Socrate al concorso di bellezza

di A. MASSARENTI, Introduzione alla collana “I Grandi Filosofi”, Milano 2006, pp. 5-6.

Busto di Socrate. Marmo, copia romana da originale greco del IV secolo a.C. dalla Villa dei Quintilii sulla Via Appia. Museo Pio Clementino (Musei Vaticani).

Bello non era, e si lavava anche poco. Socrate aveva altro a cui pensare. Rifletteva, pensava, appunto. Ammaliava giovani e vecchi con i suoi ragionamenti e, soprattutto, dialogava. L’oracolo di Delfi gli aveva rivelato, con il suo solito stile enigmatico, che proprio lui era il più sapiente degli uomini. Al momento gli era apparso assai strano. Ma, poi, verificato, attraverso il dialogo, quanto poco sapevano di fatto coloro che ostentavano i più diversi saperi, si accorse che lui, rispetto a quelli, almeno sapeva di non sapere.
Un giorno, brutto e trasandato come si presentava di solito, fu sfidato a un concorso di bellezza dall’amico Critobulo. «Partecipo, d’accordo – rispose – ma dimmi: che cosa intendi per bellezza? Credi che il bello si trovi solo nell’uomo o anche in altre cose». «Anche nel cavallo, nel bue e in molti oggetti inanimati – rispose – . Uno scudo può essere bello, e una spada, un’asta». «Cose così diverse tra loro, com’è possibile che siano tutte belle?». «Se sono ben fabbricate rispetto agli usi per i quali le acquistiamo o se sono per natura adeguate a ciò di cui abbiamo bisogno, queste cose sono belle».
«Bene – chiede allora Socrate – sai perché abbiamo bisogno degli occhi?». «Per vedere». «Se è così i miei occhi sono più belli dei tuoi». «E perché?». «I tuoi guardano dritto innanzi a loro. I miei, invece, sporgenti come sono, guardano anche di lato». «Dunque, gli occhi più belli sono quelli del granchio?». «Certo». «E che dire del naso, è più bello il mio o il tuo?», soggiunse Critobulo. «Gli dèi ce l’hanno dato per odorare – risponde Socrate – . Le tue narici guardano verso terra, le mie verso l’alto e possono così accogliere gli odori da ogni dove».
E via dialogando, finché Critobulo si arrende e, ammettendo lo svantaggio, chiede che si voti pensando di avere la peggio. A perdere, invece, è ovviamente Socrate. Ma da questa testimonianza di Senofonte, suo grande ammiratore, avrete capito quanto era ironico e spiritoso. Autoironico, soprattutto. Il suo era un modo per scherzare sulla sua stessa bruttezza, per il divertimento proprio e dei presenti. Neppure per un istante aveva preso sul serio l’idea di poter essere davvero considerato bello. Aveva semplicemente adottato, in una situazione così frivola, il più classico dei suoi metodi, il meccanismo complesso dell’ironia che porta il suo nome.
Socrate sa di non essere bello. E sa che la definizione di bellezza data da Critobulo non porta molto lontano. Proprio per questo finge di prenderla massimamente sul serio, perché così, passo dopo passo, riesce a dimostrare artatamente il proprio vantaggio. Sembra uno degli stratagemmi che Aristotele e, molti secoli dopo Schopenhauer, descriveranno nel contesto dell’eristica, l’arte di ottenere ragione anche quando si ha torto, incuranti dei più elementari principi di correttezza.
Ma il bello è che Socrate qui non sta affatto cercando di aver ragione. Non vuole certo vincere la gara. Sta solo approfittando della situazione per divertirsi un po’ e, nello stesso tempo, fare un po’ di buona filosofia. Vuole almeno che l’ovvio vincitore si renda conto di quanto è lontano dal cogliere la vera essenza della bellezza, che non può essere definita solo in termini di convenienza e utilità, pena il dover considerare bello uno come Socrate. Il quale, peraltro, ha sempre negato di sapere alcunché su qualunque argomento gli capitasse di discutere: la virtù, la giustizia, la bellezza. Era il suo marchio di fabbrica. Al pari della sua bruttezza, della sua ironia e della sua intelligenza.

4 pensieri su “Socrate al concorso di bellezza

    • ovviamente Socrate non ha lasciato scritti per cui spesso Platone lo fa parlare per proprio conto nei suoi dialoghi per cui non si capisce dove finisce Socrate e dove inizia Platone.

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