La pace di Callia

Cefisodoto il Vecchio. Irene e Pluto. Statua, copia romana in marmo da originale del 375 a.C. ca dall'Agorà di Atene. München, Glyptothek.
Cefisodoto il Vecchio. Irene e Pluto. Statua, copia romana in marmo da originale del 375 a.C. ca dall’Agorà di Atene. München, Glyptothek.

La vittoria dell’Eurimedonte (470/69), riportata da Cimone, aveva garantito ad Atene la supremazia nell’Egeo e l’aveva indotta a una politica aggressiva, che trovò espressione nell’intervento in Egitto, in soccorso del principe libico Inaro, figlio del faraone Psammetico, ribelle al re persiano Artaserse (Thuc. I 104; 109-110; Hdt. III 12; VII 7). La spedizione iniziò probabilmente nel 462/1 e terminò dopo sei anni, nel 456/5; sulle prime la campagna egiziana fu coronata da successo, ma poi gli Ateniesi, assediati nell’isola di Prosopitide sul Nilo, subirono  una pesante sconfitta e la flotta di 50 navi, giunta a supporto, fu distrutta. Allora nel 451 gli Ateniesi intrapresero una nuova spedizione contro Cipro, sotto la guida di Cimone, che nel frattempo era rientrato in patria dall’esilio decennale previsto dall’ostracismo; tuttavia, durante l’assedio di Cizio, egli morì colpito da un’epidemia che si era diffusa tra i soldati e gli Ateniesi, privi del loro comandante, decisero di ritirarsi: lasciata l’isola, comunque, al largo delle sue coste, gli Ateniesi si scontrarono con la flotta del Re e, nonostante fossero in inferiorità numerica, riportarono un’importante vittoria.

Diodoro Siculo (XII 4, 4-6) riferisce al 449 la conclusione di un accordo di non interferenza fra Atene e l’Impero persiano, che una tradizione, assai impugnata sia nell’antichità sia in epoche più recenti, ha chiamato «pace di Callia». Callia, figlio di Ipponico e cognato di Cimone, era stato inviato dalla città come ambasciatore a Susa presso re Artaserse (cfr. Hdt. VII 151). Nel 343 il retore Demostene (Or. XIX 273, Sulla falsa ambasceria) offre la prima testimonianza della conclusione della celebre «pace»: il messo ateniese, tuttavia, ritornato in patria, fu sottoposto a processo per corruzione e costretto a pagare una multa di 50 talenti. Vari autori del IV secolo, come Lisia (Or. II 56-57) e Platone (Menex. 241d-242a), però, quando accennano a questo trattato, non menzionano l’ambasciatore. Gli storici Callistene (FGrHist. 124 F 16) e Teopompo di Chio (FGrHist. 115 F 153-154) ritenevano che la «pace di Callia» fosse un falso della propaganda ateniese (cfr. Isocr. Paneg. 117-120; Areop. 80; Panath. 59). Le clausole, riferite diversamente dalle fonti (Lycurg. Leocr. 73; Plut. Cim. 13, 4-5), chiudevano ai Persiani l’accesso all’Egeo, vietando loro di doppiare via mare Capo Chelidonia a sud e le isole Cianee a nord, e interdicendo all’esercito terrestre di avvicinarsi alla costa occidentale dell’Anatolia a una distanza inferiore a tre giorni di marcia; in cambio di ciò, gli Ateniesi si ripromettevano di non attaccare il territorio soggetto all’autorità del Grande Re (Thuc. VIII 56, 4). Gli Ateniesi avrebbero addirittura fatto redigere i termini dell’accordo su pietra e avrebbero dedicato un altare a Eirene («Pace»).

È assai probabile che non si arrivò mai, nella forma, a un vero e proprio trattato di pace bilaterale. Anche perché, di solito, i Re dei Re iranici erano soliti stipulare trattati unilaterali: di conseguenza, risulta più verosimile che si sia trattato di un accordo de facto, con il quale le parti, entrambe alle prese con altri problemi – gli Ateniesi con i conflitti provocati dalla rottura con Sparta, i Persiani con le rivolte che insidiavano l’unità della loro potenza –, ritennero opportuno sospendere le ostilità. A ogni modo, per Atene fu un indubbio successo, ma la fine della guerra contro la Persia ebbe una grave conseguenza: svuotò definitivamente di significato la Lega delio-attica, riducendola agli occhi degli stessi alleati a uno strumento di oppressione imperialistica. Lo dimostra un passo tucidideo del discorso dei Mitilenesi, ribelli ad Atene diversi anni dopo, nel 427, accolti in ambasceria a Sparta (Thuc. III 10, 3-4): «Diventammo loro alleati non per rendere i Greci asserviti agli Ateniesi, ma per liberarli dai Persiani […]. Ma quando ci accorgemmo che trascuravano l’ostilità verso i Persiani e impegnarsi a rendere schiavi gli alleati, non eravamo più senza timore» (ξύμμαχοι μέντοι ἐγενόμεθα οὐκ ἐπὶ καταδουλώσει τῶν Ἑλλήνων Ἀθηναίοις, ἀλλ’ ἐπ’ ἐλευθερώσει ἀπὸ τοῦ Μήδου τοῖς Ἕλλησιν. […] ἐπειδὴ δὲ ἑωρῶμεν αὐτοὺς τὴν μὲν τοῦ Μήδου ἔχθραν ἀνιέντας, τὴν δὲ τῶν ξυμμάχων δούλωσιν ἐπαγομένους, οὐκ ἀδεεῖς ἔτι ἦμεν).

calamide. ritratto di elpinice, moglie di callia, in veste di «afrodite sosandra» - [Καλ]λίας [ἀνέ]θ
Calamide. Ritratto di Elpinice, moglie di Callia, in veste di «Afrodite Sosandra». Paus. I 23, 2; Luc. D.Meretr. 3, 2; imag. 6; IG I³ 876). Busto, copia in marmo di età romana. Paris, Musée du Louvre.

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