Considerazioni sull’arte greca

di R. Bianchi Bandinelli, s.v. “Arte greca“, in Enciclopedia dell’Arte Antica, 1960 [].

[…] All’arte greca compete una posizione eccezionale nella storia della cultura e dell’arte in generale, perché essa ha avuto a più riprese influenza determinante per lo sviluppo dell’arte europea, cioè, concretamente, dell’arte figurativa nel mondo moderno. Tale posizione eccezionale ha, tuttavia, sovente impedito l’esatta valutazione storica del suo sviluppo e del suo contenuto. L’arte europea ha ripreso e sviluppato per secoli le fondamentali caratteristiche per le quali l’arte greca si differenziò dalle altre civiltà artistiche dell’antichità: la scoperta della prospettiva, la esatta osservazione dell’anatomia al fine di una costruzione organica delle forme umane nello spazio e della formazione di un canone di proporzioni; nel disegno, la linea plastica (linea “funzionale”) che descrive e modella la forma anziché solo delimitarla; nella pittura, il colore tonale e il conseguente volume, che supera lo stadio del disegno colorato proprio a tutte le civiltà primitive.

«Dama di Auxerre». Statua, calcare, VII secolo a.C. Paris, Musée du Louvre.
«Dama di Auxerre». Statua, calcare, VII secolo a.C. Paris, Musée du Louvre.

L’arte greca, raggiungendo un eccezionale equilibrio tra intuizione, sentimento e razionalità, ha segnato un salto qualitativo di immensa portata nella conoscenza artistica dell’umanità: dalla barbarie alla cultura. L’arte figurativa, inconsapevole mezzo di liberazione dei sentimenti, di evocazione magica, di manifestazione di speranza nell’aiuto di forze misteriose, quale la scorgiamo presso i popoli primitivi, e anche nella Grecia primitiva, diviene, con la piena civiltà classica, una forza controllata, una espressione di affermazione dell’uomo nel mondo. Tale è, infatti, il suo contenuto, quale risulta dallo studio non tanto delle tarde e retoriche fonti letterarie, quanto della cultura coeva alle più grandi esperienze artistiche. È in tal modo che l’arte greca esprime, almeno sino a tutta l’età classica, il suo profondo contenuto etico: superando il contenuto magico della immagine primitiva, l’idolo diventa statua. Alla costruzione dell’immagine a blocchi sovrapposti, ancora seguita, da modelli orientali, nella prima età arcaica (statuetta di Auxerre, vd.) si sostituisce la connessione organica, funzionale, delle varie parti dell’immagine. La nostra indagine storica deve rendersi conto di questo e di come ciò sia avvenuto.

Tutte queste caratteristiche, che sono indubbiamente le più determinanti dell’arte greca, tendono a fermare nell’immagine artistica quanto più sia possibile di elementi vitali delle forme esistenti in natura. Con la vitalità guizzante delle sue forme l’arte greca si contrappone nettamente alla essenza impenetrabile delle opere dell’arte del vicino Oriente (mesopotamica ed egiziana). L’arte greca, e in ciò sta la sua grandezza e il suo rischio, è pertanto la più potentemente realistica fra le civiltà artistiche del mondo antico. Ma lo è anche rispetto a tutte quelle venute di poi nella civiltà occidentale, per la minore concessione che in essa si riscontra a tendenze simboliche o puramente ornamentali e formalistiche. L’arte greca fu celebrata dalla critica neoclassica come la più “ideale” e la più lontana da ogni verismo. Tale giudizio (a parte la distinzione da farsi tra verismo e realismo) era fondato su premesse teoriche legate a un particolare momento della cultura europea e anche, in parte, a un fondamentale equivoco su ciò che fosse in effetto arte greca, poiché le opere di statuaria allora note erano quasi esclusivamente copie di età romana e non originali greci. La polemica che è stata sollevata nell’arte moderna e contemporanea contro la pretesa sopravvalutazione dell’arte greca, in realtà era diretta contro la accennata interpretazione, e non risulta applicabile all’arte greca nei suoi effettivi valori.

Tra immagine artistica e realtà di natura non vi è un necessario rapporto di identità; generalmente l’immagine artistica è però una riduzione dell’immagine di natura, di per sé infinitamente più complessa, che può esser frutto di una sintesi dei suoi elementi espressivi principali (e perciò acquista una efficacia più intensa che non l’immagine di natura) o una semplificazione effettuata (specialmente nella scultura) sotto l’impulso di una prevalenza dell’interesse strutturale, architettonico, dell’immagine. Ma può essere nient’altro che una composizione di linee e di masse, ridotte a una specie di ideogramma, la cui originaria derivazione da una forma di natura è così lontana da non essere più avvertita dagli artefici che ripetono la composizione di forme schematiche. Queste hanno, per essi come per il loro pubblico, un valore assoluto, con un significato preciso, che non sarebbe più compreso, se la forma schematica venisse improvvisamente sostituita da un’altra, più naturalistica.

