Ecateo e i sacerdoti egizi (Hdt. II 142-144)

di ERODOTO, Storie, volume primo (libri I-II), a cura di F. CÀSSOLA, A. IZZO D’ACCINI, D. FAUSTI, Milano 2008, pp. 484-487; commento di M. CAVALLI, Introduzione a APOLLONIO, Biblioteca, Milano 1998, p. IV.

Racconta Erodoto che un giorno lo storico Ecateo, durante una dotta discussione con i sapientissimi sacerdoti egiziani di Tebe, si vantò di discendere da un dio nella persona del suo sedicesimo antenato. I sacerdoti si guardarono l’un l’altro sorridendo: credeva dunque, quel Greco ingenuo e spocchioso, che bastassero cinquecento anni o poco più, perché un essere mutasse radicalmente la propria natura? Con la consueta gentilezza, invitarono allora Ecateo a entrare nel tempio, e gli mostrarono una grande meraviglia, trecentoquarantacinque colossi di legno raffiguranti ognuno un sommo sacerdote, la cui carica era da sempre trasmessa di padre in figlio. Neppure uno di essi, gli spiegarono, era mai stato un dio o un eroe: troppo pochi undicimila anni – lontano, davvero lontano e insondabile il tempo in cui l’essere era passibile di trasformazioni, e la materia del mondo e della vita ancora si muoveva verso forme cangianti.

Titolatura in geroglifico del Gran sacerdote di Ptah (wr-ḫrp-ḥmwt, «il più Grande dei Maestri degli Artigiani»).

[142, 1] ἐς μὲν τοσόνδε τοῦ λόγου Αἰγύπτιοί τε καὶ οἱ ἱρέες ἔλεγον, ἀποδεικνύντες ἀπὸ τοῦ πρώτου βασιλέος ἐς τοῦ Ἡφαίστου τὸν ἱρέα τοῦτον τὸν τελευταῖον βασιλεύσαντα μίαν τε καὶ τεσσεράκοντα καὶ τριηκοσίας γενεὰς ἀνθρώπων γενομένας, καὶ ἐν ταύτῃσι ἀρχιερέας καὶ βασιλέας ἑκατέρους τοσούτους γενομένους. [2] καίτοι τριηκόσιαι μὲν ἀνδρῶν γενεαὶ δυνέαται μύρια ἔτεα· γενεαὶ γὰρ τρεῖς ἀνδρῶν ἑκατὸν ἔτεα ἐστί· μιῆς δὲ καὶ τεσσεράκοντα ἔτι τῶν ἐπιλοίπων γενεέων, αἳ ἐπῆσαν τῇσι τριηκοσίῃσι, ἐστὶ τεσσεράκοντα καὶ τριηκόσια καὶ χίλια ἔτεα. [3] οὕτω ἐν μυρίοισί τε ἔτεσι καὶ χιλίοισι καὶ τριηκοσίοισί τε καὶ τεσσεράκοντα ἔλεγον θεὸν ἀνθρωποειδέα οὐδένα γενέσθαι· οὐ μέντοι οὐδὲ πρότερον οὐδὲ ὕστερον ἐν τοῖσι ὑπολοίποισι Αἰγύπτου βασιλεῦσι γενομένοισι ἔλεγον οὐδὲν τοιοῦτο. [4] ἐν τοίνυν τούτῳ τῷ χρόνῳ τετράκις ἔλεγον ἐξ ἠθέων τὸν ἥλιον ἀνατεῖλαι· ἔνθα τε νῦν καταδύεται, ἐνθεῦτεν δὶς ἐπαντεῖλαι, καὶ ἔνθεν νῦν ἀνατέλλει, ἐνθαῦτα δὶς καταδῦναι. καὶ οὐδὲν τῶν κατ᾽ Αἴγυπτον ὑπὸ ταῦτα ἑτεροιωθῆναι, οὔτε τὰ ἐκ τῆς γῆς οὔτε τὰ ἐκ τοῦ ποταμοῦ σφι γινόμενα, οὔτε τὰ ἀμφὶ νούσους οὔτε τὰ κατὰ τοὺς θανάτους.

