Il caso dei libelli deciani

di A. Garzetti, Introduzione alla storia romana, con un’appendice di esercitazioni epigrafiche, Milano 1995 (7^ ed.), pp. 101-106.

Alla metà del III secolo i rapporti fra l’Impero romano e il Cristianesimo subirono un improvviso peggioramento a causa dell’opera dell’imperatore Decio, sotto il quale si ebbe la prima persecuzione generale e sistematica. Appena giunto al trono alla fine del 249, d’accordo col Senato, e forse con la collaborazione di P. Licinio Valeriano, il futuro imperatore, Decio emanò un editto, nel quale si chiedeva una dimostrazione di lealismo a tutti i singoli membri del corpo cittadino romano, enormemente dilatato dalla costituzione antoniniana de civitate (212). Questa dimostrazione di lealismo doveva consistere in una prova di rispetto del culto tradizionale e del culto imperiale, che ciascuno doveva fornire prestando un atto rituale (incenso, libagione, gustazione della sacra vivanda dei sacrifici) davanti ad una commissione locale appositamente costituita a questo scopo in tutte le parti dell’Impero. Chi prestava l’atto di ossequio era munito di un libellus attestante il compimento dell’atto, e risultava così in regola con l’editto imperiale.
Il giudizio sul gesto di Decio è ora più realistico e benevolo che nei tempi passati, volendosi vedere in esso un tentativo di ricostituzione dell’unità spirituale dell’Impero, quale base dell’unità materiale e garanzia dell’efficacia nella difesa contro i nemici esterni. L’iniziativa era, in fondo, sulla linea tradizionale degli interventi a salvaguardia della sicurezza. Solo che con l’aumento dell’assolutismo imperiale e con il perfezionamento dell’amministrazione, risultò assai maggiore che in passato la capacità di raggiungere capillarmente i singoli attraverso appunto gli organi amministrativi, e l’efficacia dell’editto imperiale fu estesa e pronta, sì che questa persecuzione, pur breve (durò pochi mesi del 250), apparve subito ai contemporanei sia cristiani (Origene, S. Dionigi di Alessandria, S. Cipriano) che pagani (Porfirio) come la prima grande persecuzione del nome cristiano.
Che fosse una persecuzione specifica contro i Cristiani, parve pacifico ai contemporanei. Ciò perché in pratica i cristiani soli dovettero soffrire persecuzione, in quanto la richiesta di lealismo pagano poteva presentarsi come drammatico dilemma soltanto alla coscienza dei cristiani, posti nella necessità di scegliere fra l’apostasia e la rappresaglia. Si credette così a lungo che l’editto di Decio fosse un editto promulgato esplicitamente e nominatamente contro i cristiani. L’antichità non ci ha trasmesso, d’altra parte, il testo dell’editto. Un dotto francese del sec. XVII, il Médon, finse di averlo trovato, e lo pubblicò a Tolosa nel 1664 (Decii imp. edictum adversus Christianos). Era una falsificazione su elementi tratti da fonti antiche, specialmente dagli atti dei martiri. Eppure già prima scrittori ecclesiastici di grande valore, fra i quali il cardinale Cesare Baronio (fine ‘500), avevano cominciato a sospettare, in base a quello che le fonti antiche dicevano circa i libelli, che l’editto di Decio non poteva essere stato emanato specificamente ed esclusivamente contro i Cristiani, ma che doveva essere un editto generale e generico, per tutti i cives Romani. Praticamente si sarà proceduto, è stato supposto, in base alle liste del censo.
Si trattò dunque di un’enorme setacciatura di tutti i cittadini dell’Impero. Molti cristiani non apostatarono e confessarono la fede; si ebbero gloriosi casi di martirio specialmente fra i vescovi, i più colpiti a causa della lotta particolarmente violenta contro il proselitismo: S. Fabiano, il vescovo di Roma, martirizzato il 20 gennaio 250, S. Dionigi di Parigi, S. Saturnino di Tolosa furono tra le vittime più illustri. Ma la grande massa non trovò difficoltà a fare quello che l’imperatore voleva, e non solo i pagani, ma anche i cristiani si adattarono. S. Cipriano parla del lassismo che tanti anni di pace avevano introdotto nella comunità cristiana. Questi cristiani apostati si chiamarono lapsi, distinti in categorie secondo la gravità dell’atto di apostasia (i thurificati, i sacrificati, i semplici libellatici), e il loro trattamento provocò controversie tali da condurre allo scisma di Novaziano. È noto che molti si erano procurati il libellus anche senza far il sacrificio richiesto, per via di favore e di raccomandazione, o con denaro. Certe commissioni addette al controllo dell’atto di culto dovettero fare affari d’oro.

