di R. Martin, Urbanistica e nuova tipologia edilizia, in Storia e civiltà dei Greci (dir. R. Bianchi Bandinelli), vol. 6. La crisi della pólis: arte, religione, musica, Milano 1990, pp. 427 sgg.
Il IV secolo ha il merito, per influenza di due correnti originate l’una dalla filosofia, l’altra dalla medicina, ed in presenza anche di realizzazioni nuove, di aver modificato il senso delle osservazioni e delle riflessioni filosofiche, di aver mutato l’orientamento delle creazioni architettoniche e diretto l’attività degli architetti verso problemi più pratici ed anche più generali, di averli portati fuori dall’orizzonte assai ristretto in cui si trovavano chiusi dedicandosi esclusivamente alla costruzione di edifici sacri e di avere rinnovato i problemi della creazione e dell’estetica architettonica in funzione di bisogni nuovi.
Platone in numerosi passi della sua opera evoca i paesaggi urbani. Il Crizia è celebre per la descrizione dell’Atene primitiva e per la ricostruzione della città di Atlantide, ma né l’una né l’altra pretendono di ispirarsi alla realtà concreta; vi si infiltrano, in varia dose, ricordi e fantasie, notazioni immaginarie ed aspirazioni. Noi prenderemo in esame tuttavia la scelta del luogo e la disposizione degli edifici attorno all’acropoli ed ai suoi palazzi; ci troviamo così nel cuore della città platonica. Le Leggi consentono maggiori precisazioni: in quest’epoca più pratica, possiamo cogliere taluni grandi principi che non saranno disdegnati dagli urbanisti posteriori.
In primo luogo, la scelta del sito non è affatto indifferente; l’ambiente ha effetto sulle anime e, giacché tutto in definitiva deve tendere a renderle migliori, il fondatore di città ha il dovere di non trascurare questo elemento:
A proposito dei luoghi stiamo attenti a non dimenticare che ve ne sono di superiori ad altri per rendere le anime migliori o peggiori, principio al quale le leggi non devono affatto contrastare; taluni luoghi a causa di venti variabili, penso, e delle ondate di calore sono inospitali o favorevoli; altri lo sono per le acque o per i prodotti del suolo che non danno solo al corpo un nutrimento di qualità migliore o inferiore, ma forniscono anche alle anime alimenti dello stesso genere.
Le stesse preoccupazioni morali faranno scartare una località marittima. Il porto e le attività che esso produce sono nefaste per lo sviluppo morale del cittadino perfetto, poiché lo stesso commercio deve essere bandito:
La prossimità del mare è un’attrattiva per la vita quotidiana, ma si tratta di una vicinanza salmastra e nociva: introducendovi il commercio e la vendita al dettaglio, insinuando nelle anime costumi mutevoli, essa rende la città diffidente, non amica di se stessa come anche di tutti gli altri uomini (Leggi, IV, 705a).
Platone descrive il paesaggio dell’Attica ricorrendo ai suoi ricordi personali; si duole con rimpianto per il disboscamento delle montagne che circondano Atene; ne analizza perfettamente gli effetti funesti; quei grandi alberi che egli aveva ancora visto in giovinezza trattenevano le terre e le acque; in luogo delle distese abbandonate alle api, si stendevano colture e pascoli; l’acqua allora non si precipitava dilavando le terre per andarsi a perdere nel mare; veniva immagazzinata e trattenuta dagli strati di argilla. La stessa preoccupazione per gli alberi si manifesta nelle Leggi; Clinia, il Cretese, descrive in un quadro suggestivo gli alberi che disegnano il paesaggio nel posto della futura città:
Non vi sono abeti di cui conti parlare, né più pini marittimi e solo pochi cipressi; ma si troverebbero in piccole quantità pini terrestri e platani, del cui legno ci si serve continuamente per le parti inferiori delle navi nei cantieri di costruzione.
