di M.P. Pattoni (ed.), Eschilo, Eumenidi, in V. Di Benedetto, Eschilo, Orestea, Milano 2010, 526-529. Introd. di I. Biondi, Storia e antologia della letteratura greca. 2a. Il Teatro, Firenze 2004, 119-122.
Dopo che Oreste, compiuto il matricidio, si è recato presso il tempio di Delfi a implorare la protezione di Apollo contro la persecuzione delle Erinni, il dio, riconoscendosi in parte responsabile del comportamento del giovane, lo invia ad Atene, garantendogli che Pallade Atena, patrona della città, farà in modo che egli sia definitivamente assolto dalla sua colpa e liberato per sempre dalla persecuzione delle Erinni. Atena accoglie benevolmente il supplice e, dopo aver ascoltato le giustificazioni di Oreste e le rabbiose accuse delle Erinni che temono di vedersi sfuggire colui che considerano una vittima a loro consacrata, la figlia di Zeus decide di istituire un nuovo organo giudiziario super partes, l’Areopago, al quale spetterà anche in futuro il compito di giudicare i casi di omicidio fra consanguinei.

(Eschilo, Eumenidi, 681-710)
κλύοιτ᾽ ἂν ἤδη θεσμόν, Ἀττικὸς λεώς,
πρώτας δίκας κρίνοντες αἵματος χυτοῦ.
ἔσται δὲ καὶ τὸ λοιπὸν Αἰγέως στρατῷ
αἰεὶ δικαστῶν τοῦτο βουλευτήριον.
685 πάγον δ᾽ Ἄρειον τόνδ᾽, Ἀμαζόνων ἕδραν
σκηνάς θ᾽, ὅτ᾽ ἦλθον Θησέως κατὰ φθόνον
στρατηλατοῦσαι, καὶ πόλιν νεόπτολιν
τήνδ᾽ ὑψίπυργον ἀντεπύργωσαν τότε,
Ἄρει δ᾽ ἔθυον, ἔνθεν ἔστ᾽ ἐπώνυμος
690 πέτρα, πάγος τ᾽ Ἄρειος· ἐν δὲ τῷ σέβας
ἀστῶν φόβος τε ξυγγενὴς τὸ μὴ ἀδικεῖν
σχήσει τό τ᾽ ἦμαρ καὶ κατ᾽ εὐφρόνην ὁμῶς,
αὐτῶν πολιτῶν μὴ ‘πιχραινόντων νόμους
κακαῖς ἐπιρροαῖσι· βορβόρῳ δ᾽ ὕδωρ
695 λαμπρὸν μιαίνων οὔποθ᾽ εὑρήσεις ποτόν.
τὸ μήτ᾽ ἄναρχον μήτε δεσποτούμενον
ἀστοῖς περιστέλλουσι βουλεύω σέβειν,
καὶ μὴ τὸ δεινὸν πᾶν πόλεως ἔξω βαλεῖν.
τίς γὰρ δεδοικὼς μηδὲν ἔνδικος βροτῶν;
700 τοιόνδε τοι ταρβοῦντες ἐνδίκως σέβας
ἔρυμά τε χώρας καὶ πόλεως σωτήριον
ἔχοιτ᾽ ἄν, οἷον οὔτις ἀνθρώπων ἔχει,
οὔτ᾽ ἐν Σκύθῃσιν οὔτε Πέλοπος ἐν τόποις.
κερδῶν ἄθικτον τοῦτο βουλευτήριον,
705 αἰδοῖον, ὀξύθυμον, εὑδόντων ὕπερ
ἐγρηγορὸς φρούρημα γῆς καθίσταμαι.
ταύτην μὲν ἐξέτειν᾽ ἐμοῖς παραίνεσιν
ἀστοῖσιν εἰς τὸ λοιπόν: ὀρθοῦσθαι δὲ χρὴ
καὶ ψῆφον αἴρειν καὶ διαγνῶναι δίκην
710 αἰδουμένους τὸν ὅρκον. εἴρηται λόγος.
