di F.Chiesa – G.M. Facchetti, s.v. Roma, in Guida insolita ai luoghi, ai monumenti e alle curiosità degli Etruschi, Bergamo 2011, pp. 233-238.

Le relazioni fra Roma e gli Etruschi si situano in un orizzonte di alta antichità e sono trasparentemente conservate e tràdite dalle fonti storiografiche, le quali condensarono nelle vicende legate alla dinastia dei Tarquinii, all’interno della sequenza dei sette re di Roma, una serie di eventi storici che incisero in termini profondamente significativi sulle sorti e gli sviluppi della città, intesa anche nelle sue forme politico-istituzionali, prima della sua conversione dalla fase monarchica a quella repubblicana. Le testimonianze congiunte dell’annalistica romana, da un canto, e della documentazione archeologica ed epigrafica dall’altro, non di rado hanno permesso di ricreare un quadro unitario, che per la definizione della presenza etrusca a Roma poggia su una serie di interessanti convergenze: per la prima Età del Ferro, ad esempio, le ricerche archeologiche hanno provato che gli influssi della cultura tardo-villanoviana in Lazio furono indubitabilmente notevoli e trovano un riflesso anche nella tradizione letteraria, la quale preserva una sbiadita memoria perfino di relazioni intessuto dal re di Alba Longa Amulio (797-753 a.C., secondo il Chronicon di Gerolamo) con un probabile re di Veio il cui nome può ricostruirsi come Vel, Vipe, Vel Vipie o simili (la fonte è un brano di Festo piuttosto corrotto). Anche le testimonianze offerte dalle iscrizioni rappresentano un ausilio prezioso che ci illumina circa i rapporti di ospitalità e rango sociale intercorsi: dall’area sacra di Sant’Omobono proviene infatti una tesserina ospitale in avorio a sagoma di leone che reca il nome etrusco di Araz Silqetenas (non è escluso che si potesse trattare di un cittadino romano, forse dell’entourage dei Tarquini: in latino sarebbe Arruns Silgetenna, Silquetenna o simili), qualificato come ospite degli Spurianas, noto e importante gruppo gentilizio tarquiniese. Tale tesserina (databile agli ultimi decenni del VI secolo a.C.) doveva unirsi con un’altra simile. Un vicus Tuscus, che come eloquentemente indica il nome alludeva alla presenza di una zona “etrusca” nel corpo urbano di Roma, esisteva del resto sul lato sud-occidentale della piazza del futuro Foro, tra il Campidoglio e il Palatino, a poca distanza dall’area sacra di Sant’Omobono.

Egualmente iscrizioni in lingua etrusca rinvenute nei depositi votivi del Foro Boario e ai piedi del Campidoglio provano che durante il VI secolo a.C. individui di lingua e cultura etrusca vivevano a Roma, partecipando anche dei suoi culti. E, ancora, l’elenco di prove addotte potrebbe farsi più nutrito ricordando che dopo la prima età regia (con i primi quattro re Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio che la tradizione situa fra il 753, data della mitica fondazione di Roma, e il 616 a.C.) fece seguito la seconda età regia, ossia il periodo in cui regnarono, fra il 616 e il 509 a.C. Tarquinio Prisco (616-578 a.C.), Servio Tullio (578-534 a.C.) e Tarquinio il Superbo (534-506 a.C.): è questo il momento della monarchia etrusca. Del resto lo stesso re Servio Tullio è menzionato secoli dopo dall’imperatore Claudio, in un discorso al Senato, con il suo soprannome, cioè cognomen nel senso originario, Mastarna (etr. Macstrna < *Macistrena) e come fedele compagno del condottiero vulcente Celio Vibenna (Caile Vipinas). Quest’ultimo è effigiato col fratello Aule e con Mastarna nelle pitture della tomba François di Vulci, che raffigurano scene di una saga (ignorata dagli annalisti di Roma) in cui era coinvolto, come avversario di Vibenna, anche un Cneve Tarchunies (Gneo Tarquinio), della famiglia reale romana. A Servio viene attribuita anche la costruzione della prima cinta muraria urbica con il suo limite inviolabile sul piano sacrale e giuridico, il pomerium (Livio, Ab Urbe condita, I, 144, 4-5). Egli fu inoltre promotore della nascita del santuario federale di Diana sull’Aventino, che si affiancava al Lucus Feroniae, il sacro luogo delle riunioni della Lega Latina. Fu ancora proprio Servio Tullio, secondo la tradizione, a suddividere in quattro parti la città: Suburana (che comprendeva il Celio), Esquilina (che comprendeva l’Oppio, il Cispio, e il Fagutal), Collina (che comprendeva il Viminale e il Quirinale) e Palatina (che comprendeva il Palatium, il Cermalus e la Velia); rimasero esclusi Aventino e Campidoglio, la cui sorte fu soprattutto legata al periodo imperiale. Le quattro Regioni coprivano un’estensione cittadina di quasi trecento ettari, parte dei quali non ancora stabilmente abitati, con una popolazione stimabile approssimativamente tra i quaranta e gli ottantamila abitanti.

