I. Fisiologia e anatomia femminile
I medici ippocratici hanno dedicato un’importante parte dei loro studi alla ginecologia. Con queste opere si ha la prima formulazione scientifica di un sapere sul corpo femminile e al contempo la prima classificazione delle caratteristiche e delle funzioni biologiche della donna. I trattati prettamente ginecologici compresi nel Corpus sono: De natura muliebri, De mulierum affectibus I-III e De virginum morbis. Essi costituiscono una vera e propria «scienza del femminile» insieme ai trattati embriologici quali: De genitura, De natura pueri, De septimestri partu, De octimestri partu, De superfetatione e De exsectione foetus. Dallo studio di questi trattati è possibile comprendere quale fosse l’immagine biologica che si aveva della donna, di cui adesso elencheremo le caratteristiche principali.
Per quanto riguarda la fisiologia, la donna, secondo gli ippocratici, è calda e umida, la sua pelle è porosa, come quella di una spugna e assorbe gli umori prodotti dal cibo in misura maggiore rispetto al suo fabbisogno: è come un panno di lana morbida e soffice al tatto, dalla consistenza porosa e rarefatta. Proprio per questo motivo è costretta a espellere periodicamente la quantità umorale in esubero. Le mestruazioni adempiono proprio a questo compito e la loro presenza diventa indispensabile per garantire la salute della donna. Il ciclo mestruale però è anche il segno di una instabilità femminile, di una mancanza di armonia e equilibrio che la costringe a questa espulsione mensile. Inoltre l’eccesso di liquido che si accumula nel corpo femminile rende la donna più calda. L’uomo invece, che ha una carne compatta e asciutta e smaltisce gli umori in esubero grazie alla fatica fisica, non ha le mestruazioni ed è molto meno caldo della donna.
Testimonianza di quanto appena detto è in Malattie delle donne I,1[1]:
Φημὶ τὴν γυναῖκα ἀραιοσαρκοτέρην καὶ ἁπαλωτέρην εἶ ναι ἢ τὸν ἄνδρα·καὶ τουτέου ὧδε ἔχοντος, ἀπὸ τῆς κοιλίης ἕλκει τὴν ἰκμάδα καὶ τάχιον καὶ μᾶλλον τὸ σῶμα τῆς γυναικὸς ἢ τοῦ ἀνδρός. (…) Οὕτω δὴ καὶ ἡ γυνὴ, ἅτε ἀραιοτέρη ἐοῦσα, εἵλκυσε πλέον ἀπὸ τῆς κοιλίης τῷ σώματι τῆς ἰκμάδος καὶ θᾶσσον ἢ ὁ ἀνὴρ, καὶ ἅτε ἁπαλοσάρκῳ ἐούσῃ τῇ γυναικὶ, ἐπὴν πλησθῇ τοῦ αἵματος τὸ σῶμα, ἢν μὴ ἀποχωρήσῃ ἀπ’ αὐτέου, πληρευμένων τῶν σαρκῶν καὶ θερμαινομένων, πόνος γίνεται· θερμότερον γὰρ τὸ αἷμα ἔχει ἡ γυνὴ, καὶ διὰ τοῦτο θερμοτέρη ἐστὶ τοῦ ἀνδρός·ἢν δὲ τὸ πλεῖον ἐπιγενόμενον ἀποχωρέῃ, οὐ γίνεται ὁ πόνος καὶ ἡ θέρμη ὑπὸ τοῦ αἵματος. Ὁ δὲ ἀνὴρ στερεοσαρκότερος ἐὼν τῆς γυναικὸς οὔτε ὑπερπίμπλαται τοῦ αἵματος τόσον, ὥστε, ἢν μὴ ἀποχωρέῃ τι τοῦ αἵματος καθ’ ἕκαστον μῆνα, πόνον γίνεσθαι, ἕλκει τε ὁκόσον ἐς τροφὴν τοῦ σώματος, τό τε σῶμά οἱ οὐχ ἁπαλὸν ἐὸν οὐχ ὑπερτονέει, οὐδ’ ὑπερθερμαίνεται ὑπὸ πληθώρης ὡς τῇ γυναικί· μέγα δὲ ξυμβάλλεται ἐς τοῦτο τῷ ἀνδρὶ, ὅτι ταλαιπωρέει μᾶλλον τῆς γυναικός· ἡ γὰρ τωλαιπωρίη ἀπάγει τῆς ἰκμάδος.
