L’arte minoica

di R.W. Hutchinson, L’antica civiltà cretese, Milano 1976, pp. 5-20.

L’arte minoica, cioè dell’Età del Bronzo cretese, differisce sensibilmente nello spirito, non solo da quelle contemporanee del Vicino Oriente, ma anche da quella che l’aveva immediatamente preceduta, l’arte cretese del Neolitico.
L’arte per l’arte sembra, non so perché, un’invenzione del Neolitico e compare, in ogni paese del mondo, quando la popolazione raggiunge quel dato stadio di civiltà; mentre l’arte del Tardo Paleolitico e le sue più recenti manifestazioni, quali le pitture nelle caverne della Spagna orientale o quelle, relativamente moderne, nelle grotte della Rodesia, si innestano su pratiche magiche. Infatti, sebbene il pittore traesse, senza dubbio, un godimento artistico dal suo lavoro, l’opera aveva lo scopo pratico di portare aiuto ai cacciatori. L’arte neolitica, invece, non è figurativa, ma in generale rigorosamente astratta: se rappresenta uomini, animali, uccelli, pesci o fiori, questi presto diventano modelli; e quegli elementi che, in origine, avevano avuto uno scopo pratico nella struttura dei vasi, diventano anch’essi modelli, che l’archeologo chiama disegni «skeuomorfici» perché traggono la loro morphḗ, o forma, dallo skeuos o articolo domestico su cui hanno adempiuto originariamente una funzione pratica. Così i punti delle cuciture di una bottiglia di cuoio o le costure o i chiodi di un recipiente di metallo possono essere dipinti come motivi «skeuomorfici» sulle imitazioni fittili di quei recipienti.
L’arte per l’arte del vasaio neolitico può essere stata incrementata dalla vita agricola sedentaria di quel tempo, ma qualunque ne fosse la causa, è chiaro che anche i Cretesi neolitici si conformarono alla regola generale. Il vasellame della più antica Età del Bronzo a Creta continuò a essere adorno soltanto di motivi assai semplici di tipo rigorosamente geometrico, come linee verticali o diagonali, a volte a controtaglio, punti incisi o semicerchi: un repertorio misero e privo di ispirazione, ma del tutto scevro di suggestioni magiche. Non possiamo, evidentemente, parlare di un’arte comune a tutta Creta, nell’Antico Minoico I (2400-2300 a.C.), periodo che si distingue per l’infiltrazione di piccoli gruppi di coloni di provenienze diverse, ciascuno con vasellame di un suo proprio stile: infatti la fusione di questi vari elementi di popolazione non era ancora del tutto completa quando stava per iniziare il Medio Minoico I (1950 a.C.).
Le origini di tali gruppi di coloni possiamo soltanto supporle, deducendole dalle affinità artistiche dei loro prodotti: la terraglia decorata dell’Antico Minoico II e il vasellame Vasiliki hanno appunto affinità con certi vasi anatolici; il vasellame di Pirgo ne ha con la varietà «Pelos» delle Cicladi.
I disegni rettilinei dei vasi dell’Antico Minoico III erano solo una continuazione o un’elaborazione di quelli del periodo precedente – linee a zig-zag con triangoli, fasce di “V”, modelli simili ai triglifi e alle metopi del fregio dorico ecc. Più importante della decorazione rettilinea, fu l’introduzione degli ornati curvilinei, che non erano quasi mai apparsi prima, tranne sotto forma di semicerchi concentrici sul vasellame Antico Minoico II; mentre ora si incontrano cerchi riempiti di colore, o di tratteggi e altri disegni anch’essi a tratteggio. Spirali continue (il modello è cicladico) appaiono talvolta congiunte da una curiosa voluta a forma di foglia. Lieve e timido si presenta da principio quest’incipiente interesse per la scienza naturale: il più divertente esempio ne è un coccio in cui il solito motivo dei triangoli opposti, o a «farfalla», è stato trasformato in una capra, con l’aggiunta di una testa con un paio di corna al vertice di uno dei triangoli. Forse questa nuova arte naturalistica può esser nata nella Messarà, poiché è rara sul vasellame ma evidentissima sui sigilli d’avorio che nelle grandi tombe rotonde della Messarà sono frequenti. Qui abbiamo non solo disegni vivaci, anche se alquanto primitivi, di uomini, animali, uccelli, scorpioni, pesci e perfino navi; ma anche motivi di meandri e di spirali quadruple, che trovano il miglior raffronto in quelli egizi. Uno tra gli animali preferiti in questi sigilli è il leone, che esisteva ancora sul continente greco e naturalmente in Siria; ma non a Creta […].

