Un nemico formidabile

Nel 432/1 a.C., mentre gli Ateniesi erano impegnati con 5000 opliti e 70 navi nell’assedio di Potidea, colonia corinzia e loro alleata riluttante, Corinto intervenne a difesa dei propri concittadini laggiù inviando un’ambasceria a Sparta, con l’istanza di convocare un’assemblea generale della Lega del Peloponneso e di votare la dichiarazione di guerra contro Atene, poiché con le sue azioni contro le colonie corinzie essa stava violando gli accordi della pace trentennale, siglata nel 446/5. Gli inviati corinzi nei loro interventi accusano gli Spartani di immobilismo politico, di esagerare in fatto di prudenza diplomatica e di reagire con lentezza; inoltre, essi – secondo i Corinzi – si crogiolano nella fama di essere “liberatori della Grecia”, dalla fine delle Guerre persiane, se ne stanno tranquilli, trascurando gli eventi esteri contingenti, cioè il fatto che i loro alleati subiscano torti da parte di Atene. Nel paragrafo che segue, Tucidide riporta il discorso di uno dei Corinzi, nel quale vengono esaltate le qualità degli Ateniesi per pungere nell’orgoglio gli Spartani e smuoverli dal loro torpore…

Oplita greco. Illustrazione di M. Churms
Oplita greco. Illustrazione di M. Churms

Tucidide, Storie I 70

«[1] Oltre a ciò, se mai altri hanno avuto il diritto di biasimare il proprio vicino, tale diritto pensiamo di averlo noi, soprattutto perché grandi sono gli interessi in gioco: interessi che ci sembra che voi non prendiate in considerazione, né ci sembra che voi abbiate mai considerato quale carattere abbiano gli Ateniesi, contro i quali ora voi dovete lottare, e quanto, anzi, quanto completamente siano diversi da voi. [2] Essi sono innovatori e rapidi a far progetti e a compiere le loro decisioni: voi siete paghi di conservare quello che possedete e di non prendere nuove deliberazioni e, nell’azione, di non compiere neppur ciò che è necessario. [3] Ancora, loro, audaci oltre le proprie forze, sfidano il pericolo senza riflettere e sono ottimisti nelle situazioni gravi: vostra caratteristica è di far di meno di quanto è in vostro potere, il non fidarvi neppure dei calcoli più attendibili del vostro ragionamento e il credere di non poter mai scampare dalle difficoltà. [4] Inoltre, decisi di fronte a voi esitanti, portati a lasciare il loro paese mentre voi non volete mai uscire dal vostro: giacché loro credono di poter acquistare qualcosa con la lontananza dalla patria, mentre voi con l’intraprendere qualcosa temete di perdere anche quello che possedete. [5] Vittoriosi dei nemici, seguono il loro vantaggio quanto più è possibile e, vinti, retrocedono del minimo. [6] Ancora, considerano il corpo come qualcosa che non appartiene minimamente a loro, se è per il vantaggio della città, mentre la mente è per loro la cosa più cara se debbono fare qualcosa per essa. [7] Se non possono dar compimento ai loro piani, pensano di essere privati di quello che a essi appartiene, mentre quello che ottengono in un’impresa lo considerano poco in paragone dell’aspettativa del futuro. Se anche in un tentativo falliscono sperando in qualcos’altro compensano la mancanza che li affligge. Essi soli sperano ed ottengono contemporaneamente quello che progettano, perché rapido è il compimento delle loro decisioni. [8] E così in tutte queste occupazioni per la durata della loro vita si affaticano tra prove e pericoli, e pochissimo godono di quello che hanno perché sempre acquistano, e considerano una festa solo il fare quello che si deve, e una sventura tanto una quiete tranquilla che un’attività penosa. [9] Sicché se, riassumendo, si dicesse che sono nati per non avere tranquillità loro stessi e per non concederla agli altri, si avrebbe ragione!».