Ubicazione, paesaggio, coltura, produzione: tali sono gli elementi precisi che il fondatore di città deve considerare, secondo Platone, prima di dar avvio alla sua impresa.

La pianta stessa della città deve essere progettata in base a principi assai netti. Comporterà l’esistenza di un’acropoli, una zona elevata e svincolata, posta più o meno nel centro del territorio, ove saranno insediate per prime le divinità protettrici della città: Hestia, Zeus e Atena. Attorno ai loro santuari, per occupare le posizioni elevate, saranno le abitazioni delle persone della prima classe, le persone dedite alla guerra.
Se noi cerchiamo di precisare nei particolari l’aspetto architettonico della città, il raggruppamento e la natura degli edifici, i principi di Platone non sono sempre molto chiari, né perfettamente coerenti. Talora infatti consiglia una notevole dispersione delle costruzioni, poiché
bisogna costruire i santuari tutt’intorno all’agorà ed anche alla città, in cerchio, sulle alture, per la sicurezza e il decoro; a fianco vi saranno gli edifici per i magistrati e i tribunali (Leggi, VI, 778b).
Le case dovranno essere raggruppate. Platone consiglia l’uso di mura che indeboliscono l’animo e il coraggio mediante la falsa impressione di sicurezza che danno.
Ma se il bisogno di fortificazioni si fa sentire, bisogna fin dall’inizio progettare le fondazioni delle case private in maniera che l’intera città costituisca un blocco fortificato, disponendo le case lungo la strada su un unico rettilineo e in un piano organico, unitario, atto alla difesa […] (Leggi, VI, 799a-b).
Questa saggezza «verso la quale ogni buon legislatore deve dirigere le sue leggi» determina anche il posto dei mercati e di tutte le strutture necessarie alla vita materiale della comunità. I mercati, come i porti, sorvegliati da magistrati appositi, saranno collocati fuori città: così i mercanti e gli stranieri saranno facilmente tenuti in disparte, senza contatto coi cittadini.
Aristotele imposta i problemi su un piano più pratico e concreto. Con lui nasce, a nostro parere, la vera ricerca sistematica e cosciente dell’organizzazione urbana in funzione dei bisogni molteplici di una comunità complessa e numerosa.
All’origine delle ricerche di Aristotele ricordiamo la sua definizione della città e del cittadino; egli chiama cittadino l’uomo che gode del diritto di partecipare alle magistrature esecutive e giudiziarie e città l’associazione di individui capace di assicurare la propria autonomia vitale; definizione che fa appello essenzialmente alle funzioni del nutrimento e comporta notevoli conseguenze nella scelta del luogo, nella pianta della città e nella distribuzione dei vari edifici. La posizione assunta da Aristotele suggerisce numerosi accostamenti con le preoccupazioni degli urbanisti contemporanei.
La determinazione del sito è dettata dalla facilità di approvvigionamento e dalle migliori condizioni igieniche. La città, per quanto è possibile, deve trarre vantaggio contemporaneamente dal mare, dalle coste e dalla campagna.
Quanto ai vantaggi inerenti ai luoghi, bisogna auspicare che rispondano a quattro esigenze distinte. In primo luogo – ed è essenziale – la salubrità; l’orientamento ad est, esposto ai venti orientali, è il più salubre. La località deve essere conveniente alle attività civili e militari; riguardo a queste ultime, deve offrire facili sortite agli abitanti, ma presentare difficoltà di accesso e di assedio ai nemici. Quanto alle acque sorgive e alle fontane, bisogna che sgorghino naturalmente e in abbondanza; altrimenti si provvederà mediante la costruzione di ampie e abbondanti cisterne. Dato che la salute degli abitanti è motivo di preoccupazione e dipende dalla conformazione e dall’orientamento del sito, come anche dall’uso di acque sane, bisogna concentrare tutti gli sforzi su questi obiettivi. Nelle città bene amministrate, le acque devono essere tenute separate, se non sono tutte della stessa qualità né in quantità inesauribile; da un lato le acque potabili e dall’altro quelle che servono per uso di lavoro.