«La donna ha carni più molli e tenere dell’uomo. Questo perché dal ventre il corpo femminile assorbe l’umore più rapidamente e in quantità maggiore rispetto al corpo maschile. (…) La donna infatti è più rada e per questo attrae dal ventre, attraverso il corpo, una quantità di umore maggiore, e con maggiore rapidità, rispetto all’uomo. Nella donna, pertanto, che ha tessuti molli, quando il corpo è colmo di sangue, se essa non se ne libera e le carni restano pregne e calde, insorge dolore. Più caldo infatti è il suo sangue, ed è per questo che essa è più calda dell’uomo. Se però, l’accumulo formatosi viene evacuato, allora né dolore né calore insorgono a causa del sangue. L’uomo, invece, che ha carne più compatta della donna, non se ne riempie al punto da provare sofferenza se una certa quantità non viene evacuata mensilmente. L’uomo, infatti, ne assorbe quanto basta a nutrire il corpo e quest’ultimo, che non è né molle né sotto sforzo, non va incontro nemmeno, a causa della pienezza, a un eccesso di calore, come invece succede nella donna. A ciò non poco contribuisce poi nell’uomo il fatto che egli si affatichi molto di più della donna; l’affaticamento infatti dissipa l’umore»[2].

Partendo da tali presupposti, la medicina ippocratica riteneva che la condizione migliore della donna fosse quella della gravidanza poiché durante la gestazione tutti i liquidi in eccesso venivano impiegati per il nutrimento del feto; non c’era più bisogno del ciclo mestruale e in quei nove mesi la donna viveva un periodo di equilibrio perfetto.
Anche se non esiste nel Corpus ippocratico una trattazione specifica dell’apparato riproduttivo della donna, è comunque possibile farsi un’idea di quali dovevano essere le convinzioni dei medici a questo riguardo dalle varie osservazioni contenute in diversi passi del Corpus. Come prima cosa si deve dire che la mancanza di tecniche adeguate per uno studio approfondito del corpo umano non permetteva di avere un’opinione precisa della sua costituzione interna, gli ippocratici ad esempio ignoravano l’esistenza delle ovaie e delle tube di Falloppio.
Per i medici ippocratici il corpo della donna era delimitato da due aperture, una inferiore, vagina-utero, e una superiore, bocca-narici, entrambe unite da un lunghissimo canale che passava attraverso gli intestini, lo stomaco e la gola. Si credeva pertanto che applicando sostanze molto profumate a una delle due estremità, sarebbe stato possibile percepirne l’odore nell’estremità opposta, infatti, per verificare la fertilità di una donna si applicavano sostanze molto odorose ai genitali e si aspettava che il loro aroma giungesse alla bocca. Se ciò avveniva, significava che il passaggio era libero, che non c’erano ostruzioni, e quindi la donna avrebbe senz’altro potuto concepire, in caso contrario bisognava intervenire e liberare il passaggio con purghe e altre terapie[3]. Anche la pratica delle fumigazioni, come vedremo più avanti, deriva da questa convinzione, così come la credenza che la fuoriuscita di sangue dal naso fosse segno di una deviazione del sangue mestruale verso l’apertura superiore delle narici.
Esiste inoltre un collegamento anche tra utero e seno, grazie al quale il latte passa dal primo al secondo. Non è chiaro però come funzioni esattamente questo passaggio, se avvenga tramite il medesimo canale che unisce utero, bocca e narici, o se esistono dei vasi sanguigni indipendenti[4].
L’organo principale della donna per gli ippocratici è l’utero, che, insieme alle mestruazioni, è quanto ha di più proprio. Per l’autore di medicina antica l’utero è un organo cavo ed espanso, che può ingrandirsi e rimpicciolirsi e che si presta pertanto ad attrarre i liquidi dall’esterno. Può essere formato da più cavità e per questo motivo nei trattati medici è nominato sempre al plurale. Nel De genitura e nel De natura pueri ci viene detto che è a forma di vaso capovolto e come esso possiede un’apertura che in situazione normale si trova ad essere in asse con quella della vagina. La maggior parte delle malattie di una donna sono provocate proprio da questo organo, così come il suo benessere dipende strettamente dal suo buon funzionamento. Del resto l’autore di Luoghi dell’uomo, 47[5] afferma:
«È l’utero la causa di tutte le malattie delle donne»
Una delle principali cause del cattivo funzionamento dell’utero è la verginità o una prolungata astinenza. In assenza di coito infatti la donna rischia di restare priva di quella quantità di umidità e di calore che è necessaria all’utero per stare bene, esso infatti, che non è umido per natura, tende a seccarsi se non viene periodicamente umettato. Infatti come ci dice l’autore del Regime, II, 58[6]:
Λαγνείη ἰσχναίνει καὶ ὑγραίνει καὶ θερμαίνει· θερμαίνει μεν διὰ τὸν πόνον καὶ τὴν ἀπόκρισιν τοῦ ὑγροῦ, ἰσχναίνει δὲ διὰ τὴν κένωσιν, ὑγραίνει δὲ διὰ τὸ ὑπολειπόμενον ἐν τῷ σώματι τῆς συντήξιος τῆς ὑπὸ τοῦ πόνου.
