di E. Lippolis, M. Livadiotti, G. Rocco, Architettura greca. Storia e monumenti del mondo della pólis dalle origini al V secolo, Milano-Torino 2007, 863-883.
1.L’ordine dorico
L’ordine dorico, così come più in generale l’ordine architettonico, costituisce una formalizzazione del sistema costruttivo trilitico sviluppatasi in Madrepatria e nelle colonie occidentali; si compone quindi di elementi verticali portanti (colonne, ante, pilastri) ed elementi orizzontali portati (trabeazione). Nell’ordine dorico le colonne si presentano prive di base e con proporzioni inizialmente piuttosto pesanti. La colonna è costituita da un fusto, di forma assimilabile a un tronco di cono, la cui superficie è generalmente ritmata da scanalature verticali dal profilo leggermente concavo; a raccordare il fusto alla struttura orizzontale portata, la trabeazione, è un capitello, formato da un ampio abaco parallelepipedo, il vero e proprio piano d’appoggio per l’architrave, collegato al sottostante fusto da un elemento, l’echino, assimilabile a un solido di rotazione la cui generatrice presenta un profilo iperboloidico. Alla base di quest’ultimo vi sono alcuni anelli concentrici rilevati, gli anuli, mentre ancora al di sotto si trova il collarino, costituito dalla parte terminale superiore del fusto scanalato, dal quale la separano alcune incisioni a sezione triangolare, l’hypotrachḗlion, forse il ricordo di una qualche corona decorativa che mascherava il raccordo tra fusto in legno e capitello in pietra nelle fasi iniziali di formazione dell’ordine.

Altre forme di sostegni verticali che arricchiscono il repertorio di possibilità compositive sono il pilastro e l’anta, i quali si presenteranno nei due ordini con proprie forme caratteristiche. Da un punto di vista strutturale, nell’anta si identifica la particolare configurazione assunta dalla testa dei muri longitudinali di un edificio. L’anta dorica è caratterizzata da un’evidente asimmetria dei suoi risvolti, più ampi verso l’interno del pronao, ridotti verso l’esterno. Ciò si spiega con le caratteristiche planimetriche del tempio periptero dorico, in cui l’edificio della cella non è strutturalmente legato alla circostante peristasi; l’ampiezza del risvolto interno dell’anta, infatti, è determinata dall’allineamento con le colonne presenti tra le ante stesse e dal fatto che partecipa con queste a sostenere il medesimo architrave; il risvolto esterno, invece, non essendo allineato con le colonne della peristasi, deriva dalla configurazione della trabeazione, poiché dipende dalla dimensione del triglifo angolare e dalla sottostante regula. Nell’ordine dorico l’anta è priva di base, come la colonna, ed è coronata da uno specifico capitello, comune anche al pilastro, composto da un abaco parallelepipedo posto su un profilo a becco di civetta, il kýma dorico, alla cui base si trova un collarino costituito da una semplice fascia aggettante.
L’elemento orizzontale portato dell’ordine, la trabeazione, è a sua volta composta da tre parti principali: l’architrave, il fregio e la cornice. L’architrave, direttamente sovrapposto ai capitelli, svolge una prevalente funzione strutturale ed è costituito da un parallelepipedo liscio coronato da una semplice fascia, la taenia, al di sotto della quale, a intervalli regolari, si posizionano brevi listelli, le regulae, dal cui bordo inferiore sporgono piccoli elementi di forma cilindrica o troncoconica, le guttae. Al di sopra dell’architrave è il fregio, che nell’ordine dorico è caratterizzato dall’alternanza di triglifi e metope; i triglifi, di forma rettangolare allungata, presentano una superficie segnata da profondi intagli triangolari verticali (glifi) separati da fasce piane (femori) e coronata da una fascia orizzontale aggettante (capitello del triglifo); le metope, quadrangolari e piane, sono pure bordate superiormente da una bassa fascia aggettante e possono presentare scene figurate, dipinte o scolpite. L’alternanza di triglifi e metope nel fregio trova stretta corrispondenza nell’architrave, dove le regulae sono disposte in corrispondenza dei triglifi e presentano la medesima ampiezza.

