di R. GRAVES, Greek Myths (= I miti greci, trad. it. E. Morpurgo, ed. U. Albini, Milano 1963, pp. 174 sgg., con note dello stesso autore); fonti antiche: Erodoto, Storie I 2, 2; Apollodoro, Biblioteca III 1, 1; P. Ovidio Nasone, Metamorfosi II 833-875.

Agenore[1], figlio di Libia e di Posidone e gemello di Belo, lasciò l’Egitto per stabilirsi nella terra di Canaan, dove sposò Telfassa, altrimenti detta Argiope, la quale gli generò Cadmo, Fenice, Cilice, Taso, Fineo e una sola figlia, Europa[2]. Zeus, innamoratosi di Europa, incaricò Hermes di spingere il bestiame di Agenore fino alla riva del mare presso Tiro, dove Europa e le sue compagne usavano passeggiare. Zeus stesso si confuse nella mandria, sotto le spoglie di un toro bianco come la neve, con una robusta giogaia e due piccole corna, simili a gemme, tra le quali correva un’unica striscia nera. Europa fu colpita dalla sua bellezza e, poiché il toro si rivelò mansueto come un agnello, cominciò a giocare con lui ponendogli dei fiori in bocca e appendendo ghirlande alle sue corna; infine gli balzò sulla groppa e si lasciò condurre al piccolo trotto fino alla riva del mare. All’improvviso il toro si lanciò nelle onde e cominciò a nuotare, ed Europa sgomenta, volgendo il capo, fissava la riva sempre più lontana: con la mano destra stringeva il corno del toro, con la sinistra un canestro colmo di fiori[3]. Giunto su una spiaggia cretese, nei pressi di Gortina, Zeus si trasformò in aquila[4] e violentò Europa in un boschetto di salici[5] accanto a una fonte; o come altri dicono, sotto un platano sempre verde. Europa generò al dio tre figli: Minosse, Radamante e Sarpedone. Agenore mandò i suoi figli in cerca della sorella[6], con l’ordine severissimo di non tornare senza di lei. Subito essi alzarono le vele, ma non sapendo dove si fosse diretto il toro, salparono in tre diverse direzioni. Fenice andò a occidente, verso la Libia, fino al luogo dove sorge ora Cartagine; e colà diede il suo nome ai Punici; ma dopo la morte di Agenore ritornò a Canaan, che da allora fu chiamata Fenicia in suo onore, e divenne padre di Adone e di Alfesibea. Cilice si recò nella terra degli Ipachiani, che da lui prese il nome di Cilicia; e Fineo si recò nella penisola di Tinia, che separa il Mar di Marmara dal Mar Nero, dove più tardi fu tormentato dalle Arpie. Taso e i suoi compagni, direttisi prima a Olimpia […] poi colonizzarono l’isola di Taso e sfruttarono le sue ricche miniere d’oro. Tutto ciò accadde cinque generazioni prima che nascesse in Grecia Eracle, figlio di Anfitrione […].
(in R. Graves)

μετὰ δὲ ταῦτα Ἑλλήνων τινάς (οὐ γὰρ ἔχουσι τοὔνομα ἀπηγήσασθαι) [Πέρσαι] φασὶ τῆς Φοινίκης ἐς Τύρον προσσχόντας ἁρπάσαι τοῦ βασιλέος τὴν θυγατέρα Εὐρώπην. εἴησαν δ᾽ ἄν οὗτοι Κρῆτες.
[I Persiani] dicono pure che in seguito alcuni Greci, di cui non sono in grado di riferire il nome, approdati a Tiro in Fenicia rapirono la figlia del re, Europa – e questi potrebbero essere stati Cretesi.
Hdt., I 2, 2 (trad. it. Augusta Izzo D’Accinni)

