di Satyricon di Petronio, a cura di V. CIAFFI, Torino 19672, pp. 168-173 (testo latino, trad. e note); cfr. Gaio Petronio, Satyricon, a cura di M. Scarsi, pref. G. CHIARINI, con testo a fronte, Firenze 1996, pp. 82-85 (trad.)
[61, 1] Postquam ergo omnes bonam mentem bonamque valitudinem sibi optarunt, [2] Trimalchio ad Nicerotem respexit, et «Solebas – inquit – suavius esse in convictu; nescio quid nunc taces nec muttis. Oro te, sic felicem me videas, narra illud quod tibi usu venit». [3] Niceros delectatus affabilitate amici «Omne me – inquit – lucrum transeat, nisi iam dudum gaudimonio dissilio, quod te talem video. [4] Itaque hilaria mera sint, etsi timeo istos scholasticos, ne me rideant. Viderint, narrabo tamen. Quid enim mihi aufert, qui ridet? Satius est rideri quam derideri». [5] «Haec ubi dicta dedit», talem fabulam exorsus est:
[6] «Cum adhuc servirem, habitabamus in Vico Angusto; nune Gavillae domus est. Ibi, quomodo dii volunt, amare coepi uxorem Terentii coponis; noveratis Melissam Tarentinam, pulcherrimum bacciballum. [7] Sed ego non mehercules corporaliter aut propter res venerias curavi, sed magis quod benemoria fuit. [8] Si quid ab illa petii, nunquam mihi negatum; fecit assem, semissem habui; in illius sinum demandavi, nec unquam fefellitus sum. [9] Huius contubernalis ad villam supremum diem obiit. Itaque per scutum per ocream egi aginavi, quemadmodum ad illam pervenirem; nam, ut aiunt, in angustiis amici apparent.
[62, 1] Forte dominus Capuae exierat ad scruta scita expedienda. [2] Nactus ego occasionem persuadeo hospitem nostrum, ut mecum ad quintum miliarium veniat. Erat autem miles, fortis tanquam Orcus. [3] Apoculamus nos circa gallicinia; luna lucebat tanquam meridie. [4] Venimus intra monimenta: homo meus coepit ad stelas facere; sedeo ego cantabundus et stelas numero. [5] Deinde ut respexi ad comitem, ille exuit se et omnia vestimenta secundum viam posuit. Mihi anima in naso esse; stabam tanquam mortuus. [6] At ille circumminxit vestimenta sua, et subito lupus factus est. Nolite me iocari putare; ut mentiar, nullius patrimonium tanti facio. [7] Sed, quod coeperam dicere, postquam lupus factus est, ululare coepit et in silvas fugit. [8] Ego primitus nesciebam ubi essem; deinde accessi, ut vestimenta eius tollerem; illa autem lapidea facta sunt. Qui mori timore nisi ego? [9] Gladium tamen strinxi, et – matavitatan – umbras cecidi, donec ad villam amicae meae pervenirem. [10] In larvam intravi, paene animam ebullivi, sudor mihi per bifurcum volabat, oculi mortui; vix unquam refectus sum. [11] Melissa mea mirari coepit, quod tam sero ambularem, et “Si ante – inquit – venisses, saltem nobis adiutasses; lupus enim villam intravit et omnia pecora tanquam lanius sanguinem illis misit. Nec tamen derisit, etiam si fugit; servus enim noster lancea collum eius traiecit”. [12] Haec ut audivi, operire oculos amplius non potui, sed luce clara Gai nostri domum fugi tanquam copo compilatus; et postquam veni in illum locum, in quo lapidea vestimenta erant facta, nihil inveni nisi sanguinem. [13] Ut vero domum veni, iacebat miles meus in lecto tanquam bovis, et collum illius medicus curabat. Intellexi illum versipellem esse, nec postea cum illo panem gustare potui, non si me occidisses. [14] Viderint quid de hoc alii exopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam».