Mirone, Discobolo. Statua, copia romana in marmo da un originale bronzeo di V secolo a.C. Roma, Museo Nazionale Romano di P.zzo Massimo alle Terme.
Mirone, Discobolo. Statua, copia romana in marmo da un originale bronzeo di V secolo a.C. Roma, Museo Nazionale Romano di P.zzo Massimo alle Terme.

Esempi di questi tre diversi modi di esprimere la forma artistica (sintesi espressiva, semplificazione strutturale, schematizzazione astratta) si trovano in tutte le civiltà dell’antico Oriente. In esse, e particolarmente nella civiltà egiziana prima e in quella assira poi, si trovano anche rappresentazioni nelle quali ci si pone l’obiettivo di raggiungere la vivezza della forma di natura; ma si deve osservare che tale ricerca è limitata a determinati temi e a un determinato fine. I temi sono quelli, espressi in rilievo molto basso, equivalente a un disegno, e avvivati dal colore, che trattano soggetti narrativi: le imprese di guerra del sovrano, con il loro contorno di narrazioni collaterali, o le cacce del sovrano (specialmente in Assiria, a Ninive, sotto Assurbanipal attorno alla metà del VII sec. a. C.). E un fine perseguito è anche quello della facilità di lettura della narrazione; ma soprattutto della espressività dei singoli episodi. Il naturalismo della rappresentazione, spesso di sorprendente esattezza nelle figure di animali, ancora assai vivo nelle figure dei servi o del popolo minuto, si arresta dinanzi alla figura del sovrano e degli alti funzionari, le cui forme corporee tendono ad avere quella certa astrazione dalla realtà, quella genericità tipologica, che si trova inevitabilmente nelle figure delle divinità. Il realismo non esce, inoltre, dai temi narrativi ed esula quindi dalle sculture monumentali.

Ora è accaduto, invece, che i Greci vollero affrontare in pieno la traduzione della forma di natura in forma d’arte, senza limitazioni di temi o di situazioni, ivi compresa la figura della divinità: una prova terribile, perché dinanzi alla ricchezza infinita e alla complessità dell’immagine di natura, la forma artistica rischia di essere distrutta e ridotta a una trasposizione quasi meccanica, nella quale viene a mancare, insieme all’elemento di selezione espressiva, ogni partecipazione di sentimento e di razionalità, e quindi ogni qualità artistica. E d’altra parte il contenuto, il più elevato, rischia di venir banalizzato e abbassato a un valore contingente.

Perché i Greci affrontarono questa prova? Essa non è che un aspetto, coerente agli altri, della civiltà particolare che i Greci andarono costruendo, nella quale, a differenza di ogni altra civiltà precedente, per una lucidità logica che spinge alla indagine razionale della natura e che ha la sua radice nella particolare struttura della società greca, nella quale agirono a lungo le conseguenze della primitiva struttura tribale, l’uomo è posto a misura dell’universo, è posto al centro della vita sul mondo, con la sua facoltà di ragionamento come con le sue passioni, e quindi con il suo giudizio etico: conseguentemente anche con la sua forma reale. (Perciò noi possiamo parlare per la prima volta, per i Greci, di una concezione “umanistica” della vita, della cultura, della scienza, dell’arte). Nel mito, nella poesia altissima del dramma, i temi centrali non sono le imprese meravigliose di un dio o quelle quasi divine di un sovrano invincibile; ma sono le passioni umane, le lotte degli uomini contro le divinità avverse, nelle quali l’uomo viene distrutto, ma afferma la sua persona e la sua grandezza. Mito e arte sono l’espressione di una continua conquista della interiorità umana. Perciò la conquista della forma naturalistica nella sua pienezza e complessità va considerata la più alta che l’arte greca abbia compiuto.

Anche se a certo nostro evasivo gusto attuale le semplificazioni stilistiche dell’età arcaica, cariche di grande forza vitale e dominate da una squisita sensibilità epidermica, lineare e coloristica, possono apparire più congeniali e perciò più facilmente comprensibili, da una più matura considerazione critica va riconosciuto che l’età fra il 460 e il 430 a.C., che comprende la maturità dell’opera di Mirone, di Policleto e di Fidia e con quest’ultimo lo “stile partenonico” che a lui si collega, rappresenta il momento più alto raggiunto dalla scultura greca e dalla sua concezione rivoluzionaria della forma artistica, che affronta in pieno il realismo. Con ciò non si vuol affatto ridar valore alla antistorica concezione classicistica che vedeva in questo momento artistico il modello unico, dal quale non era lecito derogare senza condanna, della forma artistica in assoluto. Certo è che la conquista di questa forma fu decisiva per l’umanità, molto al di là del solo interesse in seno alla storia dell’arte.

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