La trabeazione è completata dalla cornice, elemento sporgente chiaramente destinato a proteggere i prospetti dall’acqua meteorica. È possibile distinguere una cornice orizzontale, che corre tutto intorno all’edificio, e una cornice frontonale, disposta lungo le falde dei lati brevi del tetto. La cornice orizzontale si compone di due parti, la sottocornice e il gocciolatoio; la prima è costituita dai mutuli, elementi parallelepipedi aggettanti, inclinati verso l’esterno e separati da intervalli regolari, le viae; essi presentano sulla faccia inferiore gli stessi elementi già descritti per le regulae, le guttae, ma disposti su più file parallele. I mutuli hanno la stessa larghezza dei triglifi e delle regulae e si allineano con questi, ma sono presenti anche in corrispondenza e al centro delle metope dove, in età arcaica, si differenziano per una minore ampiezza. Il gocciolatoio è costituito da una fascia piana desinente in basso in una profonda incisione la cui funzione primaria è proprio quella di impedire all’acqua piovana di scorrere lungo gli elementi della trabeazione. A coronamento del gocciolatoio è comunemente un kýma dorico, che raccorda la cornice al bordo del tetto costituito dalle tegole di bordo con le antefisse o dalla síma. La cornice frontonale, che racchiude e protegge il timpano, si presenta invece priva di sottocornice e si configura come un elemento sporgente, concavo nella superficie inferiore, che funziona da gocciolatoio, a sua volta coronato e raccordato al timpano da ulteriori kýmata dorici.
Da notare la stretta corrispondenza, sulla verticale, di alcune delle parti della trabeazione: infatti regulae, triglifi e mutuli, oltre a essere della stessa ampiezza, sono posti in allineamento esatto. Anche al di sopra delle metope, al centro, è posto uno dei mutuli della sottocornice, al quale però non corrisponde una regula all’altezza dell’architrave. Si ritiene generalmente che il motivo di questa stretta corrispondenza potrebbe risiedere nella derivazione dell’ordine da una primitiva costruzione in legno, di cui gli elementi stessi ricorderebbero parti specifiche della carpenteria e i loro rapporti reciproci. Questa tesi non è universalmente accettata e il tema centrale del dibattito, ancora molto acceso, si riduce alla definizione del modello originario sul quale si venne a configurare l’ordine. Ci si confronta quindi principalmente tra chi sostiene che l’ordine sia il risultato di una sorta di pietrificazione dell’originario modello ligneo e chi invece ritiene che si tratti di un’architettura formatasi attraverso l’assimilazione dei caratteri decorativi e formali maturali presso più antiche ed evolute civiltà mediterranee, specie quella egizia, o mutuati da elementi decorativi da tempo consolidatisi nell’arte ellenica.

2.Il problema del conflitto angolare
Nella trabeazione dorica, l’insieme regula-triglifo-mutulo rispetta un’esatta corrispondenza; analogamente, nell’ambito dell’ordine, tale combinazione di elementi doveva allinearsi rispettivamente con l’asse dei sostegni verticali, ante e colonne, e con il centro degli intercolumni e disporsi inoltre in corrispondenza dell’angolo dell’edificio. Qualora tali regole entrino in contrasto tra loro, si determina quel particolare fenomeno noto come “conflitto angolare”.
Un’ipotetica architettura arcaica lignea in cui l’architrave presenti uno spessore contenuto, pari alla larghezza del triglifo, rappresenta una situazione ideale in cui entrambe le esigenze, quella di allineare il triglifo con la colonna e quella di disporlo in angolo, si troverebbero a essere soddisfatte. In questo caso, quindi, il conflitto angolare non sussiste.
Nel momento in cui gli originari elementi dell’architettura dorica vennero costruiti in pietra, a causa delle caratteristiche meccaniche del materiale, meno elastico del legno, si impose un ridimensionamento delle parti componenti l’ordine, che si risolse in un marcato aumento dimensionale sia delle colonne sia dell’architrave. Persa quindi la corrispondenza dimensionale fra ampiezza del triglifo e spessore dell’architrave, ne derivò l’impossibilità di collocare il triglifo al tempo stesso in corrispondenza dell’asse della colonna e dell’angolo della peristasi, venendosi così a produrre il conflitto angolare; rapportare il triglifo alla stessa misura dell’architrave avrebbe d’altronde significato un aumento considerevole dell’altezza del fregio, con perdita di proporzionalità tra le componenti della trabeazione, mentre traslare verso l’interno l’architrave d’angolo sarebbe stato staticamente inconcepibile.

