di I. Biondi, Storia e antologia della letteratura greca, vol. 2.A – Il teatro, Firenze 2004, pp. 215-219; testo greco di Sophocles, Antigone, in F. Storr (ed.), Sophocles. Vol.1: Oedipus the King. Oedipus at Colonus. Antigone, London-New York 1912.
La legge di Creonte (Antigone, vv. 162-210)
Dopo la sconfitta dell’esercito argivo e la morte di entrambi i discendenti maschi di Edipo, lo scettro passa nelle mani di Creonte, fratello di Giocasta. Proclamato signore della città, egli espone immediatamente ai sudditi il suo programma di governo: il suo primo provvedimento si fonderà sul principio che impone di onorare i caduti in difesa della patria, coprendo di infamia coloro che l’hanno tradita. Per questo motivo, Eteocle e Polinice non avranno lo stesso trattamento: il primo otterrà tutti gli onori degni del suo rango e del valore dimostrato nelle difesa di Tebe; il secondo, assalitore della propria città, sarà lasciato insepolto.

ἄνδρες, τὰ μὲν δὴ πόλεος ἀσφαλῶς θεοὶ
πολλῷ σάλῳ σείσαντες ὤρθωσαν πάλιν.
ὑμᾶς δ᾽ ἐγὼ πομποῖσιν ἐκ πάντων δίχα
165 ἔστειλ᾽ ἱκέσθαι τοῦτο μὲν τὰ Λαΐου
σέβοντας εἰδὼς εὖ θρόνων ἀεὶ κράτη,
τοῦτ᾽ αὖθις, ἡνίκ᾽ Οἰδίπους ὤρθου πόλιν,
κἀπεὶ διώλετ᾽, ἀμφὶ τοὺς κείνων ἔτι
παῖδας μένοντας ἐμπέδοις φρονήμασιν.
170 ὅτ᾽ οὖν ἐκεῖνοι πρὸς διπλῆς μοίρας μίαν
καθ᾽ ἡμέραν ὤλοντο παίσαντές τε καὶ
πληγέντες αὐτόχειρι σὺν μιάσματι,
ἐγὼ κράτη δὴ πάντα καὶ θρόνους ἔχω
γένους κατ᾽ ἀγχιστεῖα τῶν ὀλωλότων.
175 ἀμήχανον δὲ παντὸς ἀνδρὸς ἐκμαθεῖν
ψυχήν τε καὶ φρόνημα καὶ γνώμην, πρὶν ἂν
ἀρχαῖς τε καὶ νόμοισιν ἐντριβὴς φανῇ.
ἐμοὶ γὰρ ὅστις πᾶσαν εὐθύνων πόλιν
μὴ τῶν ἀρίστων ἅπτεται βουλευμάτων
180 ἀλλ᾽ ἐκ φόβου του γλῶσσαν ἐγκλῄσας ἔχει
κάκιστος εἶναι νῦν τε καὶ πάλαι δοκεῖ·
καὶ μεῖζον ὅστις ἀντὶ τῆς αὑτοῦ πάτρας
φίλον νομίζει, τοῦτον οὐδαμοῦ λέγω.
ἐγὼ γάρ, ἴστω Ζεὺς ὁ πάνθ᾽ ὁρῶν ἀεί,
185 οὔτ᾽ ἂν σιωπήσαιμι τὴν ἄτην ὁρῶν
στείχουσαν ἀστοῖς ἀντὶ τῆς σωτηρίας,
οὔτ᾽ ἂν φίλον ποτ᾽ ἄνδρα δυσμενῆ χθονὸς
θείμην ἐμαυτῷ, τοῦτο γιγνώσκων ὅτι
ἥδ᾽ ἐστὶν ἡ σῴζουσα καὶ ταύτης ἔπι
190 πλέοντες ὀρθῆς τοὺς φίλους ποιούμεθα.