[142, 1] Fino a questo punto del racconto parlavano Egiziani e sacerdoti, dimostrando che dal primo re a questo sacerdote di Efesto [sc. Setone], che per ultimo regnò, ci furono 341 generazioni di uomini, e durante queste ci furono sommi sacerdoti e re, entrambi in egual numero. [2] Ora, 300 generazioni di uomini comprendono 10.000 anni, perché tre generazioni umane sono 100 anni, e delle 41 generazioni ancora restanti, che furono oltre le 300, gli anni sono 1.340. [3] Così affermavano che in 11.340 anni[1] non ci fu nessun dio in forma umana e che mai era avvenuto fra gli altri Egiziani che divennero re niente di simile. [4] Dicevano che in questo periodo di tempo, per quattro volte, il Sole si spostò dalla sua sede, che da dove ora tramonta sorse due volte, e due volte viceversa. In questo periodo niente in Egitto subì mutamenti, né di ciò che proviene loro dalla terra, né di quel che proviene dal fiume, né per quel che riguarda le malattie e le morti.

Ptah. Bassorilievo, stucco, IV-III sec. a.C. (Periodo Tardo – Periodo tolemaico).

 

[143, 1] πρότερον δὲ Ἑκαταίῳ τῷ λογοποιῷ ἐν Θήβῃσι γενεηλογήσαντί τε ἑωυτὸν καὶ ἀναδήσαντι τὴν πατριὴν ἐς ἑκκαιδέκατον θεὸν ἐποίησαν οἱ ἱρέες τοῦ Διὸς οἷόν τι καὶ ἐμοὶ οὐ γενεηλογήσαντι ἐμεωυτόν· [2] ἐσαγαγόντες ἐς τὸ μέγαρον ἔσω ἐὸν μέγα ἐξηρίθμεον δεικνύντες κολοσσοὺς ξυλίνους τοσούτους ὅσους περ εἶπον· ἀρχιερεὺς γὰρ ἕκαστος αὐτόθι ἱστᾷ ἐπὶ τῆς ἑωυτοῦ ζόης εἰκόνα ἑωυτοῦ· [3] ἀριθμέοντες ὦν καὶ δεικνύντες οἱ ἱρέες ἐμοὶ ἀπεδείκνυσαν παῖδα πατρὸς ἑωυτῶν ἕκαστον ἐόντα, ἐκ τοῦ ἄγχιστα ἀποθανόντος τῆς εἰκόνος διεξιόντες διὰ πασέων, ἕως οὗ ἀπέδεξαν ἁπάσας αὐτάς. [4] Ἑκαταίῳ δὲ γενεηλογήσαντι ἑωυτὸν καὶ ἀναδήσαντι ἐς ἑκκαιδέκατον θεὸν ἀντεγενεηλόγησαν ἐπὶ τῇ ἀριθμήσι, οὐ δεκόμενοι παρ᾽ αὐτοῦ ἀπὸ θεοῦ γενέσθαι ἄνθρωπον· ἀντεγενεηλόγησαν δὲ ὧδε, φάμενοι ἕκαστον τῶν κολοσσῶν πίρωμιν ἐκ πιρώμιος γεγονέναι, ἐς ὃ τοὺς πέντε καὶ τεσσεράκοντα καὶ τριηκοσίους ἀπέδεξαν κολοσσούς πίρωμιν ἐπονομαζόμενον,καὶ οὔτε ἐς θεὸν οὔτε ἐς ἥρωα ἀνέδησαν αὐτούς. πίρωμις δὲ ἐστὶ κατὰ Ἑλλάδα γλῶσσαν καλὸς κἀγαθός.

