
La vittoria dell’Eurimedonte (470/69), riportata da Cimone, aveva garantito ad Atene la supremazia nell’Egeo e l’aveva indotta a una politica aggressiva, che trovò espressione nell’intervento in Egitto, in soccorso del principe libico Inaro, figlio del faraone Psammetico, ribelle al re persiano Artaserse (Thuc. I 104; 109-110; Hdt. III 12; VII 7). La spedizione iniziò probabilmente nel 462/1 e terminò dopo sei anni, nel 456/5; sulle prime la campagna egiziana fu coronata da successo, ma poi gli Ateniesi, assediati nell’isola di Prosopitide sul Nilo, subirono una pesante sconfitta e la flotta di 50 navi, giunta a supporto, fu distrutta. Allora nel 451 gli Ateniesi intrapresero una nuova spedizione contro Cipro, sotto la guida di Cimone, che nel frattempo era rientrato in patria dall’esilio decennale previsto dall’ostracismo; tuttavia, durante l’assedio di Cizio, egli morì colpito da un’epidemia che si era diffusa tra i soldati e gli Ateniesi, privi del loro comandante, decisero di ritirarsi: lasciata l’isola, comunque, al largo delle sue coste, gli Ateniesi si scontrarono con la flotta del Re e, nonostante fossero in inferiorità numerica, riportarono un’importante vittoria.
Diodoro Siculo (XII 4, 4-6) riferisce al 449 la conclusione di un accordo di non interferenza fra Atene e l’Impero persiano, che una tradizione, assai impugnata sia nell’antichità sia in epoche più recenti, ha chiamato «pace di Callia». Callia, figlio di Ipponico e cognato di Cimone, era stato inviato dalla città come ambasciatore a Susa presso re Artaserse (cfr. Hdt. VII 151). Nel 343 il retore Demostene (Or. XIX 273, Sulla falsa ambasceria) offre la prima testimonianza della conclusione della celebre «pace»: il messo ateniese, tuttavia, ritornato in patria, fu sottoposto a processo per corruzione e costretto a pagare una multa di 50 talenti. Vari autori del IV secolo, come Lisia (Or. II 56-57) e Platone (Menex. 241d-242a), però, quando accennano a questo trattato, non menzionano l’ambasciatore. Gli storici Callistene (FGrHist. 124 F 16) e Teopompo di Chio (FGrHist. 115 F 153-154) ritenevano che la «pace di Callia» fosse un falso della propaganda ateniese (cfr. Isocr. Paneg. 117-120; Areop. 80; Panath. 59). Le clausole, riferite diversamente dalle fonti (Lycurg. Leocr. 73; Plut. Cim. 13, 4-5), chiudevano ai Persiani l’accesso all’Egeo, vietando loro di doppiare via mare Capo Chelidonia a sud e le isole Cianee a nord, e interdicendo all’esercito terrestre di avvicinarsi alla costa occidentale dell’Anatolia a una distanza inferiore a tre giorni di marcia; in cambio di ciò, gli Ateniesi si ripromettevano di non attaccare il territorio soggetto all’autorità del Grande Re (Thuc. VIII 56, 4). Gli Ateniesi avrebbero addirittura fatto redigere i termini dell’accordo su pietra e avrebbero dedicato un altare a Eirene («Pace»).
È assai probabile che non si arrivò mai, nella forma, a un vero e proprio trattato di pace bilaterale. Anche perché, di solito, i Re dei Re iranici erano soliti stipulare trattati unilaterali: di conseguenza, risulta più verosimile che si sia trattato di un accordo de facto, con il quale le parti, entrambe alle prese con altri problemi – gli Ateniesi con i conflitti provocati dalla rottura con Sparta, i Persiani con le rivolte che insidiavano l’unità della loro potenza –, ritennero opportuno sospendere le ostilità. A ogni modo, per Atene fu un indubbio successo, ma la fine della guerra contro la Persia ebbe una grave conseguenza: svuotò definitivamente di significato la Lega delio-attica, riducendola agli occhi degli stessi alleati a uno strumento di oppressione imperialistica. Lo dimostra un passo tucidideo del discorso dei Mitilenesi, ribelli ad Atene diversi anni dopo, nel 427, accolti in ambasceria a Sparta (Thuc. III 10, 3-4): «Diventammo loro alleati non per rendere i Greci asserviti agli Ateniesi, ma per liberarli dai Persiani […]. Ma quando ci accorgemmo che trascuravano l’ostilità verso i Persiani e impegnarsi a rendere schiavi gli alleati, non eravamo più senza timore» (ξύμμαχοι μέντοι ἐγενόμεθα οὐκ ἐπὶ καταδουλώσει τῶν Ἑλλήνων Ἀθηναίοις, ἀλλ’ ἐπ’ ἐλευθερώσει ἀπὸ τοῦ Μήδου τοῖς Ἕλλησιν. […] ἐπειδὴ δὲ ἑωρῶμεν αὐτοὺς τὴν μὲν τοῦ Μήδου ἔχθραν ἀνιέντας, τὴν δὲ τῶν ξυμμάχων δούλωσιν ἐπαγομένους, οὐκ ἀδεεῖς ἔτι ἦμεν).
![calamide. ritratto di elpinice, moglie di callia, in veste di «afrodite sosandra» - [Καλ]λίας [ἀνέ]θ](https://studiahumanitatispaideia.files.wordpress.com/2017/04/calamide.-ritratto-di-elpinice-moglie-di-callia-in-veste-di-«afrodite-sosandra»-Καλλίας-ἀνέθ.jpg?w=809)
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[…] Questi ultimi avevano preso Colofone nel 430; ma Atene aveva rinnovato nel 424, con Dario II, il trattato ‘di Callia’ con un altro che prende nome da Epilico, l’ambasciatore ateniese (zio materno dell’oratore […]
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