Apparentemente il problema prevede solo due soluzioni: o il triglifo trova posto sull’asse della colonna e in angolo si trova una porzione di metopa pari alla metà della differenza tra larghezza del triglifo e spessore dell’architrave, come proposto da Vitruvio (De Architectura, IV 3, 2, 4), oppure il triglifo viene posto in angolo e allora l’ultima metopa risulta ampliata della stessa misura. Mentre la prima soluzione è pressoché sconosciuta al mondo greco, la seconda, presente sporadicamente in alcuni edifici di età arcaica nella Madrepatria, era largamente diffusa in Occidente e diede spunto all’elaborazione di una soluzione più raffinata, finalizzata a mantenere il più possibile invariate le relazioni reciproche tra le parti.
Il conflitto angolare venne presto risolto nella Madrepatria attraverso l’adozione di un espediente noto come “contrazione angolare”: si trattava infatti di recuperare quel valore eccedente, cioè la metà della differenza tra larghezza del triglifo e spessore dell’architrave, contraendo adeguatamente l’interasse d’angolo e lasciando invariato il fregio. Un sistema alternativo, elaborato in Occidente forse per influsso cicladico, con maggiore efficacia ma con minor rigore, si concretò nella doppia contrazione angolare, che ripartiva in maniera asimmetrica l’eccedenza tra gli ultimi due intercolumni d’angolo, rendendo meno percepibile la contrazione, ma disallineando anche la seconda colonna dal corrispondente triglifo.
Naturalmente si tratta di semplificazioni: nella realtà, proprio per rendere tali variazioni dimensionali meno percepibili, furono adottati schemi più complessi, in cui una parte dell’eccedenza, circa due terzi, veniva assorbita dalla contrazione dell’intercolumnio d’angolo, semplice o doppia, mentre il terzo residuo veniva risolo ampliando gli elementi del fregio in corrispondenza degli intercolumni interessati.
3.L’ordine ionico
L’ordine ionico, al pari del dorico, nasce dalla formalizzazione del sistema costruttivo trilitico; si compone quindi di elementi verticali portanti (colonne, ante, pilastri) ed elementi orizzontali portati (trabeazione). Sviluppatosi in un contesto profondamente diverso, quale l’Egeo centrale e la vicina costa microasiatica, giunge alla formulazione di un linguaggio fortemente influenzato dalle vicine civiltà anatoliche e orientali.
Nell’ordine ionico le colonne si presentano con proporzioni piuttosto slanciate e sollevate su una base modanata. La base presenta varianti tipiche delle diverse aree in cui l’ordine si sviluppa: di queste, la base attica è composta da una scozia, bordata da due sottili listelli e inserita tra due modanature a toro, liscio o decorato con motivi a treccia o a embrice; la base asiatica, invece, è formata da una sequenza di due gole bordate da coppie di tondini e sormontate da un toro generalmente scanalato. A quest’ultima tipologia si affianca la base cosiddetta samia, costituita da un’alta spira scanalata sormontata da un toro, pure scanalato. Sia la base attica sia quella asiatica possono a loro volta essere sollevate su plinti parallelepipedi. La colonna è formata da un fusto, rastremato e molto snello, la cui superficie è generalmente ritmata da scanalature verticali del profilo a sezione semicircolare; alle estremità, il fusto si espande leggermente, costituendo, subito sopra il diametro inferiore (imoscapo), un’apofige inferiore e, subito sotto il diametro superiore (sommoscapo), un’apofige superiore, entrambe concluse da un listello e da un tondino; a differenza delle scanalature dell’ordine dorico, quelle della colonna ionica terminano in corrispondenza delle apofigi in un volume concavo a quarto di sfera, il cymbium.