Quanto ai luoghi fortificati, essi non sono convenienti, indifferentemente, ad ogni Stato; infatti le acropoli sono adatte ai regimi oligarchici, le città pianeggianti alle democrazie, mentre le aristocrazie non cercheranno né queste né quelle, preferendo una pluralità di fortezze separate.
La disposizione delle case private è considerata più confortevole e più comoda per diverse attività se l’impianto è stato ben tracciato secondo il sistema di Ippodamo.
Non dobbiamo dimenticare che la Politica di Aristotele assomiglia più ad appunti in corso di elaborazione che a un’opera attentamente e chiaramente composta, e da qui derivano una certa lentezza nell’esposizione, certe ripetizioni e imperfezioni. Dal testo riportato noi ricaviamo comunque i quattro punti essenziali che devono ispirare la scelta e la sistemazione generale del sito: le preoccupazioni sanitarie (orientamento, esposizione, approvvigionamento idrico), l’idoneità alle difese, le condizioni di vita politica, infine la ricerca estetica legata al tracciato della pianta.
Dalle condizioni generali, il filosofo passa all’esame preciso e dettagliato dell’impianto urbano. Si ricollega alle piante regolari, moderne, di tipo ippodameo, ben tracciate e scrupolosamente rispettate, inserite nei riquadri di una rete di strade ortogonali. Due principi regolano questo impianto, la sicurezza e l’estetica. Il tracciato regolare deve evitare gli allineamenti perfetti che offrirebbero troppi vantaggi al nemico se le mura fossero forzate o la città venisse assalita di sorpresa; si procederà dunque nell’ambito di ogni singolo quartiere, trattando gli allineamenti delle case come filari di viti disposti non gli uni in corrispondenza degli altri, ma alternati; i quartieri stessi possono interrompere i grandi assi e obbedire a orientamenti leggermente diversi. Per l’occupazione di essi, Aristotele preconizza una specializzazione dei quartieri, corrispondente all’immagine della situazione politica e sociale. Attorno all’acropoli i centri religiosi e amministrativi; i templi, per conservare la loro purezza, sono isolati dai quartieri commerciali e residenziali. Poiché le funzioni amministrative sono legate a quelle religiose, i magistrati vivranno in prossimità dei tempi e dei santuari. La piazza pubblica, quella degli uomini liberi, destinata ai giochi e al passeggio, potrà trovarsi ai piedi dell’acropoli, laddove le piazze-mercato saranno respinte ai margini della città per ragioni al contempo pratiche e morali. Si troveranno al crocevia delle grandi strade provenienti dal mare e dalla campagna e la folla dei mercanti e dei trafficanti che le frequentano sarà in tal modo tenuta distante dall’agorà «libera», la cui pace non verrà turbata. Quest’ultima sarà mantenuta
pura, sgombra da qualsiasi mercanzia, non sarà frequentata né dagli artigiani, né dagli agricoltori, né da persone di servizio, salvo che su convocazione dei magistrati […]. Bisogna che ci sia una seconda agorà, distinta dalla prima, riservata al commercio, in periferia, di facile accesso per tutti i trasporti venuti dal mare e dall’interno.
Tali sono le teorie che nel IV secolo, ispirate talvolta dalle speculazioni politiche, ma spesso anche sostenute dalle realizzazioni dei secoli precedenti – le città coloniali del VI secolo, la ricostruzione di Mileto, gli esempi del Pireo e di Olinto –, che favoriscono lo sviluppo delle strutture urbane funzionali, strettamente connesse all’evoluzione politica e sociale dell’epoca.