Brocca con decorazioni stilizzate, stile Kamares (Medio Minoico II).
Brocca con decorazioni stilizzate, stile Kamares (Medio Minoico II).

Decorazioni a spirale.
L’origine della decorazione a spirale, in linea generale, non ci interessa qui, e io ritengo, del resto, che abbia avuto più di una origine: si può nei singoli casi farla derivare dagli avvolgimenti di filo d’oro o di rame, o dalle spire di certe conchiglie o dalla torsione delle fibre tessili; ma nessuna di queste teorie regge, se vogliamo considerarla l’unica sorgente di tutti gli ornati a spirale. È chiaro, per lo meno, che questa moda si diffuse nel Levante verso la fine del III millennio a.C. In Egitto è documentata da piccole volute su scarabei del Primo Periodo Intermedio, da cui si sviluppano quattro, o talvolta sei, spirali connesse fra loro, che determinano una superficie approssimativamente quadrangolare. Spirali quadruple simili compaiono a Creta sulle basi di sigilli d’oro o d’avorio della Messarà e su una pyxis in pietra della thólos B a Matanos. Tale modello ha la possibilità di svilupparsi in una rete di spirali del tipo in voga in Egitto durante la XVIII dinastia e a Creta, come pure sul continente greco, nella tarda Età del Bronzo.

La torsione come principio decorativo.
Il primo tentativo reale di studiare i principî fondamentali dell’arte minoica fu compiuto da Friedrich Matz, nel suo lavoro sugli antichi sigilli cretesi in pietra, in cui distingueva due sistemi fondamentali di decorare un vaso, che possiamo tradurre come «decorazione a zone» e «decorazione di superficie». Arne Furumark, nelle sue opere sul vasellame miceneo, preferisce, per gli stessi due metodi, i termini di «decorazione tettonica» e «unitaria». La caratteristica particolare della decorazione minoica di superficie, che Matz per primo osservò, è la tendenza verso la «torsione» o i motivi attorcigliati. La decorazione a zone, in cui prevalgono fasce orizzontali di ornati è veramente «tettonica», nel senso che dà rilievo alla struttura del vaso, il punto di maggior larghezza, la bocca e il collo, i manici, il piede. La decorazione «di superficie» o «unitaria», invece, tratta tutto il vaso come un campo libero per un unico disegno, o anche parecchi disegni indipendenti, senza sottolineare un particolare elemento strutturale del vaso. Se la base di un sigillo da impressione cilindrico o rotondo porta sulla circonferenza un fregio con animali, o anche due animali disposti uno a rovescio dell’altro (che è il fregio circolare ridotto alla forma più semplice), basta far girare il sigillo per ottenere l’effetto del movimento; ma non è questa la torsione. La torsione si ha quando un motivo che dovrebbe correre verticalmente od orizzontalmente gira, come la spira di un cavatappi, attraverso la superficie da decorare. Ciò può avvenire in ornati puramente rettilinei, ma non c’è forse da sorprendersi che sia stato più comune dove erano in voga le spirali, come nella zona egea e del bacino danubiano.

Vaso a doppia ansa con collo allungato, Antico Minoico I, Mitsotakis Collection.
Vaso a doppia ansa con collo allungato, Antico Minoico I, Mitsotakis Collection.