A raccordare il fusto alla struttura orizzontale portata, la trabeazione, è un capitello, che nell’ordine ionico assume una varietà di forme, attestate soprattutto in età arcaica, come il capitello a volute, orizzontali o verticali, a corona di foglie ricadenti, detto anche “a palma”, a echino semplice, a toro, semplice o scanalato. La più nota, che poi si affermerà come la soluzione canonica, è il capitello a volute orizzontali, composto principalmente da un elemento a volute, il pulvino, sovrapposto a un echino, strutturalmente simile all’analogo elemento del capitello dorico, ma generalmente caratterizzato da un profilo a ovolo decorato con un motivo a ovoli e lancette, il kýma ionico. Il pulvino è caratterizzato da due facce parallele, con due coppie di avvolgimenti a spirale, le volute, a sezione concava o convessa, raccordate tra loro da un tratto orizzontale, il canale delle volute; la terminazione dell’avvolgimento delle spirali può essere costituito da un semplice uncino, come accade negli esemplari di età arcaica, o dall’occhio della voluta, elemento circolare che può presentare varie decorazioni o essere lavorato a parte, in materiale diverso, e incastonato; due palmette mascherano il raccordo tra l’attacco delle volute e l’echino. Sui lati, il collegamento tra le volute delle facce contrapposte è costituito dal balaustrino, formato da due volumi troncoconici contrapposti e separati, a partire da una certa data, da un elemento centrale, il balteo; la superficie è generalmente scolpita con decorazioni di tipo vegetale. Al di sopra del pulvino è l’abaco che, assente negli esemplari arcaici, è generalmente profilato a ovolo o a gola rovescia; questo, analogamente al corrispettivo elemento dell’ordine dorico, costituisce il vero e proprio piano d’appoggio per l’architrave.

La particolare configurazione del capitello a volute, con due prospetti differenziati, quello frontale a volute e quello laterale a balaustrino, determina evidenti difficoltà nella collocazione dell’elemento in angolo, difficoltà che emergono sia nel caso di colonnati disposti a squadra, sia nei templi peripteri; inizialmente, tale problema fu forse evitato limitando l’impiego di capitelli a volute alla sola fronte dell’edificio e ricorrendo per i lati a tipologie meno problematiche (capitelli a toro o a echino semplice). Successivamente, ma di certo già a partire dalla seconda metà del VI secolo, venne adottata una soluzione più sofisticata che consiste nel disporre i prospetti a volute, invece che su due piani paralleli, su due piani adiacenti e ortogonali, in modo da presentare le facce a volute su entrambi i prospetti di una peristasi; l’impianto rettangolare del pulvino determina però l’interferenza delle volute dei due prospetti adiacenti, che venne risolta piegando a 45° la porzione più esterna di queste. Le due facce interne a contatto, quelle che presentano i balaustrini e che fanno da riscontro ai corrispondenti elementi dei capitelli lungo i due lati ortogonali della peristasi, potevano presentare volute intere o parti di voluta in base alle proporzioni più o meno allungate del pulvino. Un’altra soluzione, apparsa in età tardoclassica nel Peloponneso, cioè in un’area di cultura principalmente dorica, non comprendendo a fondo la tettonica del capitello ionico elude il problema sviluppando un elemento con volute inclinate a 45° su tutti e quattro i prospetti […].
L’elemento orizzontale portato dell’ordine, la trabeazione, può essere composto da tre parti, l’architrave, il fregio e la cornice, o solo da architrave e cornice. L’architrave, costituito da un parallelepipedo liscio o scandito sulla faccia esterna con due o tre fasce progressivamente aggettanti, è generalmente coronato da una o più modanature di raccordo con il fregio; quest’ultimo può presentare sul prospetto decorazioni figurate continue, dipinte o scolpite. Anche il fregio è coronato da modanature che non solo lo raccordano alla sottocornice, ma inquadrano e sottolineano le specchiature decorate. La soluzione bipartita, che comprende solo architrave e cornice, è presente soprattutto in edifici arcaici di minore impegno costruttivo e, in forma più costante, nelle architetture ioniche microasiatiche di età tardoclassica; nelle trabeazioni bipartite, contestualmente all’assenza del fregio, viene introdotta una consistente sottocornice, prevalentemente costituita da un elemento “a dentelli” (parallelepipedi aggettanti separati da spazi vuoti, le viae), che contribuisce ad accentuare lo sporto del gocciolatoio. Quest’ultimo completa la cornice e conclude la trabeazione in entrambe le tipologie: caratterizzato da consistente aggetto, è finalizzato a proteggere i prospetti e i fregi figurati dall’acqua meteorica e presenta un soffitto profilato a cavetto e un prospetto costituito da una fascia verticale piana coronata da una modanatura ionica. Nel caso dell’ordine ionico, il gocciolatoio situato lungo i lati lunghi dell’edificio non si differenzia da quello obliquo, che corre lungo i lati del timpano.

