Il Bronzo Getty

di P. MORENO, in Storia e civiltà dei Greci (dir. R. BIANCHI BANDINELLI), vol. 6. La crisi della pólis: arte, religione, musica, Milano 1990, pp. 695-702.

Il 20 novembre 1977 il Sunday Times annunciava che un antiquario londinese aveva venduto per cinque milioni di dollari una statua in bronzo, opera di Lisippo. Due giorni dopo, la stampa americana precisava che il pezzo era stato acquistato dal Paul Getty Museum di Malibu in California. La notizia fu messa in relazione con il bronzo rinvenuto nel 1963 in Adriatico, e che aveva dato luogo in Italia ad un episodio giudiziario. Nel dicembre 1977 numerosi giornali ricostruirono la trafila che aveva portato la statua attraverso la Svizzera a Monaco di Baviera e di lì a Londra e oltreoceano.

Lisippo (attribuito). Atleta di Fano (o Bronzo Getty). L’immagine rappresenta l’opera così come fu issata dal fondale marino.

[La pubblicazione del monumento nel 1978 forniva nuovi dettagli (n.d.r.)]. Analisi ed esami tecnici hanno dimostrato che si tratta di un originale greco. Le incrostazioni marine che ricoprivano la statua al momento della scoperta, erano così spesse da far escludere la possibilità che il bronzo fosse andato a fondo con una nave veneziana, come era accaduto per il Colosso di Barletta: il naufragio deve essere avvenuto durante il trasporto dalla Grecia in Italia nella tarda età repubblicana o nel periodo imperiale. Al più tardi, si tratta del trasferimento di opere d’arte a Costantinopoli, da Roma o da Ravenna.

La conoscenza delle coordinate del luogo di rinvenimento del Bronzo Getty potrebbe portare all’identificazione del relitto, alla scoperta di altri capolavori o almeno alla ricostruzione delle circostanze del viaggio. Ma bisogna ricordare che il ritrovamento in mare di un oggetto di tanto pregio non implica necessariamente il naufragio della nave che lo trasportava. Nel mondo antico le imbarcazioni non erano in grado di superare facilmente tempeste improvvise e violente correnti. In caso di pericolo i marinai cercavano di salvare la nave e se stessi gettando a mare il carico, che era in parte sopra coperta. È questo il caso delle due statue in bronzo degli ultimi decenni del V secolo rinvenute nel 1972 al largo di Riace, sulla costa ionica della Calabria, che non erano accompagnate dalla traccia sicura dell’affondamento di una nave.

In assenza del contesto, la lettura del monumento ci offre tuttavia straordinarie sollecitazioni di carattere tecnico, iconografico e stilistico. La statua, in grandezza naturale, è infatti ben conservata: mancano solo i piedi, gli occhi, che erano inseriti in materiale policromo, parte della corona attorno al capo e l’attributo nella mano sinistra.

La preservazione dell’interno ha consentito originali osservazioni sul procedimento di fusione in bronzo a cera perduta. L’armatura era rappresentata da un bastone di legno nel busto e da canne nelle gambe e nelle braccia. Attorno all’armatura, la parte interna dell’anima era costituita da un conglomerato di ciottoli, colla, gusci di pistacchio, frammenti di ceramica e di avorio; seguiva un impasto di terra argillosa e sabbia, quindi uno strato di argilla scura. Sull’anima fu eseguito il primo abbozzo della figura in argilla fine. La cera per il modellato risulta applicata a larghe sfoglie. Una serie di chiodi di ferro erano stati inseriti nell’anima facendoli sporgere dalla superficie della cera per far presa col rivestimento esterno, così da mantenere in posizione l’anima nel momento in cui la cera fondendo avrebbe lasciato vuota l’intercapedine. L’esame del riempimento e delle impronte all’interno del bronzo ha consentito di scoprire che l’artista operò alcuni mutamenti quando già aveva terminato il modellato in cera: il braccio destro fu rialzato all’attacco con la spalla ed il collo conseguentemente allungato. Dopo la fusione, i canaletti e le parti sporgenti dei chiodi sono stati accuratamente livellati, le imperfezioni risolte con tasselli di bronzo sagomati a cuneo, la superficie ben ripulita. I capezzoli e le labbra sono rivestiti in foglia di rame rosso. il segno della finitura a cesello per mano dell’artista è avvertibile nella capigliatura.