In realtà Matz, nel suo libro sui sigilli cretesi, tendeva a considerarlo un elemento europeo nella cultura minoica, ma nel suo più recente articolo sulla torsione, ha sottolineato il fatto che, sebbene la torsione fosse certamente una caratteristica di ampie zone dell’Europa centrale e orientale, lo era anche di una non piccola parte del Levante, in cui andava compresa non solo la zona egea, ma anche l’Anatolia sudorientale, che esercitò un’influenza tanto grande su Creta, sulle Cicladi e sul continente greco all’inizio dell’Età del Bronzo. Matz ha messo a confronto lo stile a torsione con quelli più ampiamente diffusi della Winkelband o «linea a zig-zag» e del «sistema a meridiani», partizione verticale che, in una forma o nell’altra, si presenta in moltissime parti del mondo antico; ed è giunto alla conclusione che l’origine della torsione come principio estetico va ricercata più in Anatolia che in Europa. Quanto afferma Matz sulla diffusione della torsione sembra logico e non è incompatibile con l’idea mia personale che possa avervi contribuito la tecnica di decorare la superficie mentre il vaso veniva fatto girare su una stuoia. E, invero, la tecnica di fabbricazione può avere contribuito anche in parte a sviluppare i sistemi della fascia a zig-zag e dei meridiani. Le fasce a zig-zag sono comuni, se pure non inevitabili, nei lavori in vimini; così che il Winkelband può considerarsi un ornato «skeuomorfico» da essi derivato, anche se i vasai che svilupparono questo tema non se ne resero conto.
Analogamente, la decorazione a meridiani può discendere da fiaschette di cuoio con cuciture verticali, sebbene solo qualche volta si possa accertare con sicurezza tale derivazione. Quanto alla torsione, io credo che l’idea ne potesse sorgere naturalmente, quando un vasaio dipingeva il vaso mentre lo girava su una stuoia o altro simile appoggio: tutti i vasi fatti a mano debbono esser fatti ruotare durante la lavorazione, a meno che non siano di così grandi dimensioni che debba invece essere il vasaio a girarvi intorno. Quando nella lavorazione delle ceramiche venne introdotto il tornio, questo veniva di solito fermato prima di procedere alla decorazione (a meno che non si trattasse di ornati molto semplici, a fascia) e se poi qualche ornato fosse stato eseguito col tornio ancora in moto, sarebbe stato facile accorgersene. Ma nel caso di vasi girati su una stuoia, il movimento sarebbe stato tanto lento e facilmente regolabile, che non avrebbe opposto difficoltà al lavoro di decorazione; e avrebbe dato luogo a quegli effetti di torsione che più tardi sarebbero stati continuati appositamente come motivo estetico. Altre cause, senza dubbio, contribuirono a creare lo stile a torsione, ma mi pare significativo che i più antichi motivi di questo tipo sembrino presentarsi su vasellame fatto a mano o girato a mano e non compaiano affatto in Mesopotamia, Siria ed Egitto dove la ruota da vasaio era stata introdotta molto presto. Nella regione egea vera e propria, la torsione predomina soprattutto a Creta ed è più rara nelle Cicladi e nel continente, finché non vi riappare sotto l’influenza cretese, all’inizio della tarda Età del Bronzo.