Ritratto di Decio. Marmo, 249 d.C. ca. Roma, Musei capitolini.

Ci si chiede se documenti contemporanei confermano la genericità ed universalità dell’editto di Decio. La risposta è affermativa. Fino al 1893 non si conoscevano esemplari di libelli, ma da tale anno ne sono divenuti noti ben 43, conservati in papiri: in parte sono stati pubblicati dal Leclercq in Cabrol-Leclercq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, IV cc. 317-330 (1916), IX cc. 80-85 (1929) e XIII cc. 1402-1405 (1937), cfr. V cc. 1067-1080 (1922), sui lapsi, e altri sono sparsi nelle pubblicazioni papirologiche (da segnalare i due bellissimi per conservazione in «Michigan Papyri», III, 1936, nr. 157 e 158). Naturalmente questi documenti papiracei riguardano l’Egitto, ma la testimonianza in questo caso serve per il resto dell’Impero. I libelli noti si raccolgono tutti fra le date 12 giugno-14 luglio 250, ma con una caratteristica concentrazione della quasi totalità in una decina di giorni del giugno. Questo conferma che si trattò di un’operazione ufficiale sistematica, sul tipo di censo, proprio com’era stato supposto. Gli interessati, chiamati, si presentavano alla commissione, villaggio per villaggio, già muniti di due copie del libellus, fatte fare da uno scrivano, nella forma di una petizione e dichiarazione, con data. Era lasciato in bianco lo spazio per la dichiarazione di testimonianza della commissione, e per una firma di vidimazione. Infatti questi libelli di solito mostrano traccia, nella scrittura, di tre mani diverse. Compiuto l’atto di omaggio religioso (o non compiuto, ma attestato lo stesso per effetto di favore o di corruzione, come s’è visto sopra), una copia rimaneva agli interessati, e l’altra passava agli atti dell’ufficio della commissione, come è stato dimostrato dal ritrovamento di due libelli identici, di cui uno con le tracce sul margine superiore della colla con la quale era stato posto in blocco con altri.
Nei libelli non c’è alcuna menzione del Cristianesimo, ed è completamente assente la forma di abiura. Si riporta a titolo di esempio il libello nr. 13 del Leclercq (Dictionn. d’Arch. Chrét., IX c. 82), proveniente da Theadelphia, nel demo arsenoitico, e datato 20 giugno 250. È contenuto in un papiro della John Rylands Library di Manchester ed è pubblicato anche in Catalogue of the Greek Papyri in the John Rylands Library, II, 1915, p. 94, nr. 112a (oltre che dal Wessely, in «Patrologia Orientalis», XVIII, fasc. 3, 1924, p. 365, nr. 13).

1. mano: Τοῖς ἐπὶ τῶν θυσιῶν ᾑρημένοις
παρὰ Αὐρηλίας Σου̣ήλεως μητρὸς
Ταήσεως ἀπὸ κώμης Θεαδελφείας.
καὶ ἀεὶ μὲν θύουσα καὶ εὐσεβοῦσα
τοῖς θεοῖς διετέλεσα καὶ νῦν ἐπὶ παρόν-
των ὑμῶν κατὰ τὰ προσταχθέν-
τα [ἔ]θυσα καὶ ἔσπεισα καὶ τῶν ἱε-
ρείων ἐγευσάμην, καὶ [ἀ]ξιῶ ὑμᾶς
ὑποσημειώσασθαι διευτυχεῖτε.
2. mano: Αὐρήλιοι Σερῆνος καὶ Ἑρμᾶς εἴδαμέν σε θυσι-
άζουσαν.
3. mano: Ἑρμᾶς σ(εσ)η(μείωμαι).
1. mano: (ἔτους) α Αὐτοκράτορος Καίσαρος Γαίου
Μεσσίου Κυίντου Τραϊανοῦ Δεκίου
Εὐσεβοῦς Εὐτυχοῦς Σεβαστοῦ Παῦνι κϛ.