Udite ora questo mio decreto, o popolo dell’Attica,
nel momento in cui emettete la prima sentenza
per il sangue versato. Anche negli anni a venire resterà
per sempre al popolo di Egeo questo consesso di giudici.
685 E questo colle di Ares[1], sede e campo
delle Amazzoni, quando giunsero armate per odio
contro Teseo, e in quel tempo contrapposero
alla cittadella[2] questa nuova cittadella munita di
alte torri, e facevano sacrifici ad Ares, donde ha ricevuto
690 il proprio nome questa rupe e colle di Ares[3] – in esso
la reverenza dei cittadini e la paura, sua consanguinea,
li tratterranno, di giorno e di notte in egual modo,
dal commettere ingiustizia, purché gli stessi cittadini
non innovino le leggi: chi contamina una fonte limpida
695 con torbide correnti e fango, non troverà mai
più da bere. Ciò che non è né privo di comando
né sottoposto a dispotismo questo io consiglio
ai cittadini di curare e riverire, e di non espellere
dalla città tutto ciò che è pauroso: chi degli uomini infatti
700 è giusto se nulla teme? Se voi rispetterete
secondo giustizia questo venerando istituto, disporrete
di un baluardo che salva il territorio e la città,
quale nessuna gente umana possiede, né tra gli Sciti
né nelle terre di Pelope[4]. Incorruttibile al lucro, degno di
705 reverenza, inflessibile d’animo, vigile scolta del paese
a difesa di chi dorma: questo è il consesso che
io istituisco. Tale lunga parentesi ho pronunciato
ai miei cittadini per l’avvenire. Ma ora
è necessario alzarsi a deporre il voto e definire questa
710 causa, rispettando il giuramento. E quanto ho detto basti.
Nella prima parte del brano, Eschilo fornisce l’etimologia del nome del più rispettato e temuto organo giudiziario ateniese, emblema dell’antica aristocrazia di sangue: secondo il poeta, esso derivava dalla collina (págos) sacra ad Ares, sulla quale i membri dell’antico tribunale, formato dagli arconti usciti di carica, si radunavano in occasione dei processi. In epoche precedenti, quando il legame della stirpe rappresentava l’ordinamento di base della società arcaica, l’omicidio era considerato un’offesa la cui vendetta spettava ai congiunti della vittima; ma in questo modo, poiché ogni delitto era necessariamente seguito da una vendetta, secondo la legge del «sangue chiama sangue», si dava l’avvio ad un processo inarrestabile, destinato a concludersi, in casi estremi, con l’annullamento della stirpe stessa, secondo la possibilità che Eschilo stesso aveva considerato nei Sette contro Tebe. Grazie all’istituzione dell’Areopago, il criterio della giustizia si sostituì a quello della vendetta e l’omicidio fu considerato una trasgressione delle leggi cittadine; in questo modo, la catena dei delitti poteva essere interrotta e l’omicida, una volta giudicato dal tribunale dell’Areopago, poteva essere condannato a morte o assolto in via definitiva. In quest’ultimo caso, egli veniva reinserito nel contesto sociale secondo le prescrizioni di una casta sacerdotale aristocratica, gli exēgétai, scelti fra gli Eupatridi e posti sotto la protezione di Apollo. Quanto alle Erinni, furono identificate con le Semnaí, in nome delle quali si giurava prima del giudizio, conciliando in questo modo il nuovo ordine con il vecchio e garantendo all’ordinamento civico una connotazione religiosa, oltre che una durevole stabilità.