Palazzo di Cnosso, Megaron della Regina
Palazzo di Cnosso, Megaron della Regina

L’arte minoica e la eidetica.
È vero che possiamo considerare la civiltà minoica come la prima d’Europa, distinta dalle culture del Nord, semibarbare, anche se spesso di elevato livello artistico; ma questo non spiega le straordinarie qualità dell’arte minoica nei periodi medio e tardo, qualità meno evidenti durante il periodo antico. L’arte minoica non è soltanto dissimile da quelle che l’avevano preceduta; è dissimile anche da tutte quelle che la seguirono, eccezion fatta per le arti che influenzò direttamente, come la micenea e la cicladica. G.A. Snijder offrì un’ingegnosa spiegazione di tali peculiarità, ammettendo che fossero caratteristiche della produzione artistica di un gruppo di persone che gli psicologi chiamano «eidetici» e facendo osservare che caratteri simili si notano anche nell’arte del Tardo Paleolitico in Spagna e in Francia e in corrispondenti culture di tempi più recenti, come la scuola spagnola orientale o le pitture dei Boscimani in Rodesia.
Si tratta di un fenomeno rarissimo fra gli Europei adulti e non molto comune fra i bambini, ma ben accertato. Proprio come chi guardi il sole o una lampada accesa e poi un muro nudo vede per un secondo o due una piccola luce rosso-cupa, così un eidetico continua a vedere un’intera immagine o un paesaggio, quando trasferisce lo sguardo a una superficie vuota. Questa visione, che non è soltanto un dipinto della mente, si chiama eidos e le persone che sono soggette ad averla sono dette «eidetiche». Il fenomeno fu studiato per primo dallo scienziato tedesco Erich Rudolf Jaensch, che pubblicò i risultati delle sue ricerche nel 1933, in un’opera intitolata Die Eidetik.
I bambini affetti da eidetismo sono talvolta incapaci di distinguere chiaramente le loro visioni eidetiche da quello che vedono in modo normale; è questa la fase detta di unità eidetica e di solito non dura a lungo; ma può protrarsi in soggetti di intelligenza scarsa o di sviluppo ritardato; e alcuni seguaci di Jaensch presumono che il fenomeno possa aver maggiore ampiezza e durata nei popoli primitivi. La capacità minoica di ritrarre figure in rapido movimento, in modo così vivido che raramente se ne trova l’eguale prima dell’invenzione della fotografia, sarebbe facile a spiegarsi ammettendo che i Minoici fossero eidetici; poiché allora l’artista avrebbe dovuto soltanto tratteggiare il contorno della sua visione. A questa grande agevolazione si accompagnano però certi difetti: l’artista eidetico è incline a concentrarsi sul contorno e a trascurare la struttura ossea interna, che nella sua visione non appare; perciò le sue figure tendono talvolta ad essere leggermente materiali, a fluttuare nell’aria piuttosto che poggiare salde sul terreno.
La teoria di Snijder […] è stata sostenuta fino a un certo punto da John D. Pendlebury […]; ma […] si può spiegare il realismo degli affreschi minoici affermando che l’artista aveva del suo soggetto una visione eidetica? Gli affreschi possono forse sembrarci vivi e naturali, in confronto alla bellezza splendida, ma più formale, delle pitture murali egizie; ma non sono rappresentazioni quasi fotografiche come i bisonti di Altamira in Spagna. Anzi, nelle pitture minoiche troviamo abbondanti elementi convenzionali, alcuni dei quali presi chiaramente a prestito dall’Egitto, come i motivi di processioni o la distinzione fra il colorito rossastro degli uomini e bianco delle donne; ma ve ne sono altri che sembrano indigeni. Di tutti i convenzionalismi dell’artista cretese, il meno eidetico è il modo in cui naturalizza il fior di loto. Il disegno fotograficamente corretto di questa pianta, che si trova nei dipinti egizi, era troppo rigido per sembrar reale all’artista minoico, che procedette a migliorare il fiore, dipingendo un loto se non «di grandezza naturale» almeno «il doppio del naturale».

Il cosiddetto 'Affresco degli oranti'. Particolare - figura femminile. Da Xeste 3, Akrotiri. Museo della Preistoria di Thera.
Il cosiddetto ‘Affresco degli oranti’. Particolare – figura femminile. Da Xeste 3, Akrotiri. Museo della Preistoria di Thera.

La tendenza idealista cretese è messa bene in evidenza da Henry R. Hall nel confronto che egli fa fra il gatto dell’affresco di Hagia Triada e quelli delle pitture egizie della XII e della XVIII dinastia: i Minoici presero a prestito l’idea dall’Egitto e il loro gatto è in un certo senso migliore di quello egizio, in un altro peggiore. Dà l’idea dell’animale, furtivo e crudele, più che non quello dei dipinti d’Egitto, da cui non riceviamo quasi affatto tale impressione; quest’ultimo è più accurato nei dettagli, è un ritratto corretto dell’animale in riposo, anche quando, come nell’esemplare della XVIII dinastia, è introdotto goffamente in una scena che intende rappresentare un’azione, sebbene tutti gli attori, a eccezione forse delle farfalle, siano calmi e pacifici nel gesto quanto il gatto stesso. Paragonategli il gatto cretese, che non è ben disegnato, ma dà un’impressione possente e verace dell’animale a caccia. Hall procede, poi, a confrontare la concezione puramente egea di una rondine in volo, come la vediamo su un coccio di Milo, con la scialba riproduzione di un’oca egizia trovata nello stesso sito a Filacopi. Anche nella tarda Età del Bronzo si può vedere la differenza fra l’arte minoica e quella egizia. Gli ottopodi e i delfini del Tardo Minoico I non sono disegnati esattamente nei particolari, ma sono meravigliosamente vivi, mentre i pesci e i granchi del Mar Rosso nel rilievo della regina Hashepsut a Dair al-Babri sono accurati e senza vita come le riproduzioni dei trilobiti in un testo di paleontologia. Forsdyke sottolinea la stessa caratteristica in una delle tazze d’oro di Vafiò: «Il toro catturato mugghia furibondo e si gira sui quarti posteriori nel senso sbagliato. Tale distorsione è manifestamente impossibile, ma l’artista minoico non si preoccupa dell’esagerazione, in quanto serve a dar più veemenza alla lotta possente e a poter disporre le zampe come meglio si adattano al suo scopo».
Senza dubbio l’artista eidetico, ipotizzato da Snijder, sarebbe stato più accurato e meno idealistico nel suo disegno: le imprecisioni dell’arte eidetica sono di diverso tipo e consistono nel mettere insieme in modo incongruente particolari che, uno per uno, sono fotograficamente esatti.

