da Lettere a Lucilio, in U. Boella (cur.), Seneca – Opere, vol. I, Torino 1975, pp. 36-39 (Testo latino da L.D. Reynolds (ed.), L. Annaei Senecae Ad Lucilium Epistulae Morales, vol. I, Oxford 1965).
Seneca Lucilio suo salutem.
[1] Ex iis quae mihi scribis et ex iis quae audio bonam spem de te concipio: non discurris nec locorum mutationibus inquietaris. Aegri animi ista iactatio est: primum argumentum compositae mentis existimo posse consistere et secum morari. [2] Illud autem uide, ne ista lectio auctorum multorum et omnis generis uoluminum habeat aliquid uagum et instabile. Certis ingeniis inmorari et innutriri oportet, si uelis aliquid trahere quod in animo fideliter sedeat. Nusquam est qui ubique est. Vitam in peregrinatione exigentibus hoc euenit, ut multa hospitia habeant, nullas amicitias; idem accidat necesse est iis qui nullius se ingenio familiariter applicant sed omnia cursim et properantes trasmittunt. [3] Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur; nihil aeque sanitatem inpedit quam remediorum crebra mutatio; non uenit uulnus ad cicatricem in quo medicamenta temptantur; non conualescit planta quae saepe transfertur; nihil tam utile est ut in transitu prosit. Distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis quantum habueris, satis est habere quantum legas. [4] «Sed modo» inquis «hunc librum euoluere uolo, modo illum». Fastidientis stomachi est multa degustare; quae ubi uaria sunt et diuersa, inquinant non alunt. Probatos itaque semper lege, et si quando ad alios deuerti libuerit, ad priores redi. Aliquid cotidie aduersus paupertatem, aliquid aduersus mortem auxili compara, nec minus aduersus ceteras pestes; et cum multa percurreris, unum excerpe quo dillo die concoquas. [5] Hoc ipse quoque facio; ex pluribus quae legi aliquid adprehendo. Hodiernum hoc est quod apud Epicurum nanctus sum (soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator): «honesta» inquit «res est laeta paupertas». [6] Illa uero non est paupertas, si laeta est; non qui parum habet, sed qui plus cupit, pauper est. Quid enim refert quantum illi in arca, quantum in horreis iaceat, quantum pascat aut feneret, si alieno imminet, si non adquisita sed adquirenda conputat? Quis sit diuitiarum modus quaeris? Primus habere quod necesse est, proximus quod sat est. Vale.

Seneca saluta il suo Lucilio.
[1] Dai tuoi scritti e da ciò che sento dire di te sono indotto a sperare vivamente sul tuo conto: non vai qua e là, non ti agita il desiderio di cambiare luogo. Tale inquietudine è propria di un animo malato: il saper stare fermo e raccolto in sé stesso è, secondo me, il primo indizio di uno spirito ben ordinato. [2] Ma forse non ti pare che la lettura di molti autori e di libri di ogni genere riveli una certa incostanza e instabilità? Se vuoi ricavare qualche idea che ti si imprima durevolmente nell’animo, devi essere in grande dimestichezza con determinati scrittori e di essi nutrirti. Chi è dappertutto non è in alcun luogo. Chi passa la vita vagabondando trova molti ospiti, ma nessun amico. Necessariamente la stessa cosa accade a coloro che non entrano in intimità con nessun uomo di genio, ma leggono qualunque libro di corsa, in fretta e furia. [3] Il cibo che, appena preso, è mandato fuori, non giova né può esser assimilato; niente è così nocivo alla buona salute come il cambiare di continuo i rimedi; una ferita, sulla quale si provino medicamenti su medicamenti, non si cicatrizza; non cresce la pianticella ripetutamente trapiantata; non c’è cosa tanto efficace che possa giovare di passaggio. Troppi libri producono dissipazione: pertanto, poiché non puoi leggere tutti i libri che ti sarebbe possibile avere, ti basta avere quelli che puoi leggere. [4] «Ma», tu mi dirai, «ora mi vien voglia di sfogliare un libro, ora un altro». È proprio di uno stomaco che facilmente si disgusta assaggiare molti cibi, i quali, se sono diversi, invece di nutrire guastano. Perciò leggi sempre scrittori di individuabile valore e, se talvolta ti piacerà rivolgerti ad altri, tosto ritorna ai primi. Ogni giorno sappi procurarti qualche aiuto contro la povertà, contro la morte e parimenti contro altri mali; e, dopo aver fermato l’attenzione su molti pensieri, scegline uno che in quel giorno sia oggetto della tua meditazione. [5] Anch’io sono solito fare così; leggo pagine e pagine, ma poi m’impadronisco di un’idea. Oggi, leggendo Epicuro – non stupirti! Sovente passo negli accampamenti altrui non come fuggiasco ma come esploratore – ho trovato questo pensiero: «è condizione decorosa – egli afferma – una lieta povertà». [6] Ma questa non è povertà, se è lieta; non è povero chi possiede poco, bensì chi desidera più di quanto possiede. Infatti che importa la quantità di denaro chiusa nel forziere, il granaio quanto vuoi ripieno, il numero degli armenti o dei crediti, se l’uomo di continuo è proteso verso i beni altrui, se fa il conto non di ciò che si è procacciato ma di ciò che si deve procacciare? Vuoi sapere quale sia la giusta misura delle ricchezze? Dapprima avere quel che è strettamente necessario, poi quel che è sufficiente. Addio.
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Per approfondire:
J.-W. Beck, Seneca zweiter Brief: sein «Hinweis für den Benutzer», RhM 150 (2007), pp. 96-108.
K. Eden, The Renaissance Rediscovery of Intimacy, Chicago 2012, pp. 40; 62.
P. Hadot, What Is Ancient Philosophy? (tr. M. Chase), Cambridge-London 2002.
B. Inwood, Reading Seneca: Stoic Philosophy at Rome, Oxford 2005.
G. Lotito, Suum esse: forme dell’interiorità senecana, Bologna 2001, pp. 15-20.
G. Maurach, Der Bau von Senecas Epistulae morales, Heidelberg 1970.
H. Mutschmann, Seneca und Epikur, Hermes 50 (1915), pp. 321-356.
A. Ornella, Rileggendo le prime due lettere di Seneca, Paideia 43 (1988), 196–201
S. Paschoal, Tradução da carta de Sêneca sobre a diversidade na leitura, Trama 3 (2007), pp. 195-200.
W. Plankl, Zweckmäßige Lektüre. Senecas epist. 2, neu übertragen, Gymnasium 64 (1957), pp. 446-448.
Ch. Richardson-Hay, First Lessons: Book 1 of Seneca’s Epistulae Morales. A Commentary, Bern 2006, pp. 147-164.
K. Schöpsdau, Seneca über den rechten Umgang mit Büchern, RhM 148 (2005), pp. 94-102.
M. von Albrecht, Klassikerlektüre in therapeutischer Sicht, Senecas zweiter Brief an Lucilius, in F. Decreus – C. Deroux (Hrsg.), Hommages à J. Veremans, Brüssel 1986, pp. 1-10. Id., Wort und Wandlung. Senecas Lebenskunst, Leiden/Boston 2004, pp. 24-33.
L’ha ribloggato su Il blog di Mauro Vetriani.
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