«…il coito fa dimagrire, inumidisce e riscalda; riscalda per la fatica e la secrezione dell’umido, fa dimagrire a causa dello svuotamento, inumidisce per quello che resta nel corpo di ciò che si è sciolto per la fatica».

Proprio per questo il coito è una delle terapie più diffuse nel De natura muliebri e in generale in tutti i trattati ginecologici[7]. Come apprendiamo dal passo del Regime, con il coito la donna recupera quella dimensione di umidità che le è propria e che, venendo meno, può causare lo spostamento dell’utero verso vari organi del corpo. Infatti, la matrice, senza il liquido seminale rimane asciutta e leggera e per questo diviene in grado di spostarsi lungo il canale che la collega alla bocca. Questi spostamenti, con il conseguente premere dell’utero sugli altri organi (fegato, cuore, diaframma etc.) provocano alla donna una sensazione di soffocamento e di intontimento mentale e psicologico che i medici ippocratici classificavano come tipico male femminile, da collegare con ciò che la donna ha di più peculiare, l’utero[8]. È interessante a questo proposito quanto leggiamo in Malattie delle donne I,7[9]:
Ἢν δὲ πνὶξ προστῇἐξαπίνης, γίνεται δὲ μάλιστα τῇσι μὴ ξυνιούσῃσιν ἀνδράσι καὶ τῇσι γεραιτέρῃσι μᾶλλον ἢ τῇσι νεωτέρῃσι· κουφότεραι γὰρ αἱ μῆτραι σφέων εἰσί·γίνεται δὲ μάλιστα διὰ τόδε·ἐπὴν κενεαγγήσῃ καὶ ταλαιπωρήσῃ πλέον τῆς μαθήσιος, αὐανθεῖσαι αἱ μῆτραι ὑπὸ τῆς ταλαιπωρίης στρέφονται, ἅτε κενεαὶἐοῦσαι καὶ κοῦφαι· εὐρυχωρίη γάρ σφίν ἐστιν ὥστε στρέφεσθαι, ἅτε τῆς κοιλίης κενεῆς ἐούσης· στρεφόμεναι δὲἐπιβάλλουσι τῷἥπατι, καὶὁμοῦ γίνονται, καὶἐς τὰὑποχόνδρια ἐμβάλλουσι· θέουσι γὰρ καὶἔρχονται ἄνω πρὸς τὴν ἰκμάδα, ἅτε ὑπὸ τῆς ταλαιπωρίης ξηρανθεῖσαι μᾶλλον τοῦ καιροῦ· τὸ δὲ ἧπαρ ἰκμαλέον ἐστίν·ἐπὴν δὲἐπιβάλωσι τῷ ἥπατι, πνίγα ποιέουσιν ἐξαπίνης ἐπιλαμβάνουσαι τὸν διάπνοον τὸν περὶ τὴν κοιλίην. Καὶ ἅμα τε ἄρχονται ἔστιν ὅτε προσβάλλειν πρὸς τὸ ἧπαρ, καὶ ἀπὸ τῆς κεφαλῆς φλέγμα καταῤ∙έει ἐς τὰ ὑποχόνδρια οἷα πνιγομένης, καὶ ἔστιν ὅτε ἅμα τῇ καταῤύσει τοῦ φλέγματος ἔρχονται ἐς χώρην ἀπὸ τοῦ ἥπατος, καὶ παύεται ἡ πνίξ. Κατέρχονται δὲ καθελκύσασαι ἰκμάδα καὶ βαρυνθεῖσαι·τρυσμὸς δὲ ἀπ’ αὐτέων γίνεται, ἐπὴν χωρέωσιν ἐς ἕδρην τὴν σφέων αὐτέων.