Epifania fra i fiori, anello d'oro da Isopata, Hiraklion, Museo Archeologico.
Epifania fra i fiori, anello d’oro da Isopata, Hiraklion, Museo Archeologico.

Henriette A. Groenewegen-Frankfort parla dell’«assoluta mobilità» e della «libertà priva di impacci» delle figure minoiche, uomini e animali, e dell’evidente piacere dell’artista nel ritrarre il movimento… «Vi è un senso di vita, anche quando non appaiono esseri viventi… Ciò non solo da una coerenza dinamica a motivi disparati, ma dà ad ognuno di essi una curiosa indipendenza, come se fossero carichi di vitalità». Essa fa anche notare che il movimento predominante in un senso è spesso frenato da un contro-movimento in senso diverso, come negli animali in galoppo sfrenato con la testa volta indietro o nell’uomo che cade, nel Vaso dei mietitori di Hagia Triada.
Snijder tentò anche di discernere caratteristiche eidetiche nella scultura, nell’architettura e perfino nel vocabolario minoici. L’architettura minoica era certo piuttosto strana e casuale, così che è stata giustamente qualificata come «agglutinante», perché stanze e ali di fabbricato di varie forme e misure venivano aggiunte, via via che se ne presentava la necessità. Ma io dubito che fosse molto più «agglutinante» del piano della City di Londra, che dai tempi medievali in poi si è estesa soprattutto per accrescimento cellulare; né vedo una grande rassomiglianza fra il palazzo minoico e un accampamento di nomadi (a cui Snijder lo paragona), poiché quest’ultimo è disposto, di solito, secondo un piano molto più semplice e regolare, per rispondere alle esigenze della difesa in caso di un attacco improvviso. Si deve notare che i confronti più felici di Snijder, fra arte minoica e arte eidetica, non sono quelli che si riferiscono all’Antico Minoico – come ci sarebbe da attendersi, se si trattasse veramente di una caratteristica primitiva, ma piuttosto quelli relativi al Medio Minoico III. Sarebbe, quindi, più agevole spiegarli supponendo che un pittore di affreschi dotato di visione eidetica avesse avuto un’influenza preponderante, e fors’anche creato una scuola sua, anziché cercando di interpretare tutta l’arte minoica in termini di visioni eidetiche.

Fiaschetta globulare in argilla di stile 'marino', raffigurante un polpo. Proveniente dal sito di Palaikastro,  è datata al Tardo Minoico I (1500 a.C. ca.) ed è conservata al Museo Archeologico di Iráklion.
Fiaschetta globulare in argilla di stile ‘marino’, raffigurante un polpo. Proveniente dal sito di Palaikastro, è datata al Tardo Minoico I (1500 a.C. ca.) ed è conservata al Museo Archeologico di Iráklion.

Policromia minoica nel vasellame e negli affreschi.
La tendenza al naturalismo dei disegni geometrici, appena percettibile nel vasellame dell’Antico Minoico III e Medio Minoico I A, diviene sempre più evidente nello stile del Medio Minoico I B. I disegni puramente geometrici, quali i triangoli tratteggiati o le spirali, non solo si alternano ora a rami, a ghirlande di margheritine, a fiori triplici, ma si intrecciano ad essi, così che da un disegno che comincia con una spirale pendente, tutt’a un tratto fiorisce un ciuffo di bacche. Fra i disegni nuovi e la svastica (motivo antichissimo in Mesopotamia, ma nuovo per Creta). La forma più comune di policromia, specialmente sulle tazze, è la ripetizione dello stesso motivo alternativamente in bianco e arancione sul solito fondo nero. Il vecchio principio della torsione ancora compare nella disposizione diagonale di molti motivi: uno di questi disegni a torsione, il corteo degli scorpioni, è dell’Antico Minoico III; ma gli scorpioni sono ora disposti come foglie a due lobi, unite da uno stelo. Anche frequenti sono le grandi macchie rotonde, disposte talvolta come un fregio, talvolta a formare i nodi di una rete.