Ricostruzione grafica del processo di fusione del bronzo a cera persa (Illustrazione da The Sculpture Park).

Le proporzioni  della figura sono molto slanciate, la muscolatura è ben sviluppata ed il leggero strato adiposo conferisce alla rappresentazione una nota di verità. I polsi sono sottili, le mani hanno dita sensibili, con piccoli polpastrelli ed unghie minute. Questo particolari aiutano ad intendere che l’età del personaggio non è ancora la piena giovinezza. Il viso conferma la stessa impressione, nel disegno acerbo della bocca e del mento. Non c’è dubbio che siamo davanti ad un ritratto, ben caratterizzato in ogni dettaglio fisionomico. Il peso del corpo cade sulla gamba destra, la sinistra è flessa all’indietro e scartata lateralmente; ne risulta l’inclinazione a sinistra del bacino, mentre il busto si raddrizza e appare deviato a destra. Con la mano destra sollevata all’altezza della fronte, il giovane mostra di avere appena collocato la corona sul capo che si volge a sinistra con fierezza. La corona è formata da un ramo d’olivo, le cui foglie erano forse argentate.

Questo elemento consente di identificare il personaggio come un atleta vincitore ad Olimpia, dove appunto il premio consisteva in una corona di olivo selvatico. Nella mano sinistra abbassata, il giovane doveva tenere un ramo di palma, anch’esso simbolo di vittoria: se ne riconosce  la traccia nell’incavo del braccio. Tenendo conto dell’età apparente, si può pensare che l’atleta fosse riuscito vincitore tra i giovani, cioè nella categoria intermedia rispetto a quelle dei ragazzi e degli adulti. La mancanza di alti elementi impedisce di sapere con sicurezza in quale specialità avesse riportato il successo, ma dando credito all’eminente realismo della rappresentazione, si può dedurre qualcosa dai caratteri fisici. In primo luogo le orecchie non sono deformate, come nei ritratti di coloro che praticavano il pugilato o il pancrazio; inoltre la relativa esilità dei polsi e delle dita farebbe escludere le gare di lancio e forse anche la conduzione di cavalli o carri, mentre la pratica della corsa troverebbe conferma nella forte muscolatura delle gambe.

Lisippo (attribuito). Atleta di Fano (o Getty Bronze). Statua, bronzo, IV secolo a.C., da Fano. Malibu, J.P. Getty Villa Museum.

Il motivo dell’atleta che s’incorona non era nuovo nella plastica greca. Policleto lo aveva forse realizzato per primo nel tipo dell’Efebo Westmacott, anche se sul significato della figura sono sorte varie interpretazioni. La soluzione formale è comunque diversa dal Bronzo Getty. L’atleta è ancora adolescente. Il movimento delle braccia è simile, ma la figura poggia il peso del corpo sulla gamba sinistra, secondo il criterio della composizione chiastica, la testa è volta verso destra ed è fortemente inclinata, lo sguardo è diretto verso il basso e ne deriva un contenuto psicologico diverso, come di raccoglimento. Il motivo resta sostanzialmente invariato in un originale attico degli inizi del IV secolo, la statua di giovinetto che s’incorona rinvenuta ad Eleusi e custodita al Museo Nazionale di Atene: la ponderazione ed il conseguente incrocio dei rapporti di forza tra le membra sono l’eredità di Policleto, la torsione del busto è solo accennata, il volto è meno inclinato. Negli stessi anni abbiamo visto che il tipo si affermava a Sicione attraverso un dipinto di Eupompo, colui che avrebbe incoraggiato lo stesso Lisippo ad intraprendere la carriera artistica. La differenza rispetto al modello policleteo è nella posizione della testa, che nell’affresco Rospigiosi appare sollevata. Può darsi che l’originale di Eupompo, portato a Roma, abbia determinato la diffusione di questo tipo dalle lastre Campana, ai sarcofagi, fino al Capitello figurato dalle Terme di Alessandro Severo.