ὡς γὰρ ἡμῖν λέλεκται, δύο Λιβύη ἐγέννησε παῖδας ἐκ Ποσειδῶνος, Βῆλον καὶ Ἀγήνορα. Βῆλος μὲν οὖν βασιλεύων Αἰγυπτίων τοὺς προειρημένους ἐγέννησεν, Ἀγήνωρ δὲ παραγενόμενος εἰς τὴν Φοινίκην γαμεῖ Τηλέφασσαν καὶ τεκνοῖ θυγατέρα μὲν Εὐρώπην, παῖδας δὲ Κάδμον καὶ Φοίνικα καὶ Κίλικα. τινὲς δὲ Εὐρώπην οὐκ Ἀγήνορος ἀλλὰ Φοίνικος λέγουσι. ταύτης Ζεὺς ἐρασθείς, †ῥόδου ἀποπλέων, ταῦρος χειροήθης γενόμενος, ἐπιβιβασθεῖσαν διὰ τῆς θαλάσσης ἐκόμισεν εἰς Κρήτην. ἡ δέ, ἐκεῖ συνευνασθέντος αὐτῇ Διός, ἐγέννησε Μίνωα Σαρπηδόνα Ῥαδάμανθυν· καθ᾽ Ὅμηρον δὲ Σαρπηδὼν ἐκ Διὸς καὶ Λαοδαμείας τῆς Βελλεροφόντου. ἀφανοῦς δὲ Εὐρώπης γενομένης ὁ πατὴρ αὐτῆς Ἀγήνωρ ἐπὶ ζήτησιν ἐξέπεμψε τοὺς παῖδας, εἰπὼν μὴ πρότερον ἀναστρέφειν πρὶν ἂν ἐξεύρωσιν Εὐρώπην. συνεξῆλθε δὲ ἐπὶ τὴν ζήτησιν αὐτῆς Τηλέφασσα ἡ μήτηρ καὶ Θάσος ὁ Ποσειδῶνος, ὡς δὲ Φερεκύδης φησὶ Κίλικος. ὡς δὲ πᾶσαν ποιούμενοι ζήτησιν εὑρεῖν ἦσαν Εὐρώπην ἀδύνατοι, τὴν εἰς οἶκον ἀνακομιδὴν ἀπογνόντες ἄλλος ἀλλαχοῦ κατῴκησαν, Φοῖνιξ μὲν ἐν Φοινίκῃ, Κίλιξ δὲ Φοινίκης πλησίον, καὶ πᾶσαν τὴν ὑφ᾽ ἑαυτοῦ κειμένην χώραν ποταμῷ σύνεγγυς Πυράμῳ Κιλικίαν ἐκάλεσε· Κάδμος δὲ καὶ Τηλέφασσα ἐν Θρᾴκῃ κατῴκησαν. ὁμοίως δὲ καὶ Θάσος ἐν Θρᾴκῃ κτίσας πόλιν Θάσον κατῴκησεν.
Come abbiamo detto, Libia ebbe da Posidone due figli, Belo e Agenore. Belo regnò sull’Egitto ed ebbe i figli che abbiamo già nominato; Agenore invece andò in Fenicia, sposò Telefassa, ebbe una figlia femmina, Europa, e tre maschi, Cadmo, Fenice e Cilice. Alcuni dicono che Europa non fosse figlia di Agenore, ma di Fenice. Zeus s’innamorò di lei, si trasformò in toro, fece montare la ragazza sulla sua groppa e la portò sul mare fino a Creta, dove si unirono in amore. Europa partorì Minosse, Sarpedone e Radamanto; ma Omero afferma che Sarpedone nacque da Zeus e Laodamia, figlia di Bellerofonte. Dopo la scomparsa di Europa, il padre Agenore inviò i figli alla sua ricerca, dicendo di non tornare a casa prima di averla trovata. Anche la madre Telefassa partì alla sua ricerca, e anche Taso, figlio di Posidone o forse, secondo Ferecide, di Cilice. Cercarono dappertutto, ma non riuscirono a trovarla; tornare a casa non potevano, e così rimasero a vivere ognuno in una terra diversa. Fenice si stabilì in Fenicia; Cilice si fermò in una regione confinante con la Fenicia, e dal suo nome chiamò Cilicia tutto il territorio bagnato dal fiume Piramo; Cadmo e Telefassa, invece, si stabilirono in Tracia. Anche Taso si fermò in Tracia, colonizzò l’isola di Taso e vi fondò una città.
Apollod., Bibl. III 1, 1 (trad. it. Marina Cavalli)

