Pyrgi e il suo santuario

di F. Chiesa – G.M. Facchetti, s.v. Pyrgi, in Guida insolita ai luoghi, ai monumenti e alle curiosità degli Etruschi, Bergamo 2011, 224-229.

Nel lembo di costa ove attualmente svetta il castello di Santa Severa, a circa tredici chilometri da Cere, si situava Pyrgi, che della metropoli fu il porto principale, e della quale ignoriamo quale fosse l’originario nome etrusco. Le fonti storiche attribuivano tuttavia la sua fondazione ai Pelasgi, cui si doveva anche la nascita stessa della città-madre, Cere-Agylla. Un modesto insediamento etrusco vi sorgeva, dislocato sulla piccola altura che volge all’insenatura del porto: esso acquisì un profilo urbano, con regolare impianto, verso la fine del VII secolo a.C. o agli inizi del secolo successivo. Alla base del castello sono tuttora visibili le mura poligonali di epoca romana, allorquando, in concomitanza con la conquista di Roma nel III secolo a.C., le vecchie strutture portuali furono rimpiazzate da un porto artificiale solo in seguito dismesso a favore di quello di Centumcellae (Civitavecchia), costruito nel II secolo a.C. e definitivamente ristrutturato sotto l’imperatore Traiano, nel 106 d.C. Già nel 264 a.C. vi era stata infatti dedotta una colonia.

Frontone (frammento) che illustra un episodio della saga dei «Sette contro Tebe», dal ‘Tempio A’ di Pyrgi (Etruria). V secolo a.C. Roma, Museo di Villa Giulia.