«Se la soffocazione isterica sopraggiunge all’improvviso, questo accade soprattutto nelle donne che non hanno avuto rapporti sessuali e in quelle anziane, piuttosto che nelle giovani; in realtà la loro matrice è più leggera. Ecco come si manifesta: se la donna ha i vasi più vuoti del normale ed è più sofferente, la matrice sofferente si sposta, dato che è diventata più leggera. Il vuoto costituito dal ventre permette alla matrice di spostarsi. Nel cambiare posizione la matrice si sovrappone al fegato e aderisce a esso, e va anche verso l’ipocondrio. In effetti essa corre e si sposta in alto, verso il fluido, dato che si è disseccata eccessivamente per la fatica; il fegato invece è pieno di fluido. Quando si è sovrapposta al fegato essa provoca una soffocazione isterica interrompendo la via respiratoria che si trova nel ventre. E appena la matrice si riversa sul fegato, dalla testa scende il flegma verso l’ipocondrio mentre si ha la soffocazione; e avviene che, quando in conseguenza della discesa del flegma la matrice abbandona il fegato e ritorna al suo posto, cessa anche la soffocazione isterica. La matrice, avendo assunto il fluido e divenuta pesante torna al suo posto; produce inoltre un gorgoglio mentre fa ritorno alla sede che le è propria»[10].

Nei trattati ginecologici insieme alla prescrizione «si unisca al marito» si trova spesso anche quella relativa al concepimento. Se infatti la donna oltre a unirsi al marito resta anche incinta allora ogni male verrà risolto perché con la gestazione avrà luogo, almeno per nove mesi, un periodo di equilibrio perfetto.
Il corpo femminile e il suo benessere appaiono dunque strettamente collegati alle funzioni sociali della donna greca del V sec. a.C., quella di moglie e di madre, quando una di queste viene meno, anche la salute della paziente peggiora ed è necessario intervenire.
Dallo studio di questa opere emerge che la scienza ippocratica concepisce la donna come «altro» rispetto all’uomo: le malattie che la affliggono e le relative terapie pertanto si distinguono, almeno in parte, da quelle che interessano l’uomo. Testimonianza di quanto appena detto si trova in Malattie delle donne I, 62[11]:
Ἅμα δὲ καὶ οἱ ἰητροὶ ἁμαρτάνουσιν, οὐκ ἀτρεκέως πυνθανόμενοι τὴν πρόφασιν τῆς νούσου, ἀλλ’ ὡς τὰ ἀνδρικὰ νοσήματα ἰώμενοι·καὶ πολλὰς εἶδον διεφθαρμένας ἤδη ὑπὸ τοιούτων παθημάτων. Ἀλλὰ χρὴ ἀνερωτᾷν αὐτίκα ἀτρεκέως τὸ αἴτιον·διαφέρει γὰρ ἡ ἴησις πολλῷ τῶν γυναικηΐων νοσημάτων καὶ τῶν ἀνδρώων.
«Inoltre i medici commettono l’errore di non informarsi esattamente della causa della malattia, e di trattarla come se si trattasse di malattia maschile; e mi è capitato di vedere già più di una donna soccombere per questo genere di affezione. Invece è necessario interrogare attentamente la paziente; perché le malattie femminili e quelle maschili sono alquanto differenti dal punto di vista del trattamento medico».
Inoltre, per concludere, la donna, per i medici ippocratici, non solo è diversa rispetto all’uomo, ma anche rispetto al canone di normalità da esso incarnato, infatti, come sottolinea Manuli[12]: «…ciò che, nel complesso delle malattie che riguardano la specie, è condiviso anche dal maschio, o unicamente dal maschio, lungi dal costituirsi in un’andrologia, entra a far parte di ciò che viene considerato una patologia “normale” e diviene oggetto della scienza medica in generale».

II. La farmacia di Ippocrate
Dopo aver descritto, seppur brevemente, quali erano secondo i medici ippocratici le principali caratteristiche del corpo femminile e quale la sua fisiologia, passiamo all’analisi delle terapie usate per curare alcune delle più importanti patologie ginecologiche. Il testo di riferimento per questa analisi sarà il De natura muliebri.
La farmacia di Ippocrate, come l’abbiamo definita, comprende tantissimi elementi, erbe, fiori, secrezioni di animali, minerali e una grande varietà di «pratiche curative», come l’uso di pessari (supposte vaginali), bagni, irrigazioni vaginali, fomenti, cataplasmi, inalazioni, purganti, beveraggi, bendaggi, semicupi, clisteri, fumigazioni e ovviamente, il coito. Proprio per questo ho deciso di prendere in esame soltanto alcuni dei rimedi, quelli che troviamo applicati prevalentemente nei trattati ginecologici e che sono usati quasi esclusivamente per curare patologie femminili: fomenti e fumigazioni, escrementi e secrezioni ferine, beveraggi e pessari a base di insetti. Lo scopo dell’indagine è quello di mettere in relazione teoria e terapia, in altre parole vorrei mostrare in modo pratico in che senso l’utilizzo di tali elementi terapeutici trovasse un riscontro immediato e una chiara motivazione nella concezione del corpo della donna così come si è descritto.