Il Bronzo Getty si apparenta invece alle più sicure immagini lisippee di cui disponiamo. Con l’Agias ha in comune la posizione delle gambe, l’andamento del tronco, il movimento del collo e la disposizione del braccio sinistro. Rispetto all’Alessandro con la lancia, qual è rappresentato dal bronzetto, è specularmente inverso per ogni rapporto di ponderazione, movimento e tensione: l’analogia può dirsi completa per la proiezione laterale di un braccio. Il volto rivela una stretta affinità con la serie di ritratti di atleti, che comprende la Testa barbata a Copenaghen, l’Erma di Lucus Feroniae e l’Apoxyómenos. A prescindere dalle variazioni legate al carattere e alla diversa età dei soggetti, il Bronzo Getty ha in comune con queste teste, che si datano tra il 340 e il 320, la struttura quasi cubica, l’ampia impalcatura ossea dove gli zigomi e la mascella hanno un’asciutta evidenza, la bocca piccola e semiaperta col labbro superiore mosso e arrotondato, gli occhi relativamente piccoli ed infossati sul fondo dell’orbita, con la palpebra superiore che sormonta all’esterno quella inferiore, i cuscinetti rigonfi nella parte superiore esterna della cavità oculare, la prominenza al centro della fronte. La pettinatura trova riscontro nel Ritratto di Polidamante, secondo il tipo del Museo Nazionale Romano, che Lisippo avrebbe creato intorno al 337, e soprattutto nel Ritratto in bronzo di giovane atleta da Ercolano al Museo di Napoli, dove è notevole la convergenza delle notazioni fisionomiche.

Policleto. «Efebo Westmacott». Copia romana in marmo da originale greco, 450 a.C. ca. London, British Museum.

Il nome di Lisippo rimandava già per gli antichi ad una produzione immensa e ad un’intera scuola composta dal fratello, dai figli e da altri numerosi discepoli, le cui opere talora «non si potevano distinguere da quelle del maestro» (Plinio, Naturalis Historia, XXXIV 67). In ogni caso, il Bronzo Getty ci restituisce per la prima volta nella sua qualità originale quanto la scienza archeologica aveva ricostruito attorno all’arte di Lisippo, attraverso la tradizione letteraria e le copie delle sue opere.

