Il dramma di Antigone

dI. Biondi, Storia e antologia della letteratura greca, vol. 2.A – Il teatro, Firenze 2004, pp. 22 sg.; testo greco di Sophocles, Antigone, in F. Storr (ed.), Sophocles. Vol.1: Oedipus the King. Oedipus at Colonus. Antigone, London-New York 1912; traduzione it. di F. Ferrari, in G. Paduano (a cura di), Il teatro greco: tragedie, Milano 2006, p. 323.

Nei drammi più antichi di Sofocle, tra i quali l’Antigone, la struttura  e la funzione del prologo non presentano grandi diversità rispetto a Eschilo – nel cui caso, il prologo ha carattere informativo e espositivo – se non per il fatto che il prologo sia maggiormente legato alla parodo, il cui contenuto rappresenta il naturale approfondimento di ciò che è stato appena accennato. Già a partire dal prologo lo spettatore può cogliere i tratti essenziali del carattere dei personaggi che calcano la scena, poiché il poeta li fa interagire sin da subito attraverso una struttura dialogica, con la quale vengono messe a nudo le loro problematiche e le loro scelte. Per questo motivo, si parla di funzione “ethopoietica” del prologo sofocleo.

Il prologo dell’Antigone (vv. 1-38) si apre con il dialogo fra la protagonista e sua sorella Ismene. La spedizione organizzata da Adrasto, re di Argo, non è riuscita a restituire il trono all’esule Polinice e si è conclusa con la morte dei sette campioni dell’esercito argivo; al termine del conflitto, Eteocle e Polinice si sono uccisi reciprocamente in un feroce duello. In mancanza di eredi maschi, il trono di Tebe è stato occupato da Creonte, zio e cognato di Edipo: il suo primo atto di potere è stato il divieto di seppellire il corpo di Polinice, colpevole di aver assalito in  armi la propria patria. quando la notizia del bando giunge alle orecchie di Antigone, ultima discendente della stirpe dei Labdacidi insieme con Ismene, la fanciulla, decisa a non permettere un tale sacrilegio, informa del proprio piano la sorella e ne sollecita l’aiuto.

Pittore di Berlino. Guerriero siceliota con una phiálē in atto di libare. Da una lḗkythos attica a figure rosse, 480-460 a.C. ca. Museo Archeologico Regionale di Palermo.

Ἀντιγόνη – ὦ κοινὸν αὐτάδελφον Ἰσμήνης κάρα,

ἆρ᾽ οἶσθ᾽ ὅ τι Ζεὺς τῶν ἀπ᾽ Οἰδίπου κακῶν

ὁποῖον οὐχὶ νῷν ἔτι ζώσαιν τελεῖ;

οὐδὲν γὰρ οὔτ᾽ ἀλγεινὸν οὔτ᾽ ἄτης ἄτερ

οὔτ᾽ αἰσχρὸν οὔτ᾽ ἄτιμόν ἐσθ᾽, ὁποῖον οὐ

τῶν σῶν τε κἀμῶν οὐκ ὄπωπ᾽ ἐγὼ κακῶν.

καὶ νῦν τί τοῦτ᾽ αὖ φασι πανδήμῳ πόλει

κήρυγμα θεῖναι τὸν στρατηγὸν ἀρτίως;

ἔχεις τι κεἰσήκουσας; ἤ σε λανθάνει

πρὸς τοὺς φίλους στείχοντα τῶν ἐχθρῶν κακά;

Ἰσμήνη – ἐμοὶ μὲν οὐδεὶς μῦθος, Ἀντιγόνη φίλων

οὔθ᾽ ἡδὺς οὔτ᾽ ἀλγεινὸς ἵκετ᾽ ἐξ ὅτου

δυοῖν ἀδελφοῖν ἐστερήθημεν δύο,

μιᾷ θανόντοιν ἡμέρᾳ διπλῇ χερί·

ἐπεὶ δὲ φροῦδός ἐστιν Ἀργείων στρατὸς

ἐν νυκτὶ τῇ νῦν, οὐδὲν οἶδ᾽ ὑπέρτερον,

οὔτ᾽ εὐτυχοῦσα μᾶλλον οὔτ᾽ ἀτωμένη.

Ἀντιγόνη – ᾔδη καλῶς, καί σ᾽ ἐκτὸς αὐλείων πυλῶν

τοῦδ᾽ οὕνεκ᾽ ἐξέπεμπον, ὡς μόνη κλύοις.

Ἰσμήνη – τί δ᾽ ἔστι; δηλοῖς γάρ τι καλχαίνουσ᾽ ἔπος.

Ἀντιγόνη – οὐ γὰρ τάφου νῷν τὼ κασιγνήτω Κρέων

τὸν μὲν προτίσας, τὸν δ᾽ ἀτιμάσας ἔχει;

Ἐτεοκλέα μέν, ὡς λέγουσι, σὺν δίκης

χρήσει δικαίᾳ καὶ νόμου κατὰ χθονὸς

ἔκρυψε τοῖς ἔνερθεν ἔντιμον νεκροῖς·

τὸν δ᾽ ἀθλίως θανόντα Πολυνείκους νέκυν

ἀστοῖσί φασιν ἐκκεκηρῦχθαι τὸ μὴ

τάφῳ καλύψαι μηδὲ κωκῦσαί τινα,

ἐᾶν δ᾽ ἄκλαυτον, ἄταφον, οἰωνοῖς γλυκὺν

θησαυρὸν εἰσορῶσι πρὸς χάριν βορᾶς.