Priene offre un buon esempio di questo schema funzionale, nel quale le preoccupazioni politico-sociali prevalgono sulle stesse condizioni fisiche del luogo. Costretti probabilmente dagli straripamenti del Meandro a lasciare la loro antica sede, gli abitanti di Priene, in numero di quattro o cinquemila, crearono una nuova città sulle più basse pendici delle catene del Micale, sul fianco nord della vallata. Posizione strana, difficile da difendere, inadatta ad essere attrezzata, poiché, entro qualche centinaio di metri, l’altitudine va dai 30 m (al livello della pianura, nello stadio, che è l’edificio più meridionale della città), ai 381m sull’acropoli. La superficie abitabile si trovava ad essere molto ridotta, nonostante considerevoli lavori di adattamento, eseguiti in diversi punti, al tempio di Atena come nel ginnasio inferiore, ove sono state tagliate artificialmente terrazze nella roccia. Ma nonostante tutto si adoperò anche in siffatto luogo la pianta ortogonale, che i Milesi avevano diffuso come una moda. Il reticolo fu tracciato seguendo quasi esattamente i punti cardinali; quattro assi principali est-ovest vennero realizzati ad eguale distanza, malgrado il dislivello, sulle prime pendici; a sud fu cominciata una quinta parallela, che ad est poteva proseguire solo per mezzo di una scalinata; infine una sesta arteria fiancheggiava i costoni più scoscesi a nord del teatro. Questi assi convogliavano le correnti del traffico, essendo collegati con i porti principali della città e attraverso gli edifici monumentali; l’agorà si apriva ampiamente sulla principale di queste arterie che metteva capo alla porta ovest, in direzione del mare; la successiva, più a nord, sfociava nel santuario di Atena; le più belle dimore e il teatro costeggiavano, infine, a un livello superiore, l’ultima strada ben tracciata.

L’impianto di tali vie non era stato realizzato senza difficoltà; per consentire alla via dell’agorà di mantenersi rettilinea, le squadre addette alla viabilità hanno dovuto sbancare più di mille metri cubi di roccia, e non è sicuro che la via detta “di Atena” sia stata completata fino alla cinta muraria verso ovest; il santuario di Atena costituiva uno sbarramento. In direzione nord-sud, seguendo l’andamento delle pendici, i geometri non sono scesi a compromessi con la regolarità del reticolo e hanno tracciato imperturbabilmente le loro vie ad ugual distanza in mezzo ai costoni: esse si trasformano subito in scalinate: così una rampa di settantadue gradini fu necessaria per collegare l’agorà al própylon del santuario di Atena, tra due arterie longitudinali. Era una sfida difficile da sostenere l’adattamento di un tale schema rettilineo a un terreno così particolare. Ora lo studio analitico mostra che ci troviamo di fronte a una scelta nettamente fissata, una pianta ben definita e riportata sul terreno in base ad un modulo, com’era stato per Olinto. Con variazioni soltanto di pochi centimetri, gli isolati misurano 47,2 m di lunghezza e 35,4 m di larghezza, vale a dire 160×120 piedi di 0,295m, unità che si ritrova identica nel tempio di Atena; la larghezza delle strade, come ad Olinto, non è compresa nelle misure dell’insula. La realizzazione dei complessi monumentali: agorà, tempio di Atena, ginnasio inferiore, non presenta la stessa precisione nota a Mileto e ad Olinto; essi corrispondono a un numero intero di isolati, ma tendono a sconfinare sulle vie; sono più indipendenti nei riguardi della maglia e si lasciano inquadrare meno facilmente in essa. La nozione di volume e di massa fa risaltare il carattere troppo lineare dell’impianto, per una sorta di reazione contro l’eccessiva rigidità della scacchiera.

La data della fondazione di Priene è collegata alla dedica del tempio di Atena, consacrato da Alessandro; è evidente che tutto l’insieme fa parte dello stesso progetto e che il tracciato stradale era già segnato quando il cantiere del santuario di Atena fu aperto da Piteo; per altro l’installazione della città nel posto nuovo deve risalire verso la metà del IV secolo.