«[1] Καὶ ἅμα, εἴπερ τινὲς καὶ ἄλλοι, ἄξιοι νομίζομεν εἶναι τοῖς πέλας ψόγον ἐπενεγκεῖν, ἄλλως τε καὶ μεγάλων τῶν διαφερόντων καθεστώτων, περὶ ὧν οὐκ αἰσθάνεσθαι ἡμῖν γε δοκεῖτε, οὐδ’ ἐκλογίσασθαι πώποτε πρὸς οἵους ὑμῖν Ἀθηναίους ὄντας καὶ ὅσον ὑμῶν καὶ ὡς πᾶν διαφέροντας ὁ ἀγὼν ἔσται. [2] οἱ μέν γε νεωτεροποιοὶ καὶ ἐπινοῆσαι ὀξεῖς καὶ ἐπιτελέσαι ἔργωι ἃ ἂν γνῶσιν· ὑμεῖς δὲ τὰ ὑπάρχοντά τε σώιζειν καὶ ἐπιγνῶναι μηδὲν καὶ ἔργωι οὐδὲ τἀναγκαῖα ἐξικέσθαι. [3] αὖθις δὲ οἱ μὲν καὶ παρὰ δύναμιν τολμηταὶ καὶ παρὰ γνώμην κινδυνευταὶ καὶ ἐν τοῖς δεινοῖς εὐέλπιδες· τὸ δὲ ὑμέτερον τῆς τε δυνάμεως ἐνδεᾶ πρᾶξαι τῆς τε γνώμης μηδὲ τοῖς βεβαίοις πιστεῦσαι τῶν τε δεινῶν μηδέποτε οἴεσθαι ἀπολυθήσεσθαι. [4] καὶ μὴν καὶ ἄοκνοι πρὸς ὑμᾶς μελλητὰς καὶ ἀποδημηταὶ πρὸς ἐνδημοτάτους· οἴονται γὰρ οἱ μὲν τῆι ἀπουσίαι ἄν τι κτᾶσθαι, ὑμεῖς δὲ τῶι ἐπελθεῖν καὶ τὰ ἑτοῖμα ἂν βλάψαι. [5] κρατοῦντές τε τῶν ἐχθρῶν ἐπὶ πλεῖστον ἐξέρχονται καὶ νικώμενοι ἐπ’ ἐλάχιστον ἀναπίπτουσιν. [6] ἔτι δὲ τοῖς μὲν σώμασιν ἀλλοτριωτάτοις ὑπὲρ τῆς πόλεως χρῶνται, τῆι δὲ γνώμηι οἰκειοτάτηι ἐς τὸ πράσσειν τι ὑπὲρ αὐτῆς. [7] καὶ ἃ μὲν ἂν ἐπινοήσαντες μὴ ἐπεξέλθωσιν, οἰκείων στέρεσθαι ἡγοῦνται, ἃ δ’ ἂν ἐπελθόντες κτήσωνται, ὀλίγα πρὸς τὰ μέλλοντα τυχεῖν πράξαντες. ἢν δ’ ἄρα του καὶ πείραι σφαλῶσιν, ἀντελπίσαντες ἄλλα ἐπλήρωσαν τὴν χρείαν· μόνοι γὰρ ἔχουσί τε ὁμοίως καὶ ἐλπίζουσιν ἃ ἂν ἐπινοήσωσι διὰ τὸ ταχεῖαν τὴν ἐπιχείρησιν ποιεῖσθαι ὧν ἂν γνῶσιν. [8] καὶ ταῦτα μετὰ πόνων πάντα καὶ κινδύνων δι’ ὅλου τοῦ αἰῶνος μοχθοῦσι, καὶ ἀπολαύουσιν ἐλάχιστα τῶν ὑπαρχόντων διὰ τὸ αἰεὶ κτᾶσθαι καὶ μήτε ἑορτὴν ἄλλο τι ἡγεῖσθαιτὸ τὰ δέοντα πρᾶξαι ξυμφοράν τε οὐχ ἧσσον ἡσυχίαν ἀπράγμονα ἢ ἀσχολίαν ἐπίπονον· [9] ὥστε εἴ τις αὐτοὺς ξυνελὼν φαίη πεφυκέναι ἐπὶ τῶι μήτε αὐτοὺς ἔχειν ἡσυχίαν μήτε τοὺς ἄλλους ἀνθρώπους ἐᾶν, ὀρθῶς ἂν εἴποι».

Annotazioni e osservazioni dei lettori

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