da Apollonio Rodio, Argonautica III 90-110 (testo greco ed. G.W. Mooney, London 1912); commento da adattamento di I. BIONDI, Storia e antologia della letteratura greca, 3. L’ellenismo e la tarda grecità, Firenze 2004, pp. 292-295.
Per realizzare il suo piano affinché Giasone conquisti il vello d’oro con l’aiuto di Medea, che costerà agli inconsapevoli protagonisti angosce e sofferenze, e tutta presa dal desiderio di vendicarsi di Pelia, Hera coinvolge Atena e Afrodite. Proprio quest’ultima collabora con la moglie di Zeus con la sorridente fatuità di una bella donna, compiaciuta di vedere una potente rivale, già sconfitta al tempo del giudizio di Paride, costretta a umiliarsi una seconda volta, per chiederle aiuto. Hera, pertanto, richiede l’intervento di Eros, e ciò offre ad Apollonio Rodio lo spunto per una sorridente scenetta. Non appena Afrodite sente pronunciare il nome del figlio, eccola recitare la parte della madre apprensiva, incapace di farsi obbedire da un bambino capriccioso e dispettoso, con il quale non servono più né lusinghe né rimproveri; quell’impudente è giunto perfino a mancarle di rispetto, minacciandola! Tuttavia, dietro l’apparente frivolezza delle parole della dea – rappresentata come una signora dell’alta società che a salotto si sfoga con le proprie amiche – si nasconde un tema molto più alto e drammatico: quello dell’incontrollabilità dell’amore, alla cui potenza non può resistere nessuno, nemmeno il padre degli dèi. Una così terribile forza sta per essere scatenata per soddisfare il puntiglio di una dea e la vanità di un’altra.
ὧς ἄρ᾽ ἔφη· Κύπρις δὲ μετ᾽ ἀμφοτέρῃσιν ἔειπεν· 90
‘Ἥρη, Ἀθηναίη τε, πίθοιτό κεν ὔμμι μάλιστα,
ἢ ἐμοί. ὑμείων γὰρ ἀναιδήτῳ περ ἐόντι
τυτθή γ᾽ αἰδὼς ἔσσετ᾽ ἐν ὄμμασιν· αὐτὰρ ἐμεῖο
οὐκ ὄθεται, μάλα δ᾽ αἰὲν ἐριδμαίνων ἀθερίζει.
καὶ δή οἱ μενέηνα, περισχομένη κακότητι, 95
αὐτοῖσιν τόξοισι δυσηχέας ἆξαι ὀιστοὺς
ἀμφαδίην. τοῖον γὰρ ἐπηπείλησε χαλεφθείς,
εἰ μὴ τηλόθι χεῖρας, ἕως ἔτι θυμὸν ἐρύκει,
ἕξω ἐμάς, μετέπειτά γ᾽ ἀτεμβοίμην ἑοῖ αὐτῇ.’
ὧς φάτο· μείδησαν δὲ θεαί, καὶ ἐσέδρακον ἄντην 100
ἀλλήλαις. ἡ δ᾽ αὖτις ἀκηχεμένη προσέειπεν·
‘ἄλλοις ἄλγεα τἀμὰ γέλως πέλει· οὐδέ τί με χρὴ
μυθεῖσθαι πάντεσσιν· ἅλις εἰδυῖα καὶ αὐτή.
νῦν δ᾽ ἐπεὶ ὔμμι φίλον τόδε δὴ πέλει ἀμφοτέρῃσιν,
πειρήσω, καί μιν μειλίξομαι, οὐδ᾽ ἀπιθήσει.’ 105
ὧς φάτο· τὴν δ᾽ Ἥρη ῥαδινῆς ἐπεμάσσατο χειρός,
ἦκα δὲ μειδιόωσα παραβλήδην προσέειπεν·
‘οὕτω νῦν, Κυθέρεια, τόδε χρέος, ὡς ἀγορεύεις,
ἔρξον ἄφαρ· καὶ μή τι χαλέπτεο, μηδ᾽ ἐρίδαινε
χωομένη σῷ παιδί· μεταλλήξει γὰρ ὀπίσσω.’ 110

Così disse; e Cipride rispose a entrambe:
«Hera, Atena, mio figlio darebbe ascolto piuttosto a voi due,
che a me: infatti, per quanto sia un impudente, avrà pure
negli occhi un briciolo di riguardo per voi; ma di me
non se ne avvede e, provocandomi sempre, non mi rispetta.
Ho perfino pensato, piena di rabbia per la sua cattiveria,
di fargli a pezzi in faccia le sue maledette frecce e l’arco.
Mi ha scagliato tali minacce, tutto incollerito! Se non tenevo
le mani lontane, mentre ancora controllava la furia,
poi avrei dovuto prendermela con me stessa!».
Così parlò; e le dee sorrisero, scambiandosi una complice
occhiata l’una con l’altra. Ed ella, di nuovo, imbronciata, riprese:
«I miei dolori sono per gli altri motivo di riso, e non bisogna
che io li racconti a tutti; è sufficiente che li sappia io.
Ora, poiché questa cosa vi è cara ad entrambe,
proverò ad addolcirlo, e non mi disobbedirà!».
Così disse; ed Hera le prese la mano delicata
e, sorridendo dolcemente, la rassicurò:
«Citerea, questa azione che dici, compila subito;
e non adirarti, non metterti a litigare, sdegnata,
con tuo figlio: infatti, prima o poi, vedrai che cambierà!».
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Bibliografia:
P.G. LENNOX, Apollonius, Argonautica 3, 1 ff. and Homer, Hermes 108 (1980), 45-73.
T.D. PAPANGHELIS, A. RENGAKOS (eds.), A Companion to Apollonius Rhodius, Leiden-Boston-Köln 2001.
M.-L.B. PENDERGRAFT, Eros Ludens: Apollonius’ Argonautica 3, 132-41, MD 25 (1991), 95-102.
G. ZANKER, The Love Theme in Apollonius Rhodius’ Argonautica, WS 92 (1979), 52-75.