4.Le correzioni ottiche
Nelle architetture, soprattutto templari, doriche e ioniche sono state osservate alcune deviazioni della geometria naturale delle parti componenti, note come “correzioni ottiche”, la cui natura intenzionale e gli scopi per cui furono applicate sono stati a lungo dibattuti. Questi accorgimenti sicuramente riflettono l’estrema raffinatezza a cui era giunta la progettazione nelle aree di cultura greca e, insieme, l’alto grado di sensibilità estetica che doveva caratterizzare non solo gli architetti ma la società greca nel suo complesso.
Allo stato attuale delle conoscenze sembra che le prime correzioni ottiche siano apparse nel corso del VI secolo, quando in edifici templari sia ionici sia dorici furono apportate alterazioni nella geometria di alcuni elementi, ma è soprattutto con gli inizi del secolo successivo che, specie nella progettazione dorica, la loro applicazione divenne un motivo ricorrente.
Nell’ambito delle correzioni ottiche è possibile operare una distinzione di massima tra curvature delle superfici, inclinazioni di assi o piani verticali, variazioni dimensionali degli elementi dell’ordine. Alla prima tipologia appartengono sia la curvatura dello stilobate e della trabeazione sia quel rigonfiamento del fusto delle colonne noto con il termine greco di éntasis.

La curvatura dello stilobate consiste nella trasformazione della superficie che costituisce il piano d’appoggio dell’elevato del tempio (peristasi e corpo centrale) in una superficie sferica: l’entità del grado di curvatura è molto bassa, con una freccia contenuta nell’ordine di 1,5-2 mm per metro lineare. Questo tipo di correzione, che spesso coinvolge l’euthyntēría e l’intera crepidine, in area dorica appare alla metà del VI secolo nel tempio di Apollo a Corinto, in quello di Aphaîa II a Egina, nel pre-Partenone ad Atene; l’applicazione raggiungerà le realizzazioni più sofisticate in età classica, nel Partenone e nel tempio di Atena ed Efesto, sempre ad Atene. In ambito ionico, precoce esempio di tale correzione può essere considerata la versione semplificata, riconducibile più che a una curva a un’ampia poligonale, nel tempio arcaico di Artemide a Efeso, mentre risale agli inizi del V secolo l’applicazione in area coloniale, riscontrata nel tempio ionico di Locri, costruito probabilmente da maestranze samie.
Vitruvio (De Architectura, III 4,5) spiega l’adozione della curvatura dello stilobate come l’applicazione di un accorgimento finalizzato a correggere l’effetto ottico di “insellamento” verso il basso che si verificherebbe qualora la base d’appoggio delle colonne fosse perfettamente piana. Per la realizzazione in cantiere di tale curvatura introduce il concetto di scamilli impares, rimandando per la spiegazione a un’illustrazione del suo trattato purtroppo perduta; ciò ha contribuito a generare una complessa questione, con diverse ipotesi, sul significato del termine, non ancora chiarito.
A ogni modo appare evidente l’incremento dei costi di costruzione che una tale lavorazione doveva comportare, considerando anche il fatto che la curvatura del piano d’appoggio dell’elevato implicava dirette ripercussioni sull’ordine: mantenendo infatti costante l’altezza delle colonne, è inevitabile che la curvatura si trasmetta anche alla trabeazione. È pure vero che la curvatura della parte alta della struttura, compreso il timpano, si riscontra anche indipendentemente da quella dello stilobate: il fenomeno, attestato in più edifici, è stato recentemente verificato anche in area ionica cicladica, come dimostra il fregio a profilo superiore poligonale del thēsaurós dei Sifni a Delfi, dove la curvatura dello stilobate non è presente.
Alla stessa categoria delle curvature di superfici appartiene anche l’éntasis, rigonfiamento del fusto della colonna che vede il suo diametro massimo in un punto compreso tra il primo terzo e la metà dell’altezza. L’entità dell’ingrossamento sembra variare nel tempo: molto evidente nel tempio di Hera I a Poseidonia, datato alla seconda metà del VI secolo, si riduce già nelle architetture di età classica. Appare anche in edifici ionici, come il tempio D di Metaponto, nei Propilei (colonne interne) e nell’Eretteo (portico nord) ad Atene; anche l’éntasis deve aver comportato non poche difficoltà di esecuzione e un sistema pratico di realizzazione è stato suggerito dal tracciamento geometrico inciso sulle pareti interne della cella del tempio di Apollo a Didyma. Un’applicazione particolarmente sofisticata è stata riscontrata nel Partenone, dove presentano l’éntasis non solo le colonne, ma anche i muri perimetrali della cella.