τοιοῖσδ᾽ ἐγὼ νόμοισι τήνδ᾽ αὔξω πόλιν,
καὶ νῦν ἀδελφὰ τῶνδε κηρύξας ἔχω
ἀστοῖσι παίδων τῶν ἀπ᾽ Οἰδίπου πέρι·
Ἐτεοκλέα μέν, ὃς πόλεως ὑπερμαχῶν
195 ὄλωλε τῆσδε, πάντ᾽ ἀριστεύσας δόρει,
τάφῳ τε κρύψαι καὶ τὰ πάντ᾽ ἀφαγνίσαι
ἃ τοῖς ἀρίστοις ἔρχεται κάτω νεκροῖς.
τὸν δ᾽ αὖ ξύναιμον τοῦδε, Πολυνείκη λέγω,
ὃς γῆν πατρῴαν καὶ θεοὺς τοὺς ἐγγενεῖς
200 φυγὰς κατελθὼν ἠθέλησε μὲν πυρὶ
πρῆσαι κατ᾽ ἄκρας, ἠθέλησε δ᾽ αἵματος
κοινοῦ πάσασθαι, τοὺς δὲ δουλώσας ἄγειν,
τοῦτον πόλει τῇδ᾽ ἐκκεκήρυκται τάφῳ
μήτε κτερίζειν μήτε κωκῦσαί τινα,
205 ἐᾶν δ᾽ ἄθαπτον καὶ πρὸς οἰωνῶν δέμας
καὶ πρὸς κυνῶν ἐδεστὸν αἰκισθέν τ᾽ ἰδεῖν.
τοιόνδ᾽ ἐμὸν φρόνημα, κοὔποτ᾽ ἔκ γ᾽ ἐμοῦ
τιμὴν προέξουσ᾽ οἱ κακοὶ τῶν ἐνδίκων·
ἀλλ᾽ ὅστις εὔνους τῇδε τῇ πόλει, θανὼν
210 καὶ ζῶν ὁμοίως ἐξ ἐμοῦ τιμήσεται.
Gli dèi, o Tebani, hanno risollevato la città, dopo averla scossa con violente mareggiate. Ho inviato messaggeri per convocarvi qui, voi soli fra tutti, in primo luogo perché so come avete costantemente onorato l’autorità regale di Laio, e in seguito di Edipo, quando prese il governo della città, e poi, dopo la sua morte, siete rimasti saldamente leali ai loro figli. Ed ora che essi per duplice destino nello stesso giorno sono caduti, uccisori e uccisi con empio fratricidio, sono io che per la stretta parentela con i morti detengo il trono e il potere assoluto. È impossibile penetrare a fondo anima, intelligenza, carattere di un uomo, se costui non ha rivelato se stesso nell’esercizio del potere e delle leggi. Per me chi governa lo Stato senza attenersi alle decisioni più giuste, ma tiene la bocca chiusa per qualche paura, non da ora io lo stimo un essere spregevole; e parimenti non ho nessuna considerazione per chi tiene un amico in maggior conto della propria patria. No, io non potrei tacere – mi sia testimone Zeus che tutto vede – se mi accorgessi che la rovina, e non già la salvezza, attende i cittadini, né potrei considerare amico mio un nemico della patria, perché so bene che proprio ad essa dobbiamo la nostra salvezza e che solo navigando su uno Stato prospero possiamo assicurarci dei veri amici. Sono questi i principi in base ai quali farò grande questa città. In pieno accordo con essi è l’editto che ora ho proclamato per tutti i cittadini riguardo ai figli di Edipo. Eteocle, che è morto combattendo per la nostra città, dopo aver dimostrato con le armi tutto il suo valore, sia calato in un sepolcro e riceva tutti i riti che accompagnano sotto terra gli eroi; quanto a suo fratello, a Polinice, che ritornò dall’esilio per mettere a ferro e fuoco la terra paterna e gli altari degli dèi indigeni, e bramò dissetarsi del sangue fraterno riducendo noi altri in schiavitù, si fa divieto a questa città che alcuno gli tributi esequie o lamenti, ma sia lasciato insepolto e sfigurato, pasto di uccelli e di cani. Questo è il mio pensiero. Mai da me i malvagi riceveranno più onore degli uomini giusti; ma io onorerò chi è devoto a questa città, da vivo e da morto.