Brocca in argilla, ceramica tipo 'Agios Onoufrios' (Antico Minoico I).
Brocca in argilla, ceramica tipo ‘Agios Onoufrios’ (Antico Minoico I).

Altra forma di decorazione, non comunissima nella Creta settentrionale, ma molto diffusa nella Messarà, è il cosiddetto tipo «a barbotine», che di solito consiste di strisce sottili di argilla applicate, per lo più nello stile a torsione, su brocche con becco a punta e senza ornati dipinti, o almeno pochi e semplicissimi. Un altro tipo a superficie lavorata per mezzo di un apposito strumento, in modo da formare punte simili a spine di rose, è più caratteristico del Medio Minoico II.
Nella parte orientale di Creta, il vasellame decorato in questo stile Medio Minoico I B, non solo appare alquanto prima che nel centro dell’isola (1900? a. C. invece che 1870?), ma continua per tutto il Medio Minoico II, quando a Cnosso e a Festo è in voga il vasellame che conosciamo come Medio Minoico II A e B.
Fra i colori dei vasi del Medio Minoico I B compaiono una variante del vecchio giallo-arandone, un rosso nuovo che si avvicina al tono del cremisi e un bianco brillante che viene adoperato non solo per singoli ornati, ma anche per rivestire zone o pannelli di «spine» a borbotine, fra aree adorne di disegni policromi (specialmente nella Messarà). Fra le forme preferite sono «fruttiere», vasi «con beccuccio a ponte», brocche con becco a punta, «tazze da te», «tazze di Vafiò»; e a Cnosso e lungo la costa settentrionale fino a Gurnià, calici con manici a nastro e orlo increspato, ad evidente imitazione di un tipo metallico (un vaso d’argento di questa forma è stato effettivamente trovato in una tomba di Gurnià). Questi calici sono molto importanti dal punto di vista cronologico, poiché si ricollegano chiaramente – e forse sono contemporanei – ad alcuni vasi ittiti trovati nella quarta città di Bogazköy o nella città detta Alis,ar II in Cappadocia.

Figure a tutto tondo.
Dal Medio Minoico I sono sopravvissute ben poche opere plastiche d’importanza. La moda di scolpire i manici dei sigilli d’avorio a forma di animale o di uccello, così diffusa nell’Antico Minoico III era decaduta; e solo una figura di steatite, quella trovata nella tomba rotonda di Porti nella Messarà, può probabilmente essere assegnata a questo periodo, poiché le proporzioni e la modellatura mostrano un notevole progresso rispetto a tutte le figure umane precedenti.
Figure del Medio Minoico I di minor pregio sono invece abbastanza numerose fra le offerte ai vari «santuari delle vette» e comprendono statuette d’uomo, di donna, di animali o parti di esse. Gli esemplari più antichi sono quelli della casa ovale di Chamaizi, nella Creta orientale: sono figure maschili in piedi, con la mano destra levata al mento e la sinistra alla cintura, cui è appesa una piccola daga; e figure femminili anch’esse in piedi con entrambe le mani levate al mento, una lunga gonna rigonfia e un rotolo sulla testa che può essere interpretato come un berretto tipo scozzese o come un’acconciatura dei capelli. Statuette di data meno antica, trovate nei santuari delle vette, sono della specie resa familiare dalle scoperte compiute a Petsofà, il santuario sopra Paleocastro. Due frammenti di una figura dipinta in stile Medio Minoico II sono stati rinvenuti nella seconda città di Filacopi nell’isola cicladica di Milo. Tali figurine rappresentano chiaramente l’arte popolare del tempo; ma di quelle d’oro, di bronzo o d’avorio, che devono pure, senza dubbio, essere esistite, nulla ci rimane salvo la già citata statuetta di Porti. Noi, perciò, non siamo in grado di far congetture su quali siano state le opere migliori dei modellatori e scultori minoici del tempo: così come non potremmo giudicare l’opera di Fidia, se i marmi del Partenone fossero andati distrutti e dovessimo ricostruirne le probabili forme dalle placche e dalle statuette votive d’argilla a buon mercato dell’acropoli ateniese.

Sigillo in agata. L'incisione raffigura una 'taurocatapsia' (il salto del toro), tipico rituale minoico.
Sigillo in agata. L’incisione raffigura una ‘taurocatapsia’ (il salto del toro), tipico rituale minoico.