Non tutti sono d’accordo sul fatto che si tratti effettivamente della correzione di una distorsione ottica, come affermato da Vitruvio (data l’altezza della colonna, l’occhio umano tenderebbe ad assottigliare il fusto al centro), quanto piuttosto di un tentativo di mimesi naturalistica, in cui sarebbe rappresentata la trasposizione in pietra dello schiacciamento che il peso doveva indurre nei fusti di legno delle più antiche colonne o anche, dato il significato di “tensione” implicito nella parola éntasis, la rappresentazione dello sforzo stesso di sostenere la parte alta dell’edificio.
Alla seconda tipologia di correzioni appartengono quegli interventi finalizzati alla deviazione dalla verticale dell’alzato del tempio: in particolare, i rocchi delle colonne della peristasi dei lati presentano piani di posa inclinati rispetto all’orizzontale, sia per compensare le deformazioni indotte dalla curvatura dello stilobate, sia per ottenere un’inclinazione delle colonne stesse verso l’interno del tempio; la deviazione dalla verticale può essere stata applicata solo ai lati lunghi o, come appare per esempio nel caso del Partenone e del tempio di Atena ed Efesto ad Atene, su tutti i lati della peristasi. In quest’ultimo caso appare evidente come le colonne angolari partecipino di una doppia inclinazione in quanto fanno parte di due lati tra loro ortogonali.
L’inclinazione delle colonne sarebbe stata applicata per correggere l’effetto ottico di incombenza che l’elevato altrimenti avrebbe avuto nei confronti di un osservatore posto ai piedi dell’edificio. La disposizione appare già nel tempio di Aphaîa II a Egina e si riscontra, in vari gradi, negli edifici di età successiva, attici e peloponnesiaci; tra i primi esempi in ambito ionico si registra quella delle colonne dell’Eretteo.

Anche la trabeazione appare inclinata rispetto al filo verticale dei prospetti: nel Partenone è stata riscontrata una lieve inclinazione verso l’interno di architrave e fregio, a fronte di una deviazione in senso opposto del gocciolatoio. Pure i muri longitudinali della cella appaiono, oltre che rastremati, leggermente deviati verso l’interno dell’edificio, rispondendo, secondo Vitruvio, alla stessa logica, cioè la correzione dell’effetto ottico di rovesciamento delle parti alte dell’edificio.
La terza categoria di alterazioni volute alla geometria dell’architettura finalizzate a correggere eventuali distorsioni della percezione comprende le variazioni dimensionali di alcune componenti, come per esempio l’ingrossamento del diametro della colonna d’angolo di una peristasi. La ragione, secondo Vitruvio, è da ricondurre al tentativo di correggere il fenomeno ottico di assottigliamento dovuto alla luce solare, maggiormente sensibile per le colonne angolari che non possono usufruire, se non in parte, dello sfondo scuro fornito dall’ombra dei porticati e dall’edificio della cella. Altri vedono in questo accorgimento esigenze di tipo statico, connesse con la necessità di rinforzare la struttura portante agli angoli dell’edificio, laddove il carico è maggiore.

Il problema di chiarire il motivo dell’introduzione delle correzioni ottiche e, quindi, di capire se a tutte vadano attribuite le medesime finalità continua ad essere oggetto di dibattito; l’interpretazione “ottica” ha un forte sostegno nelle fonti antiche, prima fra tutte Vitruvio il quale, pure scrivendone diversi secoli dopo, rispecchia una concezione dell’ottica che affonda le sue radici in età ellenistica. A questa lettura prevalente si contrappone un’interpretazione che vede nelle deviazioni dal rigido modello geometrico teorico la volontà di trasformare l’architettura stessa in un organismo vitale, creando minime violazioni alla regola per dare l’apparenza di una tensione interna.
[…] affiancato dagli architetti Callicrate e Ictino. Interamente realizzato in marmo pentelico, il tempio, un periptero dorico di 8 x 17 colonne, mostra una soluzione planimetrica senza precedente, essendo […]
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