τοιαῦτά φασι τὸν ἀγαθὸν Κρέοντα σοὶ

κἀμοί, λέγω γὰρ κἀμέ, κηρύξαντ᾽ ἔχειν,

καὶ δεῦρο νεῖσθαι ταῦτα τοῖσι μὴ εἰδόσιν

σαφῆ προκηρύξοντα, καὶ τὸ πρᾶγμ᾽ ἄγειν

οὐχ ὡς παρ᾽ οὐδέν, ἀλλ᾽ ὃς ἂν τούτων τι δρᾷ,

φόνον προκεῖσθαι δημόλευστον ἐν πόλει.

οὕτως ἔχει σοι ταῦτα, καὶ δείξεις τάχα

εἴτ᾽εὐγενὴς πέφυκας εἴτ᾽ ἐσθλῶν κακή.

Pittore di Achille. Una donna in corsa. Particolare da un’anfora attica a figure rosse, 450 a.C. ca, da Nola. Walters Art Museum.

Antigone – Sorella, consanguinea, Ismene carissima,

conosci sventura, fra quante hanno origine da Edipo,

che a noi due sopravvissute Zeus risparmierà?

No, non c’è dolore o rovina,

non c’è vergogna o disonore che io non

abbia riconosciuto nei miei, nei tuoi mali.

E ora cos’è mai questo editto, che il generale,

a quanto dicono, ha proclamato or ora per tutta la città?

Ne sei al corrente? Hai udito qualcosa?

O ignori le insidie che i nostri nemici tramano contro chi ci è caro?

Ismene – Nessuna notizia mi è giunta, Antigone, dei nostri cari,

né lieta né triste, da quando noi due

abbiamo perduto i nostri due fratelli,

caduti nello stesso giorno l’uno per mano dell’altro.

Nient’altro so, che mi rallegri o mi rattristi,

dopo che l’armata argiva, nel corso di questa notte, è fuggita.

Antigone – Lo prevedevo; e perciò ti ho fatto chiamare fuori dal palazzo,

perché tu sola mi udissi.

Ismene – Di che si tratta? Un pensiero, evidentemente, ti turba.

Antigone – Sì, è così. Dei nostri due fratelli, Creonte non ha forse deciso di concedere

all’uno onorata sepoltura e di lasciare l’altro indegnamente insepolto?

Eteocle, dicono, ritenendo giusto

di trattarlo secondo le norme rituali, lo ha fatto seppellire,

perché avesse onore fra i morti sotterranei;

ma il cadavere del misero Polinice ha ordinato,

si dice, che nessun cittadino lo seppellisca

e lo pianga, bensì che sia lasciato illacrimato,

insepolto, tesoro agognato per soddisfare

la fame degli uccelli all’erta nel cielo.

Tale, dicono, è l’editto che il buon Creonte ha proclamato per te

e per me – per me, dico! E sta per venire egli stesso ad annunciare

apertamente il suo divieto a chi ancora lo ignora.

Non prende la cosa alla leggera: a danno dei trasgressori

è prevista la morte per pubblica lapidazione.

Questi sono i fatti: e ora mostrerai

se sei nata nobile o non sei altro che la figlia

degenere di nobili genitori.

Il prologo rivela l’intento di Sofocle di mettere in luce l’eroismo di Antigone attraverso il confronto con la sorella Ismene, che incarna una femminilità più fragile, debole, sottomessa, conforme alla tradizione. Sofocle delinea l’inflessibile personalità di Antigone evidenziandone in ogni modo la superiorità: mentre Ismene ignora o vuole ignorare il bando di Creonte, perché non ha in sé la forza per opporsi, la reazione di Antigone rivela un’immediata e irremovibile volontà di trasgressione, che annulla ogni pensiero, tranne quello della sacrilega ingiustizia di cui è oggetto Polinice. La certezza che Ismene non troverà mai il coraggio per aiutarla, induce Antigone, fin dall’inizio del dramma, a staccarsi sdegnosamente dalla sorella, considerandola una traditrice; anche nel «buon Creonte», suo futuro suocero (Antigone è promessa sposa di Emone, figlio del sovrano), ella scorge soltanto un empio tiranno, capace di negare a un morto il più sacro degli onori. In contrasto con l’obbediente sottomissione della sorella e dei concittadini, la solitaria diversità di Antigone si delinea agli occhi del pubblico con prepotente risalto, unica nel considerare l’editto un’inaccettabile manifestazione di empietà, mentre l’atto di pietà verso il defunto le appare un dovere irrinunciabile anche a costo della vita. Ismene dovrebbe avvertire lo stesso obbligo, ma vi si sottrae per paura della morte; l’intera città di Tebe dovrebbe sapere che le esequie negate attireranno la collera divina e che tutta la comunità sarà contaminata dal sacrilegio, ma il senso del dovere individuale e collettivo è annullato completamente dalla paura, che cancella la pietà, la giustizia, la nobiltà in tutti tranne che in Antigone. Nel momento stesso in cui la fanciulla espone le parole del bando di Creonte, è già chiaro che il naturale attaccamento alla vita è meno forte in lei della volontà di non permettere che il fratello sia vittima di un’empia vendetta postuma.

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