di D. Mᴜsᴛɪ, Storia greca. Linee di sviluppo dall’età micenea all’età romana, Milano 2010, pp. 480 sgg.
L’esposizione che Senofonte fa degli episodi militari, che portano al rientro dei democratici, è ricca di dettagli per tutte le fasi del racconto; e questo, strutturalmente, dà alla narrazione senofontea un carattere diverso dai testi di Aristotele e Diodoro[1]. Questi ultimi, infatti, danno una particolare espansione alla prima fase del rientro. Il momento di File, come del resto anche quello del Pireo, ha estensione e ruolo particolari. Proprio il rilievo ideologico del rientro, le condizioni in cui se ne determina la possibilità, l’accorrere di varia gente che va ad ingrossare le file democratiche, sono l’elemento costitutivo del racconto di Aristotele e di Diodoro; più rapida invece l’esposizione dei fatti militari, che seguono agli scontri di File e del Pireo. Si può dire insomma che, nella parte finale, il racconto di Aristotele e quello di Diodoro siano molto contratti. In Senofonte più della metà del racconto riguarda il seguito dello scontro del Pireo, con particolari che si riferiscono soprattutto alla parte ateniese oligarchica, e alla parte spartana; il che può dare l’idea della posizione che in questo momento occupa l’autore. Dopo lo scontro del Pireo si raccolgono i morti, e un lungo discorso dell’araldo dei mýstai di Eleusi, Cleocrito, fa presente agli uomini dell’altra parte – anch’essi impegnati nell’opera pietosa – quanto sia folle il combattersi, quanto male abbiano fatto i Trenta che, per i loro vantaggi, in otto mesi hanno ucciso più Ateniesi di quanto i Peloponnesiaci abbiano fatto in dieci anni[2]. Questa indicazione è importante, perché permette di collocare cronologicamente gli eventi: gli otto mesi, secondo Beloch[3], vanno considerati dal momento della capitolazione e pace, avvenute nell’aprile del 404; e perciò aiuterebbero a collocare tutti questi fatti nel novembre-dicembre del 404. A rigore, potremmo scalare un paio di mesi ancora, perché la vera e propria installazione del regime dei Trenta tarda un paio di mesi ed è soltanto verso giugno: quindi noi dovremmo datare la battaglia del Pireo verso febbraio. Questo però si accorda male con il fatto che la prima spedizione dei Tiranni contro File fu scoraggiata da una nevicata imprevista; ora l’episodio di File, stando alla dinamica degli eventi, si colloca circa tre settimane prima della battaglia del Pireo, in cui cade Crizia; potrebbe perciò essere conveniente sistemare la battaglia del Pireo verso novembre-dicembre del 404, più che a febbraio del 403, quando la neve doveva essere qualcosa di prevedibile. Dobbiamo allora forse considerare gli otto mesi dal momento in cui non c’era ancora formalmente il regime dei Trenta Tiranni, ma, con la capitolazione di Atene, se ne erano create le premesse.

Lo scontro del Pireo rappresenta una svolta, perché ora i Trenta vengono indotti a rimettere il potere a un nuovo collegio di magistrati, i Dieci, che devono esperire le vie della pace; cosa che il collegio non fa, secondo Diodoro; segue un collegio di Dieci, che saranno fra i veri autori della riconciliazione[4].
Nel racconto senofonteo c’è un dato importante per la collocazione dell’autore. Senofonte afferma che il giorno dopo lo scontro del Pireo (intorno al novembre-dicembre, secondo Beloch, del 404), i Trenta residui, ormai privi delle loro guide, Crizia e Carmide, erano riuniti in sinedrio, soli e abbandonati, perché i Tremila, che avrebbero dovuto essere il loro naturale supporto, si riunivano in luoghi diversi, per discutere la situazione. «Quanti avevano commesso qualche violenza, e per questo avevano ragione di temere, dicevano con forza che non bisognava cedere a quelli del Pireo; ma quanti erano convinti di non aver commesso alcun torto, consideravano per sé, e agli altri facevano presente, che non c’era nessun bisogno di tutti questi mali, e dicevano ancora che non bisognava obbedire ai Trenta, né permettere che la città andasse in rovina. Da ultimo, decisero di metter fine al loro governo, e di eleggerne altri; e ne elessero dieci, uno per tribù» (Elleniche II 4, 23). Se veramente Senofonte avesse avuto qualcosa di grave sulla coscienza, egli non avrebbe in nessun modo parlato in questi termini; la cosa che più doveva passare sotto silenzio è che, intorno al dicembre del 404, ci fosse fra i Tremila qualcuno che aveva delle colpe, e qualcuno che non ne aveva. Egli avrebbe potuto semplicemente dire: «I Tremila decisero di metter fine al regime dei Trenta»; ma evidentemente egli ritiene di essere tra coloro che non avevano nulla di particolarmente grave da rimproverarsi.