Nel Medio Minoico II B (1830-1700 a. C.) cominciamo ad incontrare bei sigilli in pietre dure scolpiti in stile naturalistico. Questa evoluzione era dovuta sia a una crescente padronanza della materia prima da parte dell’artista, che ora usava un trapano tubolare e una sega, oltre al bulino, e poteva quindi incidere pietre dure come l’agata, il cristallo e lo smeraldo; sia al fatto che l’invenzione della scrittura lineare aveva fornito un sistema facile di corrispondenza mediante targhe d’argilla, e reso quindi il sigillo un mezzo meno importante per l’invio di messaggi.
I sigilli erano ormai articoli di lusso piuttosto che di necessità per gli affari e chi li ordinava poteva pagare la manodopera di bravi artigiani: infatti la grazia e la raffinatezza dei migliori sigilli del Medio Minoico II B non sono mai state superate. Sigilli prismatici, a tre o quattro facce, continuavano a essere prodotti, ma le incisioni più belle si trovano sui cilindri schiacciati su quelli lenticolari o a forma di fagiolo, sui sigilli a disco con disegni su entrambe le facce piane o con una faccia modellata a manico; sui sigilli ufficiali (forma copiata dagli Ittiti dell’Asia Minore). Un disegno che ricorre su parecchi esemplari del Medio Minoico II B e Medio Minoico III A fu confrontato da Pendlebury a un cherubino del periodo di Giacomo I in Inghilterra e da Evans a una maschera della dea babilonese Ishtar; io invece mi sono chiesto se non fosse una modificazione del disco del sole alato d’Egitto, trasformato in un viso sogghignante dall’irriducibile artista minoico. Ad ogni modo, qualunque sia l’origine di questa trovata, penso che abbia probabilmente ragione Marinatos quando l’associa alle facce dei sigilli o delle cretule di Mochlos, Festo e Zakros e alle rappresentazioni greche arcaiche delle maschere delle Gorgoni.

Statuetta in faience della Dea dei Serpenti, dal ricettacolo del tempio di Cnosso, Periodo Neopalaziale, Museo Archeologico di Iraklion.
Statuetta in faience della Dea dei Serpenti, dal ricettacolo del tempio di Cnosso, Periodo Neopalaziale, Museo Archeologico di Iraklion.

Appartiene anche al Medio Minoico II B un unico scarabeo di ametista trovato negli strati inferiori della grotta di Psychrò, che per il materiale e la modellatura dovrebbe essere opera egizia della XII o al più della XIII dinastia, ma che porta sulla base un disegno minoico consistente di due brocche con becco a punta e alcuni cerchi concentrici intorno a un oggetto che viene abitualmente interpretato come un sole raggiante. Il naturalismo, che doveva presto fiorire negli affreschi, appare già in pieno sviluppo nei sigilli. Un bel cilindro appiattito in cristallo di rocca mostra un ibex cretese che salta sulle rocce native, con un albero nello sfondo – scena perfetta, che Xan Fielding così efficacemente descrive nel libro The Stronghold:

Senza mezzo di propulsione apparente (poiché le gambe in movimento erano invisibili) e con le spalle appiattite dalla prospettiva e seminascoste nella polvere, veniva avanti con uno slancio orizzontale, attraverso la rupe una testa senza corpo, sospesa nell’aria per le corna.

Questa è certo la più bella descrizione della posa che gli archeologi chiamano «galoppo volante» e che l’artista minoico amava ritrarre. La descrizione di Fielding spiega forse perché tante antiche raffigurazioni dell’ibex ce lo mostrino con la testa e le corna troppo grandi rispetto al corpo. In quanto alle statuette d’avorio che si trovano ora nei musei d’Europa e d’America e che si dicono provenienti da Creta, è meglio seguire Nilsson e non citarle fra i documenti d’arte minoica: tuttavia la Dea dei serpenti in oro e avorio di Boston è considerata di solito autentica e la figura di Toronto, nota come «Nostra Signora dei giochi», che porta il vestito maschile per la lotta nell’arena come le dame dell’Affresco dei toreri, presenta una forte rassomiglianza con le figure dei saltatori del deposito Tardo Minoico.

Affresco parietale dall'ala est del palazzo di Cnosso. Particolare della 'Taurocatapsia'. Il dipinto è conservato al Museo Archeologico di Iráklion.
Affresco parietale dall’ala est del palazzo di Cnosso. Particolare della ‘Taurocatapsia’. Il dipinto è conservato al Museo Archeologico di Iráklion.

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