III. Bagni di vapore e fumigazioni aromatiche
Non è sempre chiara la distinzione tra fomenti e fumigazioni. In generale possiamo dire che con fomenti (pyría kaì thérasma) si intende sia i bagni di vapore in cui la donna, seduta su uno sgabello, si espone alle esalazioni vaporose provenienti da determinate sostanze bruciate, sia le applicazioni calde, su specifiche parti del corpo, per mezzo di stoffe imbevute; il bagno di vapore invece poteva essere diretto o a una parte specifica (di solito i genitali, come in De natura muliebri, 3, 9, 14 e 18) o a tutto il corpo (ma più raramente, come in De natura muliebri, 6, 41 e 43). I medici ippocratici prescrivono i fomenti per alleviare i dolori e in caso di scarsa umidità nell’organismo, che in genere è strettamente collegata alla mancanza di ciclo mestruale. Si credeva infatti che l’umidità sprigionata dai fomenti potesse servire a ristabilire il giusto tasso di liquidità nel corpo della donna.
Con fumigazioni (thymíasmata) invece si intende l’esposizione diretta dei genitali ai fumi di sostanze messe a bruciare in un vaso sopra il quale la donna veniva fatta sedere. Le fumigazioni sono quasi sempre impiegate per riportare l’utero nella corretta posizione attirandolo o respingendolo con odori profumati o acri. Alle fumigazioni ai genitali si accompagnano sempre quelle alle narici e alla bocca: se l’utero si è spostato troppo in basso si prescriveranno fumigazioni fetide ai genitali e profumate alle narici, in caso contrario fetide alle narici e profumate ai genitali; De natura muliebri, 4[13]:
Ἢν προέλθωσιν αἱ μῆτραι καὶ ἐξέλθωσιν ἔξω, πῦρ ἔχει μάλιστα τὰ αἰδοῖα καὶ τὴν ἕδρην, καὶ τὸ οὖρον στάζει κατ’ ὀλίγον καὶ δάκνεται· ταῦτα πάσχει, ἢν ἐκ τόκου ἐοῦσα τῷ ἀνδρὶ ξυγκοιμηθῇ. Ὁκόταν δὲ οὕτως ἔχῃ, μύρτα καὶ λωτοῦ πρίσματα ἑψήσας ἐν ὕδατι, καταθεὶς ἐς τὴν αἰθρίην, προσχείσθω ὡς ψυχρότατον πρὸς τὰ αἰδοῖα, καὶ τρίβων λεῖα προσπλάσσειν·ἔπειτα πίνουσα ὕδωρ φακῶν καὶ μέλι καὶ ὄξος, ἕως ἂν μεταρθῶσιν αἱ ὑστέραι, ἐμείτω, καὶ τὴν κλίνην πρὸς ποδῶν ὑψηλοτέρην κεῖσθαι, καὶ ὑποθυμιῇν ὑπὸ τὰ αἰδοῖα τὰ κακώδεα καὶ ὑπὸ τὰς ῖνας τὰ εὐώδεα· σιτίοισι δὲ χρήσθω ὡς μαλθακωτάτοισι καὶ ψυχροῖσι, καὶ τὸν οἶ νον ὑδαρέα πινέτω λευκόν· μὴ λουέσθω δὲ μηδὲ μετ’ ἀνδρὸς κοιμάσθω.
«Se l’utero si sposta in avanti ed esce fuori, sopravviene un’infiammazione all’ano, l’urina scola goccia a goccia e provoca bruciore: la donna soffre di questi disturbi quando dopo il parto si unisce al marito. In questa situazione, cotti in acqua mirto e segatura di loto ed esposto il decotto all’aria, lo versi quanto più freddo possibile ai genitali e, triturato finemente il composto, lo applichi in cataplasma. Quindi la donna, bevendo acqua di lenticchie con miele e aceto, dovrà vomitare finché l’utero non si risollevi e giacere in un letto più alto ai piedi, fare fumigazioni fetide ai genitali e aromatiche alle narici; prenda cibi il più possibile leggeri e freddi e beva vino bianco annacquato; non si lavi né si unisca al marito»[14].

Questa terapia, secondo cui gli odori attraverso le narici e i genitali possono raggiungere parti opposte del corpo, si basa sulla concezione della donna attraversata da un unico canale racchiuso tra due aperture, quella genitale e quella naso-bocca, direttamente in contatto tra loro. All’interno di questo canale l’utero, divenuto secco per qualche motivo, poteva spostarsi alla ricerca di umidità causando una serie di malattie anche piuttosto gravi. Gli spostamenti dell’utero erano sempre diretti verso organi carichi di umidità, come il cuore o il fegato, ai quali esso aderiva per «auto-umettarsi».