I Trenta, dopo la sconfitta del Pireo, si ritirarono ad Eleusi; i Dieci sono molto preoccupati, e Senofonte descrive la diuturna guardia esercitata dai cavalieri per il timore di attacchi da parte di quelli del Pireo. Anche quelli del Pireo, intanto, si vanno organizzando e vanno promettendo l’isotéleia agli stranieri, che continuino a combattere dalla parte dei democratici. L’isotéleia è la condizione di colui che si trova a partecipare di télē (obblighi fiscali in primo luogo) dei cittadini; si tratta di una categoria privilegiata di meteci. Esiste il problema se l’isotelia equivalga semplicemente a immunità dal pagamento del metoíkion, cioè della tassa, probabilmente mite, di dodici dracme, versata dai meteci, o se invece significhi un più sostanziale adeguamento, senza che ci sia identificazione totale, alla condizione di cittadini.
Segue l’intervento spartano, condotto da Lisandro, che protegge gli oligarchici, e dal re Pausania II, che, per ragioni personali, oltre che per intima convinzione, contrasta i disegni di Lisandro, e in un primo momento deve attaccare, e sconfigge, quelli del Pireo, insieme con gli alleati peloponnesiaci (esclusi Beoti e Corinzi). Poi Pausania invita segretamente i democratici del Pireo a mandargli ambascerie di pace, e fa opera di convincimento anche con “quelli della città”; ambascerie delle diverse parti ateniesi giungono a Sparta. La pace è fatta, con un’amnistia (è a questo punto che Aristotele, almeno come Diodoro, colloca l’adozione del principio del mḕ mnēsikakeîn, il «non recriminare»), che esclude solo i Trenta, gli Undici (di giustizia) e i Dieci del Pireo; gli oligarchi che non lo vogliano possono ritirarsi ad Eleusi[5]. Archino riduce il numero dei giorni della decisione per trattenere in città gli incerti: misura abile, che si pone apparentemente contro i candidati al cambiamento di domicilio, cioè contro gli oligarchi, ma ha invece l’effetto reale di trattenerli nella cittadinanza. È chiaro che il risultato è quello che si addice a un rappresentante del filone moderato della rinata democrazia. Non a caso Aristotele lo colloca fra i rappresentanti della pátrios politeía e gli attribuisce tre misure, tutte dello stesso tenore: 1) l’opposizione al decreto di Trasibulo che finiva col premiare, fra i combattenti per la restaurazione democratica, anche gli schiavi con la concessione della cittadinanza; 2) la fermezza nel volere la condanna a morte di un cittadino che aveva osato «recriminare», cioè contravvenire al principio dell’amnēstía, del mḕ mnēsikakeîn, nei riguardi di coloro che appartenessero ai collegi governanti nel periodo dei Trenta; 3) l’abile riduzione del tempo concesso per l’opzione della residenza ad Eleusi, come già si è detto. Agli occhi di Aristotele, egli è un campione dell’homónoia, l’ideale moderato della concordia, che ormai si afferma ad Atene e nel mondo greco[6]. Per Senofonte (Elleniche II 4, 43) un grave episodio turba e chiude la vita effimera di Eleusi nel 401: insospettiti per notizie di intenzioni aggressive, gli Ateniesi con Trasibulo attaccano Eleusi; in un colloquio vengono uccisi a tradimento i generali oligarchici; solo ora (401) ci sono, per Senofonte, la pace e l’amnistia.
[1] Senofonte, Elleniche II 4, 1-43; Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 34-40; Diodoro, XIV 32-33.
[2] Senofonte, Elleniche II 4, 20 sgg., in part. 21 sugli “otto mesi”.
[3] GG2 III 2, pp. 209 sgg., e in generale 204-211.
[4] Sul secondo collegio di Dieci succeduto a quello dei Trenta, J.K. Beloch, GG2 III 1, p. 12 n. 1, in base ad Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 38, 3; Androzione, FGrHist 324 F 10.
[5] Cfr. n. 1.
[6] Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 40.