Il santuario di Leucotea-Ilizia
Come accadeva nel mondo greco, anche in Etruria alcuni fra i santuari più importanti erano sorti fuori dall’ambito urbano e cionondimeno la devozione ad essi tributata, talora in ragione delle loro leggendarie origini, ne fece luoghi di culto particolarmente frequentati e venerati non di rado destinati a lunga vita. Taluni di questi sacri complessi, poi, si svilupparono in aree extraurbane già caratterizzate da una loro specifica vocazione, accrescendola e donando essa ulteriore specificità. Così il santuario di Pyrgi, storico porto di Cere, dal nome greco ma secondo la tradizione fondato dai Pelasgi (Strabone, Geografia V, 2, 8), sancì l’aspetto sacrale dei commerci e la connotazione franca degli scambi fra locali e stranieri che vi si svolgevano sotto la protezione degli dèi, garanti dell’ospitalità e dell’inviolabilità. La rilevanza del santuario pyrgense è testimoniata anche dalle fonti storiche, che lo ricordano per il saccheggio perpetrato nel 384 a.C. da Dionisio tiranno di Siracusa all’indomani della discesa dei Galli a Roma, con la quale i Ceriti si erano alleati. La straordinaria ricchezza del bottino predato lascerebbe spazio all’ipotesi che, come ad Atene, nel santuario di Pyrgi fosse conservato il tesoro della città. Anche il poeta latino Lucilio (fr. 1271, Marx), parlando di «scorta Pyrgensia», cita questo santuario a proposito della prostituzione sacra che molto verosimilmente vi si praticava. Già localizzato da Luigi Canina nel 1840, il sacro complesso di Pyrgi fu rinvenuto nel terreno adiacente al Castello di Santa Severa nel 1956 e da allora è oggetto di sistematici interventi di scavo da parte dell’Università di Roma. Esso, purtroppo decapitato della sua porzione volta al mare a causa di un avanzamento verso terra dell’originaria linea di costa, venne racchiuso entro un perimetro murato (témenos), del quale è stato individuato l’andamento su almeno due dei lati. Originariamente doveva sorgervi un piccolo edificio sacro che nel corso della seconda metà del VI secolo a.C. fu decorato con terrecotte architettoniche in stile “ionico”, delle quali restano soprattutto antefisse a testa femminile. Ma sul finire del secolo fu avviata una grandiosa ristrutturazione per la quale furono impiegati dispendiosamente materiali e mezzi finalizzati a ottenere un monumentale risultato: tutta l’area fu sopraelevata mediante un terrapieno sul quale vennero in seguito innalzati gli edifici, costruiti in blocchi di tufo rosso probabilmente estratto dalle cave ceretane e trasportato via terra. L’operazione ebbe verosimilmente lo scopo di situare i templi al riparo dalle infiltrazioni di salsedine del sottosuolo e in una favorevole situazione di visibilità prospettica. Per primo venne eretto il tempio cosiddetto “B”, con altri contigui annessi fra i quali, in corrispondenza del lato meridionale, un lungo portico a celle, probabile residenza delle sacerdotesse, e accosto al lato lungo settentrionale dell’edificio un altare circolare per i culti inferi comunicante con una cavità sotterranea, forse dedicato a Tinia nella sua veste ctonia, che potrebbe essere ricordato (ma ci sono dubbi) anche in un’iscrizione su lamina bronzea di Pyrgi, insieme a Uni. La scoperta delle laminette auree inscritte, oggi universalmente conosciute con il nome di «lamine di Pyrgi» recanti il nome del magistrato supremo ceretano Thefarie Velianas, documenta sotto quali auspici il tempio fu costruito e quale fu la temperie culturale e politica nell’ambito della quale questo grande donario sacro a Uni-Astarte fu eretto. Il tempio “B”, che poggiava il proprio alzato su imponenti fondazioni in tufo secondo la tecnica cosiddetta “dell’opera quadrata”, presentava una pianta non molto diversa da quella dei templi greci dell’Italia meridionale, simile a quella del tempio di Satricum, in Lazio. Le colonne – quattro sui lati brevi (in doppia fila per il lato breve della facciata) e sei sui lati lunghi – racchiudevano un edificio di circa diciotto metri di larghezza per ventotto di lunghezza, provvisto di una cella sul lato posteriore. Le dimensioni si modularono sul piede attico, unità di misura pari a poco meno di trenta centimetri. Sia il tempio che il portico delle sacerdotesse erano ornati da un ricco apprestamento architettonico, che comprendeva lastre (sime), tegole di gronda, antefisse a testa femminile, acroteri, ecc., concepito secondo un organico programma figurativo. Completavano l’apparato di copertura fittile gli altorilievi posti nello spazio frontonale a chiusura dei travi portanti (columen e mutuli), raffiguranti episodi dal mito di Eracle. Intorno alla metà del V secolo a.C. l’area del santuario fu ampliata verso Nord, il terrapieno allungato e i lavori edilizi completati con la costruzione di un secondo tempio (il cosiddetto tempio “A”), ancor più maestoso del precedente. L’ingresso stesso al santuario fu spostato in modo da collegarlo alla via Pyrgi-Cere, che univa la città al suo porto. Anche questo edificio, come l’altro, si resse su possenti fondazioni in opera quadrata, insistendo su un podio scalinato. Le sue dimensioni erano pari a metri ventuno per ventisette circa. La parte anteriore presentava una tripla fila di colonne, quattro delle quali costituivano la vera e propria facciata, altre quattro arretrate a coppie di due affiancate dai muri della cella. Costruite in tufo e peperino, rispettivamente riservati al fusto e al capitello soprastante, le colonne erano anch’esse intonacate. Poiché uno dei lati brevi del tempio “A” volgeva all’ingresso del santuario, esso fu abbellito di una decorazione frontonale particolarmente impegnativa sia sul piano squisitamente artistico che su quello figurativo e semantico: per la placca frontonale destinata a chiudere la testata del columen fu infatti scelto un episodio della saga dei Sette contro Tebe, soggetto assai noto del teatro greco che più volte lo mise in scena attraverso l’opera del tragediografo Eschilo nel V secolo a.C. La scena riproduce, al cospetto di Zeus e Atena, alcuni dei personaggi della saga, fra i quali spiccano riconoscibili Tideo, Melanippo e Capaneo. Nel complesso, anche il tempio “A” costituisce un’interpretazione non del tutto aderente ai dettami dell’ordine tuscanico canonizzato da Vitruvio, teorico di epoca augustea, nel suo celebre trattato sull’architettura antica (De architectura). La monumentalizzazione del santuario pyrgense iniziata ad opera del magistrato supremo di Cere Thefarie Velianas sul finire del VI secolo a.C. fu completata durante il V secolo, quando la grande carrabile che congiungeva la città di Cere al santuario assunse i caratteri di una via sacra, come accadde in Grecia per i più importanti santuari fuori città (ad esempio, il santuario di Eleusi per Atene). Una stagione florida coincise infine con il periodo fra il IV e il principio del III secolo a.C., contestualmente all’allacciarsi di amichevoli rapporti fra Cere e Roma, finché la conquista romana non decretò il progressivo esaurirsi del culto.