Le proporzioni della figura sono quelle che Lisippo ha posto alle origini dell’arte ellenistica, «mutando le dimensioni quadrate degli antichi» (Plinio, Naturalis Historia, XXXIV 65). Nella statuaria di Policleto alla gamba in riposo corrispondeva il braccio in tensione e viceversa, secondo lo schema incrociato che abbiamo visto nell’Efebo Westmacott. Lisippo spartisce invece la funzione delle membra secondo la linea mediana del corpo: se la metà sinistra è in riposo, la destra è in tensione, o viceversa; la testa è sempre rivolta dalla parte del corpo rilassata. Nel Bronzo Getty questo carattere appare con una purezza che sarebbe difficile riconoscere nelle successive creazioni ellenistiche. All’ininterrotta tensione del lato destro, che comprende la gamba portante ed il braccio che solleva la corona, fa riscontro il rilassamento del lato sinistro, dove la gamba è liberata dal peso del corpo ed il braccio abbassato asseconda il lieve peso della palma: la testa, volgendosi da questa parte, sembra trasmettere la tensione concentrata nel lato destro alle membra inerti. Da ciò deriva la provvisoria stabilità del corpo, la sua potenziale mobilità: in termini psicologici, la promessa di un nuovo cimento, quell’inquietudine che Lisippo aveva fermato nell’immagine di Alessandro. La compensazione dei movimenti, l’equilibrio dei pieni e dei vuoti, la sensazione di uno spazio ricavato in forme complementari ed armoniche, rinviano al calcolo matematico ed alla costruzione geometrica, che si praticavano a Sicione come fondamento della composizione (Plinio, Naturalis Historia, XXXV 76 sg.), e che Lisippo avrebbe sviluppato, trasmettendone il gusto al figlio Euticrate (Plinio, Naturalis Historia, XXXIV 66). La statua è costruita con una perfetta coscienza dello spazio. La gamba portante non è rigida, ma è il perno su cui ruota la figura verso sinistra: se ne avverte la torsione nella veduta posteriore. La coscia sinistra è portata avanti, ma il piede finiva molto indietro per la profonda flessione del ginocchio, e insieme la gamba allarga l’impianto della figura spostandosi lateralmente. Il braccio destro è dislocato rispetto alla spalla non solo lateralmente, ma anche in avanti, ripiegandosi poi al gomito verso l’alto e l’interno. Il braccio sinistro è abbassato e insieme scostato dal tronco, formando con la curva rientrante del fianco una «mandorla» che dobbiamo immaginare percorsa dalle fronde vibranti della palma. Allo stesso modo, l’Eracle in riposo, nel tipo del bronzetto da Sulmona al Museo di Chieti, abbandona il braccio discosto dal fianco sinistro, contornando col gesto avvolgente della mano la pelle leonina. La completa immersione nello spazio rende l’immagine sensibile alle condizioni dell’atmosfera ed al fattore della distanza. Il bronzo offre infiniti appigli alla luce nell’articolazione delle membra, nel modellato della muscolatura, in quelle dita aperte, nelle foglie della corona. In qualche modo l’opera è volta a realizzare nella plastica gli effetti della pittura, e noi sappiamo che Lisippo era stato avviato all’arte da Eupompo (Plinio, Naturalis Historia, XXXIV 62), che egli usava confrontare i propri disegni con quelli di Apelle (Sinesio, Epistulae, I) e che il suo discepolo Eutichide era anche pittore (Plinio, Naturalis Historia, XXXV 140).

Questa disponibilità allo spazio e alla luce, che dà alla figura i connotati della vita e della realtà storica, non è d’altra parte incontrollata. Secondo il giudizio pliniano (Naturalis Historia, XXXIV, 65), «l’espressività è serbata fin nei minimi particolari» con un continuo controllo. Il mutamento degli assi della figura e la varietà degli effetti di luce sono ricondotti all’unità dalla cura con cui l’autore ha valorizzato i motivi di continuità plastica da una sezione all’altra delle membra e del tronco. È difficile dire quanto si sia allontanato per questo dal modello naturale. Ma certe incidenze di luce che dai tendini alla mano guizzano all’avambraccio e fin quasi alla spalla, dalle gambe all’addome, o dal petto al collo lunghissimo, ci parlano del superamento del vero per la realizzazione di un programma formale. Quando Lisippo affermava di rappresentare gli uomini non quali sono, ma quali sembra che siano (Plinio, Naturalis Historia, XXXV 65), traduceva infatti la formulazione aristotelica della poesia, come quella che crea le immagini delle cose non come sono, ma come sembra al poeta che possano essere (Aristotele, Poetica, 1460b, 10). Una componente intellettualistica è la ragione dell’ambiguità che avvertiamo di fronte al Bronzo Getty tra il modello naturale e lo schema entro il quale la figura è stata condotta. Quando Lisippo aveva dichiarato di riconoscere come proprio maestro il Doriforo, intendeva appunto che la creazione dipende non solo dalla natura, ma anche dalle precedenti operazioni artistiche (Cicerone, Brutus 296).