Verso la stessa epoca, anche la sua vicina nella valle del Meandro, Magnesia, procedeva a un identico trasferimento; fu più facilitata nel trar vantaggio dall’impianto regolare; tuttavia solo la zona del santuario di Artemide e l’agorà sono state esplorate sistematicamente. È stata riconosciuta inequivocabilmente la presenza di una ripartizione a scacchiera. I cittadini si raccolsero attorno al santuario di Artemide Leukophryēnḗ, il cui tempio era disposto secondo un orientamento rituale, che non corrispondeva alle direzioni cardinali del reticolo; il santuario fu rispettato, ma il tracciato non ne fu influenzato. L’agorà, che si presenta come una sorta di annesso del santuario, fu disegnata e costruita, alla maniera ionica, entro le maglie del reticolo; occupa esattamente la superficie di sei isolati e fiancheggia una delle vie principali.
I vantaggi di tale impianto, la sua realizzazione facile e veloce, l’apparente rispetto dell’eguaglianza hanno causato il suo successo; messo a punto prima delle conquiste di Alessandro, queste ultime dovevano offrirgli grandi possibilità; infatti esso rispondeva anche alle esigenze di installazioni di carattere militare, rapide e interessate alla propria difesa; sarà adottato perciò in tutte le fondazioni urbane di Alessandro e dei suoi successori.
Nel 331 a.C., in Egitto, tra il mare e il lago Mereotide, Alessandro fece tracciare la pianta della più celebre delle sue città, Alessandria; si era rivolto a Dinocrate di Rodi, architetto delle concezioni ardite. La pianta era stata studiata ed elaborata in precedenza dal sovrano macedone e dalla sua cerchia, con una precisa valutazione dei vantaggi del sito. In seguito ad un sogno nel quale Omero gli ricorda l’esistenza di Faro, Alessandro si reca sulla costa, della quale ammira le possibilità:
avendo riconosciuto che Omero era anche un incomparabile architetto, diede ordine di tracciare la pianta della città adattandola al terreno.
Il sovrano dimostra un interesse tutto particolare per la sua creazione; chino sulla mappa, traccia egli stesso l’ubicazione dei grandi edifici, soprattutto dell’agorà. Strabone precisa che la superficie fu interamente ripartita mediante larghi viali lungo i quali potevano sfilare cavalli e carri, intersecantisi tutti ad angolo retto. Il viale principale, in base a una testimonianza confermata da quella di Diodoro (XVII, 52), pressappoco al centro della città, seguendo un grande asse longitudinale est-ovest, misurava 100 piedi di larghezza, pari a una trentina di metri. Si tratta sicuramente del tracciato originario e non certo di ampliamenti di epoca romana; le descrizioni che Teocrito ci ha lasciato nelle Siracusane, evocando le feste e le processioni istituite dai Tolomei, lo provano molto chiaramente.

Se Alessandro è ricorso a uno dei più celebri architetti del suo tempo per presiedere al tracciato di questo impianto, operazione che poteva essere compiuta dal primo geometra incontrato, si deve presumere che poteva essere compiuta dal primo geometra incontrato, si deve presumere che le proporzioni inserite in quel paesaggio superassero di gran lunga le grandezze alle quali si era abituati; l’importanza degli edifici pubblici, dei parchi, dei giardini, la magnificenza di alcune architetture e di certe decorazioni colpirono parimenti i Greci abituati allo svolgersi monotono delle strade tutte simili tra loro. L’originalità di Alessandria, se facciamo affidamento sugli echi conservati nelle testimonianze letterarie, fu d’essere come il punto d’incontro della concezione limitata, precisa, un po’ rigida e molto geometrica della pianta di tipo milesio, con il gusto del grandioso, il senso dei valori più ampi e monumentali che derivavano al contempo dalla tradizione locale e da apporti orientali. La semplicità, la nudità dell’urbanistica ionica vennero modificate e trasformate dall’esuberanza di questa città dalle concezioni architettoniche così poderose; nella cornice un po’ vuota di forme e volumi si trovarono integrate realizzazioni monumentali molto più ampie e complesse, associate a un paesaggio più colorato e ricco. È in questo senso, ci sembra, che l’influenza di Alessandria è stata importantissima per l’evoluzione architettonica successiva; è la prima modificazione imposta all’eredità ellenica.