Oltre a fornirci notizie sull’origine dell’Areopago, il brano preso in esame dimostra in modo assai significativo l’importanza del tema politico nella tragedia greca e particolarmente in quella eschilea, sempre fortemente collegata alla realtà storica di Atene. L’Orestea fu composta e rappresentata da Eschilo nel 459/58 a.C., un periodo in cui Atene dovette affrontare gravi tensioni, sia nella politica interna che in quella estera. Erano gli anni in cui si veniva delineando in maniera sempre più netta il contrasto con Sparta, accompagnato da dimostrazioni di simpatia verso Argo, ben nota per il suo atteggiamento anti-lacedemone. Eschilo mostrò di condividerlo, tanto che spostò perfino la residenza di Agamennone e del suo génos da Micene, tradizionale sede della stirpe dei Tantalidi, alla capitale dell’Argolide (Agamennone, 810). Contemporaneamente, all’interno di Atene, la nuova distribuzione del potere fra le classi sociali dette luogo a una serie di riforme, la più significativa delle quali fu quella di Efialte (462/61 a.C.), rivolta appunto contro l’Areopago, organo di formazione esclusivamente aristocratica, che fu privato di molte delle sue antiche prerogative[5], suddivise poi fra la boulḗ dei Cinquecento, l’ecclēsía e il tribunale dell’Eliea, strutture statali di impronta fortemente democratica. Le reazioni degli oligarchi non si fecero attendere e il partito conservatore, che aveva il suo massimo esponente in Cimone, nel 461 a.C. reagì con la violenza; come racconta Plutarco (Vita di Pericle, 10), Efialte fu assassinato e Atene giunse sull’orlo di una guerra civile[6]. Per parte sua, Eschilo non rimase insensibile all’inquietudine politica della città e non mancò di trasmettere al pubblico un messaggio moderato e pacificatore, sostenuto come sempre da un profondo sentimento religioso. Le sue intenzioni traspaiono dalle parole di Atena, la protettrice per eccellenza della città e del popolo ateniese, pronunciate nel momento in cui la dea trasforma l’Areopago da tribunale di dèi (il primo processo giudicato da questo tribunale era stato intentato da Poseidone contro Ares, colpevole di aver ucciso Alirrotio, figlio del dio del mare) in un consesso di cittadini ateniesi phónōn dikastaí, «giudici di omicidi», senza fare accenno ad altri eventuali poteri, politici o di diversa natura. Sappiamo infatti che Efialte aveva lasciato all’Areopago quest’unica funzione, sufficiente tuttavia, agli occhi di Eschilo, a conservare pienamente la dignità dell’antico tribunale; anzi, il poeta intese, con i suoi versi, farlo oggetto di una specie di investitura divina, che ne confermava la veneranda origine e il rispetto che gli era dovuto. A questo proposito, Eschilo non mancò di sottolineare, attraverso la divina autorità dei consigli di Atena, la sua ottica politica di democratico moderato: anche in uno Stato in rapida evoluzione, il poeta avvertì la necessità che permanesse nel cuore dei cittadini la fedeltà alle leggi, che non dovevano essere sconsideratamente mutate (vv. 690-695), accompagnata da un salutare «timore» (phóbos), in assenza del quale egli temeva che il lato trasgressivo della natura umana potesse prendere il sopravvento e provocare la rovina dello Stato, distruggendo con la guerra civile ogni possibilità di quella pacifica vita associata, che egli considerava il più armonioso esempio di equilibrio fra anarchia e dispotismo (v. 696).
Fermamente persuaso che l’uomo potesse essere indotto alla saggezza ed alla disciplina solo attraverso la costrizione, il poeta si augurava che l’aggressività dei suoi concittadini non trovasse sfogo nella distruttiva guerra civile, ma in un conflitto contro nemici esterni, dal quale la città potesse uscire più forte e più gloriosa, come aveva fatto al tempo delle guerre persiane, e come stava facendo proprio in quegli anni, per la conquista delle miniere aurifere del Pangeo, in Tracia. Se Atene avesse fatto suo questo «ricco parto della terra», la città avrebbe avuto a disposizione una nuova fonte di prosperità e il benessere dei cittadini sarebbe aumentato, a vantaggio soprattutto dei meno abbienti, che era così facile spingere alla rivolta, facendo leva sulla loro miseria. Tuttavia, in queste parole appare evidente anche il limite del pensiero politico di Eschilo; il poeta infatti esprimeva ancora gli ideali politici e civili della classe dirigente che era stata al potere durante le guerre persiane, nel periodo della sua giovinezza. Giunto ad un’età più matura e consapevole di vivere in un’età di crisi, egli volle consigliare ai suoi concittadini il mezzo per superarla, ma lo fece ispirandosi a un grande passato, piuttosto che a un futuro che lo lasciava perplesso.