(trad. it. di F. Ferrari)

L’appello di Creonte ai cittadini ricorda, nell’esordio, il tono con cui gli oratori politici si rivolgevano al loro pubblico, anche se il contenuto del discorso si discosta poi dall’ideologia democratica dell’Atene del tempo di Sofocle. Nella prima parte, egli enuncia una serie di principi in cui si sottolinea come l’εὐνομία, il «buon governo», punto di riferimento di qualunque sovrano o uomo di Stato, può essere raggiunto solamente a patto di far sempre prevalere l’interesse pubblico su quello privato. Tuttavia, dopo aver enunciato il proposito di voler «rendere grande la città», sulla base di queste norme, la sua prima affermazione di potere si concretizza in un atto moralmente inquietante: il decreto con il quale si vieta la sepoltura di Polinice, motivato come una punizione per il comportamento dell’eroe, equiparato ad un manifesto tradimento. Da un certo punto di vista, la decisione di Creonte è consona alle parole con le quali egli si è appena presentato al popolo, affermando che non potrebbe mai considerare amico un uomo che si fosse dimostrato ostile a Tebe; ma è altrettanto vero che il suo accanirsi contro un morto rimane un comportamento inaccettabile sul piano religioso oltre che su quello umano. Il disagio morale implicito nell’ordine di Creonte è accresciuto dal fatto che nelle sue parole non compare neppure un accenno alla legge che impone l’obbligo di rendere onore ai defunti, mentre si sottolinea che la discriminazione di trattamento fra Eteocle e Polinice è imposta da un suo «bando» (κήρυγμα). Ciò significa che Creonte non si fa scrupolo di anteporre la propria volontà ad una «legge» (νόμος) di origine divina, pretendendo di sostituire un potere individuale a quelli universali dello Stato e della religione, senza tener conto del fatto che egli, che si atteggia a difensore della città, la espone con colpevole pertinacia ad una «contaminazione» (μίασμα) che non mancherà di attirare sui cittadini innocenti la maledizione divina, nella quale anch’egli sarà fatalmente coinvolto.
La legge di Zeus (Antigone, vv. 441-460)
Dopo aver emanato un bando in cui si vietano gli onori funebri al corpo di Polinice, per essere sicuro che nessuno osi violarlo, Creonte dispone alcune sentinelle a guardia del cadavere, con l’ordine di arrestare chiunque si avvicini e di condurlo da lui. Una così severa sorveglianza non tarda a dare i suoi frutti; durante un violento temporale, che appare ai soldati come un segno dell’ira divina, essi sorprendono una fanciulla, che, levando acuti lamenti, si è avvicinata ai miseri resti di Polinice, cospargendoli con un pugno di terra e offrendo una triplice libagione in onore del defunto. La ragazza è Antigone, sua sorella, che viene subito arrestata e condotta alla presenza di Creonte, che la interroga, congedando la guardia che l’ha accompagnata.
Κρ. – σὲ δή, σὲ τὴν νεύουσαν εἰς πέδον κάρα,
φὴς ἢ καταρνεῖ μὴ δεδρακέναι τάδε;
Ἀν. – καὶ φημὶ δρᾶσαι κοὐκ ἀπαρνοῦμαι τὸ μή.
Κρ. – σὺ μὲν κομίζοις ἂν σεαυτὸν ᾖ θέλεις
445 ἔξω βαρείας αἰτίας ἐλεύθερον·
σὺ δ᾽ εἰπέ μοι μὴ μῆκος, ἀλλὰ συντόμως,
ᾔδησθα κηρυχθέντα μὴ πράσσειν τάδε;
Ἀν. – ᾔδη· τί δ᾽ οὐκ ἔμελλον; ἐμφανῆ γὰρ ἦν.
Κρ. – καὶ δῆτ᾽ ἐτόλμας τούσδ᾽ ὑπερβαίνειν νόμους;
Ἀν. – οὐ γάρ τί μοι Ζεὺς ἦν ὁ κηρύξας τάδε,
οὐδ᾽ ἡ ξύνοικος τῶν κάτω θεῶν Δίκη
τοιούσδ᾽ ἐν ἀνθρώποισιν ὥρισεν νόμους.