A Servio e ai Tarquini la tradizione attribuisce una grande stagione edilizia con serie di interventi urbanistici di notevole respiro, tra i quali figurano la bonifica della Valle del Foro e il convoglio delle acque malsane nella Cloaca Maxima, una serie di complessi santuariali dei quali il più celebre è quello di Fortuna e Mater Matuta nel Foro Boario, nell’area prossima al fiume Tevere e all’Isola Tiberina, quello di Diana sull’Aventino nonché quello celeberrimo di Giove Capitolino, dedicato alla triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Laddove Anco Marcio aveva provveduto a compiere opere di bonifica, nella zona in cui sarebbe poi sorto il Foro Romano, Tarquinio Prisco fece realizzare la Cloaca Maxima, che dal quartiere della Subura attraverso il Foro portava con sé le acque da smaltire: lo ricorda Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 104), che attribuisce il merito di questa iniziativa a un Tarquinio (Prisco o il Superbo; la tradizione è sovente incline a confondere le opere realizzate dai due Tarquini). In realtà è più verisimile che la costruzione di un vero e proprio collettore per le acque dai caratteri ingegneristici sia da ricondurre all’epoca repubblicana, mentre in precedenza potrebbe essere esistito un canale a cielo aperto o coperto da una semplice volta. Tarquinio Prisco, che la tradizione voleva figlio del nobile esule greco Demarato e consorte dell’altrettanto ben nata Tanaquilla (etr. Thanaχvil), orinaria di Tarquinia, fu chiamato a Roma dallo stesso Anco Marcio che ne fece il suo successore al potere regale nel 617 a.C. A lui lo storico romano Livio (Ab Urbe condita, I, 38, 3) attribuisce anche il primo trionfo ottenuto sui Sabini sconfitti. Durante il suo regno, come rammenta Livio (Ab Urbe condita, I, 36, 1; 38, 6; 44, 3), venne eretta la cinta muraria, il cui completamento avvenne sotto Servio Tullio. La residenza di Tarquinio Prisco, secondo le fonti storiche antiche, sorgeva tra la Sacra Via e la Nova via: i resti della residenza regale sono forse da riconoscersi nei blocchi di cappellaccio relativi a un sacello, con relativi resti di offerte (le fonti parlano dei culti relativi a Orbona e ai Lari), venuti in luce sul lato occidentale.

Al nome di Servio Tullio si lega invece la ristrutturazione dell’area del Foro Boario, già zona di mercato nato in relazione a un’area fluviale, che fu prescelta in epoca regia per realizzarvi una serie di opere altamente rappresentative della monarchia sul piano ideologico, religioso e politico. Originariamente adibita a zona di commercio, il Foro Boario ebbe probabilmente già a partire dal periodo arcaico anche una funzione di scalo portuale. Per volontà di Servio Tullio vi sorse un importante santuario emporico dedicato alle dee Fortuna e Mater Matuta, divinità di antichissima origine protettrice delle nascite e della luce. La questione della dea Fortuna appare intimamente connessa alla figura di Servio Tullio, il quale ne fece la propria divinità tutelare ponendo sotto i suoi auspici il proprio operato, tanto che le fonti attribuiscono alla sua figura la fondazione di numerosi santuari sui colli di Roma dedicati alla dea. La storia della scoperta del santuario di Fortuna e Mater Matuta, ubicato sotto la chiesa di Sant’Omobono, risale agli anni Trenta: da allora le indagini e i sondaggi eseguiti hanno permesso di ricostruire il quadro delle sequenze edilizie avvicendatesi in questa zona prima dell’età repubblicana; ne è emerso che in un primo tempo doveva sorgervi un tempio etrusco di tipo “tuscanico”, inteso secondo la definizione di Varrone, provvisto sul lato posteriore di tre celle o di una cella inquadrata da due spazi laterali definiti da muri (alae).