[143, 1] In precedenza, con Ecateo il logografo che a Tebe esponeva la sua genealogia e ricollegava la sua discendenza paterna a un dio come sedicesimo antenato, i sacerdoti di Zeus agirono nello stesso modo che con me, che pure non avevo esposto la mia genealogia: [2] fattomi entrare all’interno di un tempio[2], mi enumeravano, mostrandomeli, dei colossi di legno, tanti quanti ho detto[3]. In quel luogo ogni sommo sacerdote, durante la vita, colloca la propria statua. [3] Contandoli, dunque, e additandoli, i sacerdoti mi dimostrarono che ciascuno di essi era figlio di un padre compreso fra quelli stessi, a partire da quello morto più recentemente fino al primo, me li mostrarono tutti. [4] Ma a Ecateo, che aveva esposto la propria genealogia e si ricollegava a un dio come sedicesimo antenato, contrapposero le loro genealogie sulla base dei numeri, non accettando che un uomo possa nascere da un dio. Così gli opposero le loro genealogie, affermando che ognuno di quei colossi era un «piromi»[4], nato da un «piromi», fino a che gli ebbero mostrato tutti i 345 colossi, e non li collegavano né a un dio né a un eroe. «Piromi» equivale in greco a «uomo eccellente».

Erodoto. Busto, copia romana del II sec. d.C. da originale greco della prima metà del IV sec. a.C. da Athribis (od. Benha, Basso Egitto). New York, Metropolitan Museum of Art.

 

[144, 1] ἤδη ὦν τῶν αἱ εἰκόνες ἦσαν, τοιούτους ἀπεδείκνυσαν σφέας πάντας ἐόντας, θεῶν δὲ πολλὸν ἀπαλλαγμένους. [2] τὸ δὲ πρότερον τῶν ἀνδρῶν τούτων θεοὺς εἶναι τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ ἄρχοντας, οὐκ ἐόντας ἅμα τοῖσι ἀνθρώποισι, καὶ τούτων αἰεὶ ἕνα τὸν κρατέοντα εἶναι· ὕστατον δὲ αὐτῆς βασιλεῦσαι ὦρον τὸν Ὀσίριος παῖδα, τὸν Ἀπόλλωνα Ἕλληνες ὀνομάζουσι· τοῦτον καταπαύσαντα Τυφῶνα βασιλεῦσαι ὕστατον Αἰγύπτου. Ὄσιρις δὲ ἐστὶ Διόνυσος κατὰ Ἑλλάδα γλῶσσαν.

[144, 1] Mi dimostrarono, dunque, che tali erano tutti quelli ai quali appartenevano le immagini, e ben differenti dagli dèi. [2] Ma mi dissero che, prima di questi uomini, quelli che dominavano in Egitto erano dèi, abitavano insieme agli uomini e di essi sempre uno solo aveva il potere. Per ultimo, dopo aver rovesciato Tifone[5], regnò sull’Egitto Oro, figlio di Osiride, che i Greci chiamano Apollo. Osiride, poi, in lingua greca è Dioniso.

 

***

Note:

[1] Il totale di 11.340, stando agli stessi dati erodotei non è esatto, poiché sommando 341 generazioni, calcolate ciascuna della durata di 33 anni e ⅓, si ottiene 11.366 e ⅔ anni.

[2] Si tratta del complesso monumentale di Karnak.

[3] Cioè 341 (cap. 142, 1), ma alla fine del cap. 143 si dice che Ecateo, che visitò l’Egitto quattro generazioni dopo Setone, ne vide 345; perciò, Erodoto dovette vedere un numero maggiore di colossi.

[4] Pi-romi vuol dire in egiziano «l’uomo».

[5] Cioè Seth, l’uccisore di Osiride.

6 pensieri su “Ecateo e i sacerdoti egizi (Hdt. II 142-144)

  1. Leggendo questo brano, mi è tornata in mente una cosa: Eusebio, parlando di Manetone, afferma come i mitologici sovrani predinastici, ” Shemsu-Hor” avessero avuto un regno complessivo della durata di 13.900 anni, numero simile a quello che appare nel Papiro di Torino, ossia 13.400 anni. Rileggendo il racconto di Erodoto, ho l’impressione, che l’episodio non sia un’invenzione, ma una testimonianza, distorta ovviamente dalle differenze linguistiche e culturali, di come i sacerdoti egizi “rileggessero” in chiave simbolica e mitica le Dinastie 0 e 00. Stesso fenomeno che li portò a interpretare la tomba di Djer, uno dei primi faraoni, come quella di Osiride… Potrebbe essere valida, come suggestione ?

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