Ma occorrerà tempo perché questa lezione porti frutti; dovrà essere rafforzata alle arditezze dei costruttori pergameni. I successori immediati di Alessandro rimangono sensibili alle facilitazioni offerte dall’impianto ortogonale e, nella misura in cui possiamo ritrovare lo stadio ellenico sotto le profonde trasformazioni che la maggior parte della città ha subito in epoca romana, nelle fondazioni posteriori del Medio Oriente tornano caratteri sempre identici.
Anche in Grecia l’estendersi della pianta ortogonale merita di trattenere un po’ la nostra attenzione: ad esempio la nascita e lo sviluppo delle città epirote nel V-IV secolo rivela un impiego sistematico di essa. La più importante, Kassope, creata senza dubbio verso la fine del V secolo quale pólis dei Cassiopei, a seguito di un sinecismo di parecchi villaggi, presenta una piana sistematicamente organizzata.
La località, occupata da un villaggio dell’Età del Bronzo, formata da una piattaforma orientata approssimativamente est-ovest, domina dalla punta nord-ovest prescelta come acropoli, offriva nella parte meridionale una superficie adatta a un tracciato regolare, i cui assi principali est-ovest sono collegati mediante stenōpoí che delimitano gli isolati – i più regolari sono quelli della zona centrale (126×30,3m ca.). Essi sono ripartiti per strigas, le loro proporzioni allungate evocano una parentela piuttosto con le piante delle città greche occidentali, che non con quelle della Grecia egea o microasiatica. Ma la disposizione dei monumenti, l’area riservata all’agorà e ai grandi edifici pubblici derivano dai principi milesi.
L’agorà occupa la larghezza di tre isolati; a nord è circondata da una stoà a doppia navata che si iscrive nel tracciato della scacchiera, mentre ad ovest, orlando la via, si allunga una stoà semplice. Ad est un piccolo teatro, facente funzioni di bouleutḗrion, occupa un quarto isolato, troncato dalle pendici rocciose ove si arroccano le mura. Infine, oltre la strada settentrionale, una parte dell’isolato corrispondente alla metà orientale dell’agorà fu riservata a un vasto edificio di pianta rettangolare formato da una fila di sale su un cortile con peristilio da esse completamente incorniciato.

Lo stesso fenomeno ha prodotto gli stessi effetti in altre località ove l’insediamento di una comunità urbana con organismi politici si basa su principi simili a quelli di Kassope, come Elea e Titana nella Tesprozia.
L’agglomerato di Titana occupava solo una parte della superficie delimitata da una cinta muraria di 2400m. si fece ricorso, per questa nuova città, al tracciato ortogonale, semplice e pratico. Ma le sue irregolarità e le imperfezioni mostrano assai chiaramente l’uso che cercavano di farne popolazioni non urbanizzate, di tradizione contadina, portate dalle circostanze politiche a foggiarsi una città amministrativa e difensiva. Il terreno è stato diviso in lotti la cui sola larghezza (33m, pari a 100 piedi) è costante; lunghezza e superficie sono esclusivamente in funzione dell’andamento del terreno. Gli isolati sono divisi regolarmente secondo il loro asse longitudinale per mezzo di ambitus larghi 2m. L’irregolarità degli isolati produce variazioni nella direzione e nella lunghezza degli assi principali. Il principio fondamentale del raggruppamento degli edifici religiosi e pubblici viene per altro rispettato, ad onta di talune incertezze; si trovano nella parte occidentale e i templi occupano approssimativamente ciascuno un isolato.