[1] Probabilmente il testo del v. 685 è corretto (a differenza di quanto crede Page), con l’”etimologizzazione” del termine «Areopago» (= «colle di Ares»). Si ha pertanto un anacoluto, agevolato dal fatto che il discorso dei versi seguenti si sviluppa sino alla menzione di nuovo – al v. 690 – del «colle di Ares».
[2] Al v. 687 in luogo del tràdito pólin, accolto da Page, leggo pólei (Orelli).
[3] Le Amazzoni, indignate per il rapimento della loro regina (Antiope o Ippolita) ad opera di Teseo, re di Atene, attaccarono la città, accampandosi di fronte all’acropoli, sul colle di Ares, ma ne furono poi scacciate. Cfr. Erodoto, IX 27, 4 e Diodoro, IV 28, 1.
[4] Tanto gli Sciti (cfr. Eschilo, fr. 198 R.) quanto gli Spartani (Erodoto, I 65-66; Tucidide, I 18, 1; Senofonte, Costituzione di Sparta, passim) erano celebri per la loro eunomía. Pelope, figlio di Tantalo e antenato degli Atridi, è l’eroe eponimo del Peloponneso.
[5] La riforma sottrasse all’Areopago tutte quelle competenze «aggiunte» (epítheta) che il consesso aveva accumulato nel tempo in materia di controllo della vita politica e costituzionale e che gli consentivano di essere, come riporta Aristotele (Costituzione degli Ateniesi, 25 2), «guardiano della cittadinanza» (politeías phylakḗ).
[6] Sul suo assassinio circolano le più diverse versioni, compresa quella che sarebbe stato fatto uccidere da Pericle; Aristotele (Costituzione degli Ateniesi, 25 5) attribuisce l’assassinio a un tale Aristodico di Tanagra; con ogni probabilità, si trattava di una congiura ordita dagli oligarchici, o comunque da suoi avversari politici – la stessa cui allude Tucidide (I 107, 4; 6) all’epoca della battaglia di Tanagra. In ogni caso, l’eliminazione di Efialte non poté arrestare il processo di evoluzione democratica innescato dalla riforma.
[…] in porto le riforme costituzionali di Efialte e di Pericle: abolizione dei poteri politici dell’Areopago (la nomophylakía, cioè la sorveglianza sulla costituzione e forse anche la custodia dei testi […]
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[…] non mettevano fine a [questa] crudeltà, ma essa si eccitava da sé. In questa città esisteva l’Areopago: il tribunale più sacro, nel quale – un consiglio e una moltitudine in tutto simili al Senato […]
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[…] pensare nel finale dell’Orestea, quando Oreste, assolto dal matricidio grazie al verdetto dell’Areopago, il più antico e venerando tribunale ateniese, rientrava a pieno diritto nell’ordine religioso e […]
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[…] giustizia. Noi non conosciamo l’esito del processo, ma poiché esso fu celebrato di fronte all’Areopago, dovette risolversi con un’assoluzione o con una condanna a morte, poiché questo tribunale – […]
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[…] dell’equilibrio dei poteri. Scaduto l’anno di carica, gli arconti entravano a far parte dell’Areopago, il consiglio dell’Atene aristocratica; esso si riuniva sulla collina di Ares, sita a poca […]
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[…] una sorta di «passaggio delle consegne» tra le Erinni e Atena. In una fase del processo presso il tribunale dell’Areopago, le Erinni rivendicano l’importanza del “terrore” (τὸ δεινόν) quale elemento di […]
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