Policleto, Figura maschile stante (detta «doriforo»). Statua, copia di età romana in marmo dall’originale in bronzo del V secolo a.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Qual è dunque nel Bronzo Getty il motivo sotteso alla visione del vincitore di Olimpia? Perché il giovinetto ci appare in qualche modo trasfigurato? L’atleta che s’incorona nello schema lisippeo non è isolato. La stele di Plauzio al Museo di Nizza, proveniente dal Pireo e riferibile al II secolo, mostra il defunto come atleta nel medesimo schema del Bronzo Getty, con la palma nella sinistra. Un’altra stele incompiuta del Museo Nazionale di Atene conferma la fortuna del tipo nel primo secolo dell’impero. Dalle Terme di Faustina a Mileto proviene infine una statua di marmo pario del Museo di Istanbul che rappresenta una perfetta replica del tipo a tutto tondo. È indicativo che la figura sia sostenuta da un’Erma di Eracle, come allusione all’atleta per antonomasia. Attorno al 300 i didracmi d’argento di Eraclea in Magna Grecia mostrano infatti un tipo di Eracle giovane che s’incorona analogo al Bronzo Getty per la ponderazione, il gesto delle braccia ed il movimento della testa: nella sinistra è la clava abbassata, mentre la pelle di leone annodata per le zampe sul petto ed agitata attorno alla figura ne accentua i valori pittorici. Un secolo più tardi il tipo statuario di Eracle che s’incorona appare sui tetradracmi d’argento di Demetrio I re della Battriana in uno schema ancor più vicino al Bronzo Getty, perché la figura è nuda, e la pelle di leone è raccolta sul braccio sinistro dove la clava è tenuta nella medesima posizione della fronda di palma. Una statuetta in marmo italico e la figura di Eracle in un rilievo votivo con dedica alle Ninfe, entrambi ai Musei Vaticani, confermano la continuità di questo tipo di Eracle in età imperiale. Anche la figura che s’incorona nello schema policleteo si ritrova come Eracle in una statuetta ad Oxford, ma le testimonianze più antiche che abbiamo osservato mostrano che il tipo è nato per il soggetto atletico e solo secondariamente è stato adottato per figure mitologiche e personificazioni, come il Pan sulle monete dei Bruzzi nel III secolo e l’Eros Enagónios della prima metà del II secolo. Al contrario, le monete di Eraclea mostrano che la figura che s’incorona nello schema lisippeo ha una fortuna parallela nel soggetto mitico e in quello atletico. Potremmo così fornire una spiegazione iconologica alla sensazione che la statua, nella sua apparente naturalezza, fosse intesa non tanto alla celebrazione di un comune cittadino, ma all’esaltazione dell’esponente di una famiglia che avesse un ruolo politico. Il Bronzo Getty potrebbe rappresentare il momento originale dell’impatto del soggetto storico con l’immagine eroica, un’iniziale ipotesi.

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Articoli recenti sulla vicenda del Bronzo Getty:

http://www.cultura.marche.it/PortalDefault.aspx?Area=Info&cset=id=1355,fn=ENTRY_ShowInfoDetails,idInfo=3010,idNode=850

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/11_Novembre/14/panza.shtml

http://www.corriere.it/cultura/10_febbraio_11/confiscata-statua-lisippo_367805aa-1704-11df-a022-00144f02aabe.shtml

http://www.ilgiornale.it/news/lisippo-conteso-gip-ordina-confisca-negli-usa-getty-museum.html

http://www.artemagazine.it/archeologia/16158/perche-la-cassazione-tace-sul-bronzo-di-fano-al-getty/

http://www.ilrestodelcarlino.it/fano/cronaca/2014/02/25/1031196-lisippo-cassazione-procuratore-confisca.shtml

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