Dunque, mentre i fomenti sono impiegati per le proprietà umidificanti dei vapori, per le fumigazioni vale un principio diverso, legato all’odore e al potere dell’aroma sprigionato da essi. Inoltre, mentre i fomenti erano applicati a tutto il corpo e agli organi interni, le fumigazioni riguardavano soltanto l’utero: quest’organo era ritenuto l’unico sensibile agli odori. Questa sorta di aromaterapia sembra conferire all’organo una capacità olfattiva che è propria soltanto degli organismi viventi. Nonostante questo, nei trattati ippocratici l’utero non viene mai comparato ad un animale (come fa Platone, Timeo 91c) e non è possibile riscontrare nel Corpus la teoria di un utero concepito come un essere inquieto e in continuo movimento. Sembra più giusto ritenere che gli ippocratici derivassero questa terapia direttamente dalla tradizione popolare e da antiche pratiche femminili.
IV. Escrementi e secrezioni ferine
Una delle terapie più ricorrenti nei trattati ginecologici si basava sull’utilizzo di escrementi sia umani che animali. Si tratta della cosiddetta farmacopea immonda che nello specifico comprende: sterco di bue, di vacca, di capra, di asino, urina di toro, urina umana, secrezioni di animali, come il castoreo (dai testicoli del castoro) l’olio di oca, il midollo di cervo e la bile di bue, per citarne solo alcuni.
Erano molte le malattie che venivano curate con tale terapia, tra cui l’idropisia, la sterilità, la mancanza di mestruazioni e, in generale, quasi tutti i casi di affezioni all’utero. Al cap. 2 del De natura muliebri[15] lo sterco di bue viene utilizzato per purificare la donna a seguito di una idropisia e ristabilirne la fertilità:
Αὕτη ἡ νοῦσος ἐκ τρωσμοῦ μάλιστα γίνεται, προσγίνεται δε καὶ ἐξ ἄλλων. Ὁκόταν ὧδε ἔχῃ, λούειν χρὴ θερμῷ, καὶ χλιάσματα προστιθέναι, ᾗ ἂν ἡ ὀδύνη ἔχῃ· φάρμακον χρὴ πῖσαι κάτω·μετὰ δὲ τὸ φάρμακον πυριῇν ἐν τῷ βολβίτῳ τὰς ὑστέρας, ἔπειτα προσθεῖναι τὸ ξὺν τῇ κανθαρίδι, διαλιπὼν δὲ ἡμέρας τρεῖς τὸ ξὺν τῇ χολῇ·μίαν δὲ διαλιπὼν τρεῖς ἡμέρας κλυσάτω ἐν τῷ ὄξει.
«…Questa malattia è provocata in genere da un aborto, ma viene anche per altre cause. In questa situazione, bisogna lavare la paziente con abbondante acqua calda e applicare fomenti se ha dolore; se no, occorre somministrare un purgante, dopo la purga fare bagni di vapore all’utero con escrementi di bue, poi applicare un pessario alla cantaride e, dopo un intervallo di tre giorni, uno alla bile, dopo un giorno di interruzione si facciano per tre giorni irrigazioni con aceto…».
Oltre alla sostanza in sé e per sé, in dei casi è importante anche l’animale da cui proviene, ad esempio nei casi di sterilità si fa spesso ricorso ai liquidi del castoro o allo sterco di bove perché questi animali erano ritenuti simbolo di vigore sessuale. Nel De natura muliebri, cap. 3, in caso di spostamento dell’utero verso il fegato causato da prolungata astinenza o da verginità, alla vergine viene prescritto quanto segue[16]:
τὴν δὲ παρθένον πείθειν ξυνοικῆσαι ἀνδρί·πρὸς δὲ τὰς ὑστέρας προσφέρειν μηδεν, μηδὲ τὸ φάρμακον πίνειν, κόνυζαν δὲ καὶ καστόριον διδόναι ἐν οἴνῳ νήστει, καὶ τὴν κεφαλὴν μὴ ἀλειφέσθω εὐώδεσι, μηδὲ ὀσφραινέσθω.
«…Quanto alla vergine, si sposi; non faccia nessuna applicazione all’utero né beva un purgante, ma a digiuno prenda nel vino la coniza e il castoreo, non si unga il capo con profumi, né aspiri alcun odore».