1. mano: «Alla commissione nominata per sorvegliare i sacrifici, da parte di Aurelia Suelis,
figlia di Taesis, del villaggio di Theadelphia. Sono sempre stata devota ai sacrifici e
alle pratiche pie verso gli dèi,
ed anche ora in vostra presenza, secondo l’editto, ho bruciato l’incenso, ho fatto la libagione,
ho mangiato della sacra vivanda, e vi prego di mettere sotto la vostra firma. Salute a voi.
2. mano: Noi, Aurelio Sereno ed Aurelio Erma, ti abbiamo vista sacrificare.
3. mano: Io, Erma, ho controfirmato.
1. mano: Anno I dell’imperatore Cesare C. Messio Q. Traiano Decio Pio Felice Augusto, il 26 del mese
Payni (= 20 giugno 250)».

Non è affatto detto che Aurelia Suelis fosse cristiana, sebbene lo potesse essere. Un altro libello si riferisce a persona sicuramente non cristiana, e dimostra che la professione del lealismo religioso fu chiesta a tutti. È il libello di una sacerdotessa di Petesuchos, il dio-coccodrillo egiziano. È mutilo alla fine, ma c’è quanto basta per decidere la questione. Si trova presso Leclercq, nel Dictionn. d’Arch. Chrét., IV, c. 320, nr. 3, ed anche in Mitteis-Wilcken, Grundzüge u. Chrestomantie, I 2, Leipzig 1912, p. 152, nr. 125.

2. mano: υλγ
1. mano: τοῖς ἐπὶ τῶν θυσιῶν
ᾑρημένοις
παρὰ Αὐρηλίας Ἀμμω-
νοῦτος Μ̣ύ̣στου ἱε〚ρε〛-
ρείας Πετεσούχου θεοῦ
μεγάλου μεγάλου ἀειζῴου
καὶ τῶν ἐ[ν Μ]οήρει θεῶν
[ἀ]πὸ ἀμ[φόδο]υ Μοήρεως. ἀεὶ
[μ]ὲν θύ<ο>υσ[α] τοῖς θεοῖς δι-
[ε]τέλεσα τὸν βίον, επιδε (sic)
[κ]αὶ νῦν κατὰ τὰ κελευσθέ-
[ντ]α καὶ ἐπὶ παρόντων
[ὑμ]ῶν ἔθυσα καὶ ἔσπεισα
[κ]αὶ τῶν ϊερ[ε]ίων ἐγευσά-
[μη]ν καὶ [ἀξι]ῶ ὑποση-
[μειώ]σασθα[ι].

2. mano: «(probabilmente è un numero – 433 –, il numero d’ordine del certificato, che era forse la
copia d’archivio: infatti ha tracce di colla, cfr. supra).
1. mano: Alla commissione nominata per sorvegliare i sacrifici, da parte di Aurelia Ammonute,
figlia di Miste, sacerdotessa di Petesuchos, il grandissimo dio eterno, e degli dèi di
Moeri, del quartiere di Moeri (nel Fayum). Per tutto il tempo della mia vita ho
sacrificato agli dèi, e anche ora in vostra presenza, secondo l’editto, ho fatto sacrificio
e libagioni, e ho mangiato la sacra vivanda, e chiedo di darmene atto…».

Se lo stato della comunità cristiana in Egitto a metà del III secolo era tale che una cristiana poteva essere insieme sacerdotessa del dio-coccodrillo, allora la testimonianza potrebbe essere non convincente. Ma le cose non erano certo a questo punto. Aurelia Ammonute era sicuramente pagana. Quindi tutti furono chiamati a prestare l’atto di lealismo. L’editto di Decio fu generale, non specifico contro i cristiani.

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