Planimetria dell’area settentrionale del santuario di Pyrgi (Haynes 2000, 175).

Le “lamine di Pyrgi
Le famose lamine auree di Pyrgi gettano alcuni sprazzi di luce sulla storia di Cere rivelandoci, tra l’altro, il nome dell’allora più eminente personalità politica della città (Thefarie Velianas). Esattamente si tratta di due iscrizioni, del 500 a.C. circa, incise su due laminette d’oro, il cui testo è integralmente conservato; esse furono scoperte nel 1964 da Massimo Pallottino assieme a una terza iscrizione, sempre su lamina aurea, in lingua fenicia e corrispondente (nel senso di una quasi-bilingue) all’iscrizione etrusca più lunga. Dunque questo eccezionale documento epigrafico, nel suo insieme, ci ha messo a disposizione la “versione” fenicia (non si tratta di una traduzione letterale, perciò si parla di una “quasi-bilingue”) di un testo etrusco di considerevole estensione. I buoni rapporti degli Etruschi, e specialmente di Cere, con la potenza cartaginese, testimoniati, qui, in modo diretto e immediato, rafforzano indirettamente il valore storico del racconto di Polibio (Hist., III, 22), che colloca proprio nel 509 a.C. il primo trattato fra Cartagine e Roma. Ecco il contenuto dell’epigrafe fenicia di Pyrgi, nella traduzione di Sabatino Moscati:

Alla signora Astarte. Questo (è) il sacello che ha fatto e che ha donato Thefarie Velianas, re su Caere, nel mese di zbh šmš, in dono (?) del tempio e del suo recinto (?), poiché Astarte ha richiesto (ciò) per mezzo di lui nell’anno terzo del suo regno, nel mese di krr, nel giorno del seppellimento della divinità. Gli anni della statua della divinità (siano tanti) anni quante queste stelle.

Iscrizione votiva alla dea Uni-Astarte (etrusco-fenicio). Tavolette, oro, 520 a.C. c. da Pyrgi. Roma, Museo di Villa Giulia.

Ed ecco il testo etrusco corrispondente (la cosiddetta “lamina A” di Pyrgi, Cr 4.4.), secondo la traduzione di Giulio M. Facchetti:

Il tempio e queste statue furono da parte di Uni; il della lega unica, Thefarie Velianas, donò il sal del cluvenia: questo spettò alla camera del luogo sacro nelle feste Tulerasa, poiché dal giorno della sua ascesa al potere erano trascorsi tre anni completi, nelle feste Alšasa, poiché ci fu della pretura . E sulle statue ci sono tanti anni quante le stelle.

Le «stelle» menzionate in entrambi i testi erano probabilmente oggetti (forse d’oro) a forma di stella appesi nel sacrario, sopra le statue, a indicare il numero di anni trascorsi dalla fondazione. Una lamina più breve (la “B): Cr 4.5) reca un testo meno esteso, pure in etrusco, in cui sono ricordati altri atti rituali compiuti da Thefarie Velianas. Sempre da Pyrgi provengono altri testi frammentari, più o meno dello stesso periodo, ma su lamine di bronzo; probabilmente riguardano dediche di privati.

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