Come ha mostrato von Staden[17], l’utilizzo di elementi quali quelli della farmacopea immonda ippocratica a scopo terapeutico era un fenomeno che non riguardava soltanto la cultura greca ma molte altre culture antiche, come quella egiziana ad esempio. Secondo lo studioso però, nel mondo greco, il giudizio della società, dei poeti, dei filosofi e dei legislatori, riguardo l’utilizzo degli escrementi era negativo e queste sostanze venivano percepite come altamente ripugnanti. Ancora seguendo il ragionamento di von Staden, in Grecia, queste sostanze venivano utilizzate prevalentemente per curare affezioni femminili perché le donne erano considerate impure e contaminate al pari degli elementi immondi, e pertanto, attenendosi a un principio secondo il quale il simile si cura con il simile, i rimedi a base di urina e di escrementi sembravano più adatti a scacciare questa contaminazione. Ma il discorso è molto complesso e andrebbe senz’altro fatta un’indagine più accurata sui concetti di «puro» e «impuro» nella cultura greca per capire esattamente la concezione di sostanze quali gli escrementi, pertanto, per il momento, non posso che limitarmi a una semplice segnalazione del problema.

V. Insetti curativi
All’interno dei trattati ginecologici si trovano spesso, impiegati in beveraggi o pessari, due tipi particolari di insetti, che non ricorrono quasi mai nelle altre opere del Corpus: si tratta della cantaride e della buprestide. A dispetto della quasi totale assenza nel resto dei trattati ippocratici (su quarantaquattro occorrenze, soltanto tre appartengono a trattati diversi da quelli ginecologici), nel De natura muliebri l’utilizzo di questi animali è previsto in ben quattordici casi. Prima di affrontare i motivi del loro utilizzo nei trattati ginecologici e le patologie da essi curate, sarà opportuno soffermarsi brevemente a descriverne le principali caratteristiche.
Cantaride: in greco kantharís, (lytta vesicatoria). Non è ancora chiarissimo a quale animale corrisponda esattamente. Grammaticalmente sembrerebbe il diminutivo di kántharos, «scarabeo». L’etimologia antica (Suda s.v. kántharos) faceva derivare questa parola da kánthōn, «asino», poiché si credeva che l’insetto fosse prodotto da questo animale. Un’altra etimologia antica metteva in relazione la parola con thorós, «sperma». Infatti, secondo Plutarco[18] ed Eliano[19] il kántharos era solo maschio, non esisteva la femmina, e per riprodursi deponeva il proprio seme in una pallina di escrementi che teneva al caldo per ventotto giorni. Eliano, alla fine del suo racconto, ci dice che tale insetto era raffigurato sopra gli anelli dei re egiziani in quanto simbolo di grande virilità.
Alcune fonti antiche distinguono più varietà di cantaridi, Plinio il Vecchio ne individua cinque tipi[20]. Tra queste, la più significativa e ricca di proprietà sembra essere la poikilḗ kantharís, menzionata anche da Dioscoride[21] e caratterizzata da larghe bande gialle che ne attraversano il corpo. È interessante notare che Esichio, alla voce chelōnias, paragona questo animale a una poikilḗ kantharís, intendendo la coccinella. La stessa cosa avviene anche in una ninna nanna greca[22] dove per indicare la coccinella viene usato il termine kantharís.
La cantaride possiede un principio attivo con proprietà revulsive e vescicatorie prodotto, come ci dice Plinio, nelle ali dell’insetto. Ancora Plinio[23] ci dice che la cantaride era originata da un verme che si trovava nelle rose selvatiche. Secondo altri invece, come Plutarco[24], Eliano[25] e Teofrasto[26], si generava spontaneamente dalle larve degli alberi di fico, di pero, di abete etc. Secondo Aristotele[27] si originavano da sostanze in putrefazione. Un dato interessante è che venivano considerate animali appestanti per il grano e per scacciarle si usava il sangue mestruale[28]. Dioscoride[29] ci dice inoltre che tutte le cantaridi (ma anche le buprestidi, di cui ci occuperemo subito) hanno la proprietà di rodere, ulcerare e infiammare. Proprio per questo erano usate nei medicamenti per malattie quali cancri e lebbra. Infine, aggiunte nei pessari provocavano i mestrui e avevano poteri diuretici.
Buprestide: in greco boúprēstis, nome composto da boûs e pimpránai perché si diceva che ingoiato dal bestiame al pascolo provocava una fortissima infiammazione interna. Secondo Nicandro Alessandrino[30], si tratterebbe di un coleottero che infestava l’uva. Le altre fonti lo identificano con vari tipi di coleotteri. Plinio[31] lo descrive come un coleottero con lunghe zampe mentre Dioscoride[32] lo dice simile alla cantaride e in un altro passo[33] ne parla come di una sottospecie delle cantaridi a cui sembra attribuire le medesime proprietà.