[61, 1] Dopo che tutti a questo punto ebbero fatto un brindisi per la buona salute della mente e del corpo, [2] Trimalcione si rivolse a Nicerote, e osservò: «Di solito tu a tavola eri più allegro. Va’ a capire perché oggi te ne stai muto e non fiati. Ti prego, se vuoi vedermi contento, racconta ciò che ti è successo». [3] Nicerote, lusingato dalla gentilezza dell’amico, esclamò: «Che mi scappi ogni affare, se già non schiatto di gioia a vederti così! [4] Su dunque, pensiamo solo a star allegri, anche se ho paura che ‘sti sapientoni ridano di me. Ma si mettano comodi, io racconterò lo stesso. Che ci perdo qualcosa a far ridere? Meglio far ridere che farsi deridere». [5] Pronunciate tali parole, attaccò questa storia:
[6] «Quando ero ancora un servo, si abitava in Vico Stretto; oggi è la casa di Gavilla. Lì, come gli dèi vogliono, incominciai a farmela con la moglie di Terenzio, l’oste; ricorderete Melissa di Taranto, la splendida cicciona. [7] Io però, per Ercole, non ero mica per il fisico, o per farci l’amore, che mi interessavo a lei, ma perché aveva un buon carattere. [8] Se le chiedevo qualcosa, non mi diceva mai di no; se guadagnava un soldo, mezzo soldo era per me; lo depositavo nel suo seno, e non sono mai rimasto fregato. [9] Il suo compagno morì mentre stava in campagna. Allora io sudai le proverbiali sette camicie per trovare il modo di arrivare da lei; infatti, come dicono, è nel momento del bisogno che si vedono gli amici.
[62, 1] Il caso volle che il mio padrone fosse andato a Capua per smerciarvi il meglio delle sue cianfrusaglie. [2] Colgo al volo l’occasione e convinco un nostro ospite ad accompagnarmi fino al quinto miglio. Si trattava di un soldato, forte come l’Orco. [3] Leviamo le chiappe verso il canto del gallo; c’era una luna che sembrava mezzogiorno. [4] Arriviamo in mezzo a un cimitero: il mio uomo si mette a farla tra le tombe, io mi siedo canticchiando e mi metto a contare le lapidi. [5] Poi mi volto verso il mio compare e vedo che quello è lì che si sveste e depone tutti gli abiti sul ciglio della strada. Mi sentivo il cuore in gola; stavo immobile come fossi morto. [6] Quello allora si mise a pisciare tutto intorno ai vestiti e di colpo si trasformò in lupo. Non pensate che stia scherzando; non mentirei per tutto l’oro del mondo. [7] Ma, come stavo dicendo, una volta diventato lupo, incominciò a ululare e sparì nella boscaglia. [8] Io sulle prime non capivo più dove fossi; poi mi avvicinai ai suoi abiti per prenderli; ma quelli erano diventati di pietra. Chi non poté morire di paura se non io stesso? [9] Tuttavia strinsi la mano alla spada, e, abracadabra, andai infilzando le ombre, finché non raggiunsi la tenuta della mia amica. [10] Entrai che parevo uno spettro, a momenti schiattavo, il sudore mi colava tra le chiappe e avevo gli occhi di un morto; ce ne volle per riprendermi. [11] La mia Melissa dapprima si meravigliò perché ero ancora in giro a quell’ora, e fece: “Se arrivavi un po’ prima, almeno ci davi una mano; un lupo si è introdotto nella fattoria e da vero macellaio ci ha sgozzato tutte le bestie. Però non l’ha fatta franca, anche se è riuscito a fuggire, ché un nostro servo gli ha trapassato il collo con la lancia”. [12] A sentir questo, non potei più a chiuder occhio e sul far del giorno, via di corsa alla casa del nostro Gaio, come un oste rapinato; e una volta che giunsi in quel posto, dove gli abiti erano diventati pietra, non altro trovai altro che sangue. [13] Come poi tornai a casa trovai il mio soldato stravaccato sul letto come un bue, mentre il medico gli curava il collo. Compresi che era un lupo mannaro e da allora in poi non sarei più riuscito a dividere il pane con lui, nemmeno se mi avessero ammazzato. [14] Gli altri al riguardo la pensino come vogliono. Quanto a me, se mento, possano i vostri numi tutelari stramaledirmi».
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Bibliografia di approfondimento:
H.J. de Jonge, Pétrone 62, 9, Mnemosyne 24 (1971), pp. 401-402.
M. Gusso, Streghe, folletti e lupi mannari nel Satyricon di Petronio, CVRS 3 (1997), pp. 97-117.
S.M. Miller, Werewolves and “Ghost Words” in Petronius: mata vita tau, CPh 37 (1942), pp. 319-321.
M. Rissanen, The Hirpi Sorani and the Wolf Cults of Central Italy, Arctos 46 (2012), pp. 115-135.
M. Schuster, Der Werwolf und die Hexen. Zwei Schauenmürchen bei Petronius, WS 48 (1930), pp. 149-178.
Utilissimo approfondimento, grazie per averlo condiviso…
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Dear readers,
I’m glad to recommend you the English version of the same text:
https://sententiaeantiquae.com/2018/10/27/a-ghost-story-from-petronius-for-werewolf-week/
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