nave ammiraglia, fecero altrettanto». È probabile però che questa ritirata verso nord, che Erodoto presenta come un atto di codardia, sia stata in realtà una manovra deliberata per affrontare l’unità egizia e impedirle di attaccare i Greci alle spalle. Infatti, lo storico stesso prosegue: «Tuttavia, i Corinzi, essi almeno, non accettano questa versione dei fatti; anzi, ritengono di essersi distinti fra i primi durante il combattimento, e a loro favore c’è anche la testimonianza del resto della Grecia».
Uno degli aneddoti più coloriti riguarda Artemisia, regina di Alicarnasso, la città natale di Erodoto, che era sotto il dominio persiano. Ella si trovava al comando della propria nave in prima linea; quando una trireme ateniese si avventò sulla su di essa, ella cercò la fuga, ma il passaggio era bloccato dalle altre navi; «si decise in una mossa tattica che, quando l’ebbe compiuta, fu coronata da successo: poiché, incalzata dalla nave ateniese, si slanciò d’impeto sulla trireme licia, guidata da Damasitimo, re di Calinda […]. Non appena l’ebbe speronata e affondata, favorita dalla fortuna, ne ricavò due vantaggi: infatti, il comandante attico, come la vide dar di sprone contro una nave persiana, pensando che la nave di Artemisia […] avesse disertato dal Grande Re, cambiata direzione, si mise a inseguire delle altre […]; oltre a ciò, la fortuna volle che, pur avendo combinato un danno, si guadagnasse per questo stesso fatto la massima stima da parte di Serse. Si racconta, infatti, che il re – che stava osservando la battaglia – notò quella nave che ne speronava un’altra e fu allora che uno dei presenti esclamò: “Vedi, maestà, con quale valore combatte Artemisia, la quale ha da poco affondato una nave avversaria?”; egli chiese se quell’impresa era proprio della regina e gli fu risposto di sì, perché riconoscevano distintamente l’insegna sulla nave e credevano che quella affondata appartenesse ai nemici. In effetti, tra le altre fortune che, come s’è detto, le toccarono, le andò bene anche questo: che dell’equipaggio di quella nave di Calinda, nessuno si salvò e nessuno poté, di conseguenza, accusarla. Si vuole che Serse, a quanto gli riferirono, abbia esclamato: “Al mio servizio gli uomini sono diventati donne, e le donne uomini!” […]» (Erodoto, VIII 87-88).
Un’altra storia riguarda i soldati persiani sull’isola di Psitallia. Essi dovevano presidiare l’isola in previsione che il grosso della flotta greca sarebbe stato condotto lontano, verso nord-ovest. Invece, si trovarono isolati rispetto alle loro navi ed esposti agli attacchi dalla vicina costa di Salamina. Aristide, che dopo essere tornato dall’esilio era stato nominato stratego, comandava alcune piccole unità e guidò un gruppo di opliti attici sull’isola. Le truppe persiane d’élite vennero massacrate sotto gli occhi del Re. Tra loro si trovavano anche suoi tre nipoti. Lungo le coste di Salamina vennero catturati o uccisi altri Persiani mentre cercavano un approdo di fortuna dalle navi che stavano naufragando.
Alcune delle navi fenicie, che si trovavano più vicine alla posizione del Re, incontrarono meno problemi e riuscirono ad avanzare verso i Greci e a entrare in battaglia prima degli Ioni che si trovavano sull’altra ala. I loro avversari diretti erano gli Ateniesi, che li sbaragliarono e costrinsero molti membri degli equipaggi fenici a sbarcare, proprio nel punto in cui Serse stava osservano la battaglia. i Fenici si presentarono dal Re e cercarono di giustificare il proprio fallimento accusando gli Ioni di tradimento e di aver precipitato la flotta nel caos. Sfortunatamente per loro, mentre si trovavano al cospetto del sovrano, una delle navi ionie, proveniente da Samotracia, speronò una nave ateniese e venne a sua volta speronata da una eginetica. I marinai della nave ionica assaltarono immediatamente quella nemica, e se ne impossessarono, dimostrando a Serse la loro fedeltà e il loro valore. Il Re era così furioso per l’andamento della battaglia che ordinò che i Fenici fossero decapitati.
Verso sera la flotta persiana si ritirò caoticamente verso la baia del Falero, dopo aver perso più di duecento navi e senza essere riuscita a cacciare i Greci da Salamina. I Greci persero solo una quarantina di vascelli e riuscirono a rispedire il nemico alla base. Molti interpretarono questa come una vittoria inaspettata come un atto di potere divino, un segno che l’oracolo delfico annunciato agli Ateniesi un anno prima si era avverato. Presto cominciarono a circolare delle storie di apparizioni divine durante la battaglia, di un misterioso lampo di luce proveniente dal santuario di Demetra a Eleusi e del suono di un coro celestiale che cantava inni. Queste storie sostenevano anche che Serse avesse immediatamente abbandonato il suo esercito e fosse scappato in Asia.
[…]
***
Fonti e bibliografia:
Arborio Mella F.A., L’impero persiano, Milano 1970.
Brosius M., I Persiani. L’impero mondiale del Medio Oriente (a cura di E. Rovida), Genova 2009.
Burn A.R., Persia and the Greeks. The Defence of the West c. 546-478 BC, Palo Alto 1984.
Erodoto, Le Storie, VIII 59-100, 1 (ed. L. Valla), Milano 1956.
Eschilo, I Persiani (a cura di E. Mandruzzato), Roma 2004.
Hignett C., Xerxes’ Invasion of Greece, Oxford 1963.
Lazenby J.F., The Defence of Greece 490-479 BC, Warminster 1993.
Lenardon R.J., The Saga of Themistocles, London 1978.
Plutarco, Vita di Temistocle (a cura di C. Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli), Milano 1996.
Podlecki A.J., The Life of Themistocles, Montreal-London 1975.
Strauss B., La forza e l’astuzia. I Greci, i Persiani, la battaglia di Salamina, Roma-Bari 2005.
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[…] Nubia, principalmente come marinai insieme ai Saka dell’Amu Darya, sebbene, dopo la disfatta di Salamina, li abbiano smobilitati per impiegarli come fanteria leggera sul fronte terrestre. Nei vasi greci […]
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[…] il Falero. Ateniesi, Egineti e Megaresi ottengono che i Greci affrontino i Persiani nel canale tra Salamina e l’Attica, e non all’altezza dell’Istmo, che avrebbe garantito la sicurezza del solo […]
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[…] Quando, dopo l’infelice conclusione della rivolta della Ionia, Atene dovette fronteggiare l’attacco delle armate di Dario, Eschilo, non dimentico del suo dovere civico, combatté nel 490 a Maratona; dieci anni dopo, quando le truppe di Serse, forzato il passo delle Termopili, invasero l’Attica, egli partecipò alla battaglia di Salamina. […]
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