A quanto pare, secondo la maggior parte delle testimonianze sia la cantaride che la buprestide sarebbero due particolari tipi di coleotteri abbastanza simili tra loro. Entrambi questi insetti hanno un forte potere urticante e infiammatorio. Nel De natura muliebri questi animali vengono usati quasi sempre nei pessari, per curare le disfunzioni dell’utero, l’idropisia e i deragliamenti della matrice[34], soltanto in due casi la cantaride viene prescritta in beveraggio con esplicita funzione emmenagoga: Al cap. 8 per curare un caso di spostamento dell’utero verso l’anca[35]:
πινέτω κανθαρίδας τέσσαρας, ἀποκολούσασα τοὺς πόδας καὶ τὰ πτερὰ καὶ τὴν κεφαλὴν, καὶ γλυκυσίδης κόκκους πέντε τοὺς μέλανας, καὶ σηπίης ὠὰ, σπέρμα σελίνου ὀλίγον ἐν οἴνῳ.
«…beva un preparato con quattro cantaridi, cui abbia tolto le zampe, le ali e la testa, cinque grani neri di peonia, uova di seppia e un po’ di seme di lino, il tutto nel vino…».
Mentre al cap. 18 le cantaridi vengono prescritte come rimedio estremo nel caso in cui, a seguito di altri trattamenti preliminari, le mestruazioni non compaiano[36]:
Ἢν δὲ μὴ γίνηται τὰ ἐπιμήνια, ταῦτα ποιήσαντα ἐν τῷ δέοντι χρόνῳ, πῖσαι κανθαρίδας, καὶ ἐπὴν γένηται, νηστεύσασα καὶ ἀλουτήσασα καὶ ὑποθυμιήσασα, πρὸς τὸν ἄνδρα ἴτω.
«Se le mestruazioni non compaiono, nonostante si siano eseguiti questi trattamenti al tempo debito, far bere cantaridi, e quando siano comparse, a digiuno e dopo una fumigazione, si unisca al marito».
L’impiego principale di questi insetti era dunque finalizzato a curare patologie uterine e a provocare le mestruazioni. Quello che possiamo rilevare è che ancora una volta, come nel caso della farmacopea immonda, vengono utilizzati rimedi con proprietà apparentemente contaminanti, come lo sono la cantaride e la buprestide, per curare malattie che riguardano quanto di più proprio aveva la donna: l’utero e il ciclo mestruale. Inoltre, la cantaride, secondo alcuni, deponeva il proprio seme negli escrementi, e dunque il legame con la farmacopea immonda si farebbe ancora più esplicito. Un altro elemento infine che va sottolineato è quello della natura virile di questi insetti che, almeno secondo alcune fonti, erano tutti maschi. Forse anche questa loro particolare connotazione ha influito nell’inserimento di questi animali tra i rimedi ginecologici, come coadiuvante per ripristinare la giusta condizione di fertilità della donna. Anche la medicina popolare avrà inoltre avuto la sua influenza, e pare quanto mai probabile che i pessari e i beveraggi a base di cantaride e buprestide fossero parte di quei rimedi tradizionali, in seguito inglobati dalla medicina ippocratica.
VI. Osservazioni conclusive
Anche se non è possibile riscontrare nei trattati ginecologici la volontà consapevole di costruire una teoria sulla donna e sul suo ruolo nella società, è innegabile che i principi da essi adottati, i modelli culturali di riferimento, erano quelli di una società patriarcale, ed è altrettanto innegabile che nella costruzione biologica del femminile questi modelli hanno giocato un ruolo fondamentale. La donna dei trattati ginecologici infatti, sia nella sua conformazione fisica che nelle patologie a essa attribuite, rispecchia e conferma l’immagine che di lei aveva la società allargata. Le sue patologie sono tutte collegate alla funzione riproduttiva, le terapie sono mirate esclusivamente a ristabilire le condizioni ottimali per la procreazione, tanto che il massimo stato di salute della donna si ha con una regolare fecondazione da parte dell’uomo e con la gravidanza. Anche se non si può parlare di ricatto igienico consapevole nella ginecologia ippocratica, si può certo dire che una sorta di ricatto era comunque praticato ai danni della donna, poiché persino la sua salute fisica e psichica viene fatta dipendere dalla presenza maschile.
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Ho cliccato su Mi piace perché è indubbiamente un articolo di pregio ma onestamente lo trovo parecchio inquietante. 😦
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E non a torto!
:S
‘Sti medici di una volta!
… i rimedi della “nonna”!
:O
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