Has ubi uerborum poenas mentisque profanae
Cepit Atlantiades, dictas a Pallade terras
Linquit et ingreditur iactatis aethera pennis.
Seuocat hunc genitor. Nec causam fassus amoris
«Fide minister – ait – iussorum, nate, meorum,
Pelle moram solitoque celer delabere cursu,
Quaeque tuam matrem tellus a parte sinistra
Suspicit (indigenae Sidonida nomine dicunt),
Hanc pete, quodque procul montano gramine pasci
Armentum regale uides, ad litora uerte».
Dixit, et expulsi iamdudum monte iuuenci
Litora iussa petunt, ubi magni filia regis
Ludere uirginibus Tyriis comitata solebat.
Non bene conueniunt nec in una sede morantur
Maiestas et amor: sceptri grauitate relicta
Ille pater rectorque deum, cui dextra trisulcis
Ignibus armata est, qui nutu concutit orbem,
Induitur faciem tauri mixtusque iuuencis
Mugit et in teneris formosus obambulat herbis.
Quippe color niuis est, quam nec uestigia duri
Calcauere pedis nec soluit aquaticus auster.
Colla toris exstant, armis palearia pendent,
Cornua parua quidem, sed quae contendere possis
Facta manu, puraque magis perlucida gemma.
Nullae in fronte minae, nec formidabile lumen;
Pacem uultus habet. Miratur Agenore nata,
Quod tam formosus, quod proelia nulla minetur.
Sed quamuis mitem metuit contingere primo:
Mox adit et flores ad candida porrigit ora.
Gaudet amans et, dum ueniat sperata uoluptas,
Oscula dat manibus; uix iam, uix cetera differt.
Et nunc adludit uiridique exsultat in herba,
Nunc latus in fuluis niueum deponit harenis;
Paulatimque metu dempto modo pectora praebet
Virginea plaudenda manu, modo cornua sertis
Impedienda nouis. Ausa est quoque regia uirgo
Nescia quem premeret, tergo considere tauri,
Cum deus a terra siccoque a litore sensim
Falsa pedum primis uestigia ponit in undis:
Inde abit ulterius mediique per aequora ponti
Fert praedam. Pauet haec litusque ablata relictum
Respicit, et dextra cornum tenet, altera dorso
Imposita est; tremulae sinuantur flamine uestes.
Quando punì così le parole di una mente scellerata
il nipote di Atlante, lascia le terre che han nome
da Pallade e con un batter d’ali si libra nell’etere.
Lo convoca a sé il padre senza rivelargli che lo muove amore,
e gli dice: «Figlio mio, fedele messaggero dei miei ordini,
lascia ogni indugio e scendi giù con la tua solita rapidità,
e va verso quella terra, che i nativi chiamano Sidone,
dalla quale in alto a sinistra si contempla tua madre;
va laggiù, e scorgerai un armento del re che pascola
lontano sulle pendici di un monte erboso: spingilo verso la spiaggia».
Disse ciò, e immediatamente i giovenchi cacciati dal monte
si dirigono, come ordinato, al lido, dove la figlia di quel re potente,
accompagnata dalle ragazze di Tiro, è solita giocare.
Non vanno d’accordo né possono star insieme
la maestà e l’amore: deposta la solennità dello scettro,
colui ch’è padre e re degli dèi, la cui destra è armata
dalle folgori trilingui, che con un cenno scuote il mondo,
si riveste dell’aspetto di un toro e, mescolatosi alle giovenche,
muggisce, aggirandosi aitante sulla tenera erba.
È candido come neve, che l’impronta di un passo pesante
non calpesta o che l’Austro piovoso non riduce in poltiglia;
sul collo risaltano i muscoli, dalle spalle pende la giogaia,
ha corna piccole, ma tali che potresti ritenerle
fatte a mano e più trasparenti di una gemma pura;
nulla di minaccioso sulla fronte, né di spietato nello sguardo:
ha un’aria mansueta. La figlia di Agenore si stupisce
che sia tanto ben fatto, e che non minacci aggressività,
eppure in un primo momento ha paura di sfiorarlo:
ma poi gli si accosta e porge dei fiori al candido muso.
Gode l’innamorato e, in attesa del piacere sperato,
le bacia le mani; a stento ormai, a stento rimanda il resto;
ora si sfrena gioioso e salta sull’erba verde,
ora stende il candido fianco sulla rena dorata
e dopo averle allontanato a poco a poco la paura, le offre il petto
perché l’accarezzi con la sua mano ingenua; ora le porge le corna
perché le inghirlandi con nuove corone. E la vergine regale osa
persino adagiarsi sul suo dorso, ignara di chi sia colui che sta cavalcando:
allora il dio pian piano dalla terra asciutta della spiaggia,
comincia a imprimere le sue false orme nelle prime onde,
poi vi si inoltra e in mezzo al mare si porta via
la sua preda. Questa terrorizzata si volge indietro a guardar il lido
ormai abbandonato; con la destra s’aggrappa a un corno, con l’altra
s’appoggia al dorso; fremendo nel vento le ondeggiano intorno le vesti.
Ov., Met. II 833-875

***
[1] Agenore è l’eroe fenicio Chnas, che appare nella Genesi come Canaan; molte usanze cananee pare rivelino un’origine est-africana e può darsi che i Cananei giungessero nel Basso Egitto dall’Uganda.
[2] Europa significa «dalla larga faccia», ed è sinonimo di luna piena; fu un appellativo della dea-Luna Demetra a Lebadia e di Astarte a Sidone.
[3] La leggenda del ratto di Europa, che si riferisce ad un’antica invasione ellenica di Creta, fu tratta dall’iconografia pre-ellenica in cui la sacerdotessa della Luna appariva trionfante in groppa al toro solare, sua vittima. Pare che la cerimonia fosse compresa nel rito della fertilità, durante il quale la ghirlanda primaverile di Europa veniva portata in processione (Athen., p. 678 a-b).
[4] Zeus che si trasforma in aquila per violentare Europa ricorda la sua metamorfosi in cuculo per sedurre Era, poiché, secondo Esichio, Era aveva l’appellativo di Europia.
[5] Il salice presiede al quinto mese dell’anno sacro ed è associato con le pratiche di stregoneria e con i riti di fertilità in tutta Europa, specialmente a Calendimaggio, che cade in quel mese.
[6] La diaspora dei figli di Agenore ricorda forse la fuga delle tribù cananee verso occidente, che si verificò all’inizio del II millennio a.C. in seguito alle invasioni ariane e semitiche. La leggenda dei figli di Inaco, inviati alla ricerca di Io, la vacca lunare, influenzò probabilmente la leggenda dei figli di Agenore inviati alla ricerca di Europa.
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