Tale edificio conobbe almeno due fasi edilizie e fu decorato con un programma architettonico di lastre fittili. La prima costruzione del tempio sarebbe da porsi intorno al 580 a.C., come peraltro indicano anche le fonti storiche. Uno solo è infatti l’edificio sinora documentato e si ritiene che esso fosse quello titolato a Mater Matuta. La continuità del doppio culto appare confermata anche in età repubblicana con la presenza di due edifici affiancati intervallati da uno spazio lasciato vuoto. Circa un cinquantennio dopo la costruzione dell’edificio si provvide a rinnovare la decorazione architettonica, nell’ambito della quale trovò posto uno splendido gruppo scultoreo in terracotta che rappresentava Ercole e Minerva, con l’eroe effigiato nel momento in cui viene introdotto dalla dea dell’Olimpo. Alcuni studiosi ritengono invece trattarsi non di un gruppo acroteriale, da porsi cioè sul culmine del tetto, bensì di un donario. Lo stile mostra chiari riferimenti al mondo greco-orientale. La costruzione del secondo santuario, che le fonti porrebbero in concomitanza con la caduta di Veio, avvenne forse su un grande riporto di terreno che obliterò la distruzione del primo tempio. Diversamente è stato anche ipotizzato che unica fu la fase di costruzione, intorno al 530 a.C. Certo è che l’area sacra ebbe a subire, a partire dalla metà del VII secolo sino alla metà del V, una serie di pavimentazioni e ripavimentazioni, mentre la costruzione del tempio munito di scalinata che consentiva l’ascesa del podio sul quale l’edificio, secondo il modello “tuscanico” era impostato, sarebbe da porsi nella seconda metà del VI secolo a.C. Ai decenni intorno al 530 a.C. o poco dopo dovrebbero riferirsi alcuni interventi di ristrutturazione, mentre alla prima metà del V secolo potrebbe ascriversi la distruzione della sacra struttura. In generale non è forse un caso che Roma proprio nel VI secolo a.C. presenti questi forti tratti “etruschi” sul piano politico e culturale ed è a tal proposito molto significativa la coincidenza fra la data convenzionalmente assegnata all’inizio dell’arte arcaica in Etruria (580 a.C. circa) e l’esordio della regalità di Servio Tullio. Basti guardare le terrecotte architettoniche arcaiche della Regia, un edificio sorto tra il Palatino e la Valle del Foro già dalla fine del VII secolo a.C. e composto da tre ambienti affacciati su un cortile a cielo aperto, secondo Solino (Collectanea rerum memorabilium, I, 21-26) dimora dei re di Roma e poi luogo di rappresentanza e di culto. Successivamente esso assumerà una pianta trapezoidale destinata a sopravvivere lungo il periodo repubblicano.

Fu Tarquinio il Superbo a dare compiutezza alla costruzione del grandioso tempio di Giove Capitolino iniziato da Tarquinio Prisco, poi inaugurato l’anno successivo alla sua cacciata da Roma (509 a.C.). Nelle tre celle dell’importante monumento, che svettava su un basamento di circa cinquanta per sessanta metri di lato, trovavano posto le tre divinità, ossia la triade, sotto la cui protezione si ponevano le sorti della città: Giove, Giunone e Minerva. Di esso si sono ritrovate varie antefisse, figure frammentarie e lastre a rilievo con fregi raffiguranti tiri di cavalli. Queste terrecotte architettoniche mostrano forti analogie con Veio e, a tal proposito, non si deve dimenticare che l’immagine cultuale del dio e l’acroterio, che rappresentava una quadriga, erano attribuiti al coroplasta veiente Vulca (etr. Velχas). Ai primi anni della Repubblica, fra il 508 e il 507 a.C., si colloca il primo trattato fra Roma e Cartagine, del quale conserva memoria lo storico Polibio riferendolo a un periodo in cui anche il magistrato supremo della vicina Cere, Thefarie Velianas, faceva incidere ed esporre nel santuario di Pyrgi delle epigrafi dedicatorie in duplice versione, etrusca e cartaginese.

di F.Chiesa – G.M. Facchetti, Guida insolita ai luoghi, ai monumenti e alle curiosità degli Etruschi, Bergamo 2011, vc. “Roma” pp. 233 sgg.
Essendo un grande appassionato di storia, ieri sera ho passato la serata sul tuo blog …interessantissimo
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🙂
Mi fa molto piacere, grazie 🙂
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Sovente mi capita di avere bisogno di fonti storiche approfondite per i miei lavori teatrali e altro. Ad esempio mi è stato commissionato un lavoro (in parte già sviluppato), da alcuni fotografi e registi, in cui si affronta il tema dei miti collaterali de mondo greco. Dato che non amo molto le improvvisazioni (a loro basterebbero le fonti di wikipedia), posso permettermi di attingere dal tuo blog ? (naturalmente citandoti nei credits) e magari farti qualche domanda? … Sarebbe davvero bello per me:-)
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Certamente, ma ricorda che anch’io attingo da altri 🙂 poi anche se ti servono ulteriori spiegazioni – dove posso (del resto sono ancora studente) – ti aiuterò volentieri 🙂 😉
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