Le preoccupazioni militari, delle quali non sminuiamo qui l’importanza, si sono esercitate ancora più nettamente in altri centri dell’Epiro. Un posto come Elea, le cui fortificazioni sfruttano costoni rocciosi sovente inaccessibili che bordano la piattaforma prescelta per la città, reca l’impronta nettissima di questa funzione militare. La ripartizione dell’area occupata in lotti regolari richiama un tipo di città della quale l’età arcaica offre già un esempio a Casmene-Monte Casale, nel territorio d’influenza siracusana, nella Sicilia orientale, e che si va sviluppando nel IV secolo e nel corso dell’età ellenistica.
La città di Ammotopo, nel sito dell’attuale Kastri, conserva un bell’esempio di queste piazzeforti destinate a residenza delle famiglie dei militari; fondata forse da Pirro, in relazione con la politica di conquista della dinastia dei Molossi. La pianta ortogonale è ridotta ai suoi elementi essenziali: pochi assi tagliano un reticolo regolare, in cui le case, certamente identiche, si dispongono lungo allineamenti monotoni. Non c’è posto né bisogno, qui, di agorà o di centri amministrativi, tuttavia qualche luogo di culto doveva pur esservi compreso.
La funzione militare e difensiva di tali città si riflette nell’importanza attribuita alle mura e nei particolari della loro tecnica. I tracciati sono studiati accuratamente in rapporto con il terreno e la disposizione delle torri e degli spalti dipende dal numero e dai mezzi dei difensori.

In queste realizzazioni, la pianta ortogonale appare nella semplicità delle funzioni pratiche e utilitarie; è spogliata d’ogni mira politica e teorica; giustifica il suo impiego e la diffusione nella tradizione macedone e ellenistica. L’esempio di Demetria, in Tessaglia, conferma in un’altra regione, dopo Olinto, il favore ad essa accordato dai principi e dai capi macedoni. Come nelle città epirote, gli edifici monumentali, soprattutto il palazzo e l’agorà, sono strettamente integrati nel reticolo degli isolati e prossimi l’uno all’altra nella parte occidentale della città. I Macedoni, come si suppone già a Pella, hanno fatto nella Grecia continentale, fin dal IV secolo, l’esperienza di un impianto urbanistico del quale saranno i principali propagatori nelle creazioni urbane di età ellenistica.
Pertanto l’urbanistica del IV secolo, sotto l’influenza dei teorici, si caratterizza per la sua semplicità, per il senso pratico e la ricerca dei principi funzionali; non mira affatto a grandi effetti estetici; procede per piani giustapposti, per estensione di superfici e prosecuzione di linee; è poco sensibile alle grandi composizioni monumentali e non ricerca i volumi. Ne risulta un’architettura urbana un po’ piatta, che manca di rilievo, quando esso non è fornito dal paesaggio. È una lezione di realizzazione pratica, rapida, molto razionalizzata, nel senso che taluni contemporanei oggi preconizzano mediante l’uniformità, sempre più spinta, dei tipi di edificio e l’applicazione di piante a reticolo, la cui invenzione è dovuta agli architetti di Mileto. Sarà necessaria l’intervento degli architetti di Alessandria e di Pergamo e l’influenza dei satrapi dell’Asia Minore, come Mausolo ad Alicarnasso, per restituire all’urbanistica ellenistica il suo valore monumentale e la possanza architettonica in cui trovano espressione le preoccupazioni politiche ed economiche delle dinastie del tempo.
[…] di R. Martin, Urbanistica e nuova tipologia edilizia, in Storia e civiltà dei Greci (dir. R. Bianchi Bandinelli), vol. 6. La crisi della pólis: arte, religione, musica, Milano 1990, pp. 427 sgg. Il… […]
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[…] di R. Martin, Urbanistica e nuova tipologia edilizia, in Storia e civiltà dei Greci (dir. R. Bianchi Bandinelli), vol. 6. La crisi della pólis: arte, religione, musica, Milano 1990, pp. 427 sgg. Il… […]
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