οὐδὲ σθένειν τοσοῦτον ᾠόμην τὰ σὰ
κηρύγμαθ᾽, ὥστ᾽ ἄγραπτα κἀσφαλῆ θεῶν
455 νόμιμα δύνασθαι θνητὸν ὄνθ᾽ ὑπερδραμεῖν.
οὐ γάρ τι νῦν γε κἀχθές, ἀλλ᾽ ἀεί ποτε
ζῇ ταῦτα, κοὐδεὶς οἶδεν ἐξ ὅτου ‘φάνη.
τούτων ἐγὼ οὐκ ἔμελλον, ἀνδρὸς οὐδενὸς
φρόνημα δείσασ᾽, ἐν θεοῖσι τὴν δίκην
460 δώσειν· θανουμένη γὰρ ἐξῄδη, τί δ᾽ οὔ;
Cr. – (Ad Antigone.) Dico a te! Sì, dico a te che volgi il capo a terra:
neghi o ammetti di aver compiuto il fatto?
An. – Sì, sono stata io, non lo nego.
Cr. – (Alla guardia.) Vattene, tu, dove ti pare: ormai sei libero;
sei prosciolto da quella grave imputazione…
(Ad Antigone.) Quanto a te, parlami chiaramente, senza giri di parole:
conoscevi l’editto, che vietava proprio ciò che hai fatto?
An. – Sì, lo conoscevo; e come potevo ignorarlo? Era pubblico!
Cr. – Eppure hai osato trasgredire questa norma?
An. – Sì, perché questo editto non Zeus proclamò per me,
né Dike, che abita con gli dèi sotterranei; essi
non hanno sancito per gli uomini queste leggi.
E non avrei attribuito ai tuoi proclami tanta forza
che un mortale potesse violare le leggi non scritte,
incrollabili, degli dèi, che non da oggi né da ieri,
ma da sempre sono in vita,
né alcuno sa quando vennero alla luce.
Io non potevo, per paura di un uomo arrogante,
attirarmi il castigo degli dèi: sapevo bene
che la morte mi attende – cosa credi?
(tr. it. di F. Ferrari)
Il punto di forza del discorso di Antigone è rappresentato dalla frase iniziale della sua risposta:
Sì, perché questo editto non Zeus proclamò per me,
né Dike, che abita con gli dèi sotterranei…

In essa si riepilogano i principi fondamentali della morale religiosa ateniese, poiché la connessione fra Zeus e Dike, la Giustizia, considerata una figlia, è già presente nell’etica arcaica, a partire da Esiodo, per giungere fino a Solone e ad Eschilo, i cui concetti rimangono validi anche per Sofocle. Inoltre, nelle parole di Antigone, Dike è presentata come «coabitante» (ξύνοικος) delle divinità infere; questa convinzione la pone in stretto contatto con le Erinni, le divinità punitrici figlie della Notte, che abitano il mondo sotterraneo (cfr. Eschilo, Eumenidi, v. 511). Queste antichissime dee, appartenenti al mondo religioso primordiale, hanno avuto in sorte il compito di perseguitare non solo quelli che si macchiano di delitti contro gli appartenenti alla stessa stirpe, ma anche chi viola l’αἰδώς, il «rispetto» dovuto a determinate categorie di persone, fra le quali anche i defunti, poiché non hanno più la possibilità di difendersi. Antigone dimostra quindi la sua venerazione per le leggi che esistono «non da oggi né da ieri, ma da sempre», di fronte alle quali l’importanza dei decreti di Creonte appare notevolmente sminuita, tanto che essi sembrano ridursi a una puntigliosa ripicca da parte di chi, insicuro del proprio potere, si ostina a salvaguardarlo con sospettosa gelosia. Né, certo, il timore della morte può intaccare la ferma volontà della fanciulla, che dichiara con tranquilla e consapevole serenità la sua decisione di non violare un principio universale e divino, e di non venir meno agli obblighi religiosi nei confronti del fratello morto, attirandosi la collera degli dèi per timore delle minacce di un tiranno sospettoso e meschino.
Mi ha sorpreso soprattutto l’attualità di questo articolo (ben fatto) e La faccio i miei complimenti per il suo sito.
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