Un omicidio premeditato (Antiph. Per avvelenamento, contro la matrigna I 14-20)

di di I. BIONDI, Storia e antologia della letteratura greca. 2.B. La prosa e le forme di poesia, Messina-Firenze 2004, pp. 205-207.

Questa orazione, la più antica di Antifonte, tratta un caso di omicidio premeditato. Colui che ha intentato il processo è il figlio naturale (o, forse, di primo letto) di un cittadino ateniese di cui non si conosce il nome, morto per avvelenamento in circostanze poco chiare. Il defunto era amico di un certo Filoneo, un ricco commerciante, proprietario di una schiava (o forse di una donna libera, ma meteca e forestiera, sulla quale deteneva ogni potere giuridico) sua concubina, ma che egli cedeva volentieri anche agli amici. La moglie del defunto, i cui rapporti con il marito erano peggiorati a con il passare del tempo, era divenuta amica della donna di Filoneo, la quale, ovviamente, teneva in gran conto questa dimostrazione di benevolenza da parte di una moglie legittima, a lei socialmente e giuridicamente superiore. La poveretta, accortasi che Filoneo si era stancato di lei e che meditava di collocarla in una casa di piacere, si era confidata con l’amica; quest’ultima, scorgendo nello stato di cose che si era venuto a creare la possibilità di sbarazzarsi senza rischi del marito, aveva consegnato alla donna una fiala di veleno, facendole credere che si trattasse di un potente filtro d’amore. Poiché suo marito stava per partire per uno dei suoi viaggi d’affari ed era stato invitato a pranzo da Filoneo, che doveva celebrare un sacrificio proprio al Pireo, la perfida moglie consigliò alla credula concubina, incaricata di servire i due, di versare il «filtro» nel vino di entrambi. La donna, ignara, obbedì nell’intento di riconquistare il favore del proprio padrone; purtroppo, Filoneo, appena ingerita la bevanda, rimase fulminato, mentre il padre dell’accusatore, che aveva ricevuto una dose più leggera, morì dopo venti giorni, avendo così tutto il tempo per informare il figlio della trama di cui era stato vittima e di fargli giurare che l’avrebbe vendicato. In ottemperanza alla promessa fatta al padre, il giovane citò la matrigna di fronte al tribunale dell’Areopago – quello che si occupava appunto dei casi di omicidio premeditato (φόνος ἐκ προνοίας); ma, poiché ci è giunta solo l’orazione di accusa, non sappiamo quale sia stato l’esito del processo.

Stele funeraria di Egesò. Marmo, 420 a.C. ca. La donna e l’ancella. Necropoli del Dipylon.

 

[14] ὑπερῷόν τι ἦν τῆς ἡμετέρας οἰκίας, ὃ εἶχε Φιλόνεως ὁπότ᾽ ἐν ἄστει διατρίβοι, ἀνὴρ καλός τε κἀγαθὸς καὶ φίλος τῷ ἡμετέρῳ πατρί· καὶ ἦν αὐτῷ παλλακή, ἣν ὁ Φιλόνεως ἐπὶ πορνεῖον ἔμελλε καταστῆσαι. ταύτην οὖν [πυθομένη] ἡ μήτηρ τοῦ ἀδελφοῦ ἐποιήσατο φίλην. [15] αἰσθομένη δ᾽ ὅτι ἀδικεῖσθαι ἔμελλεν ὑπὸ τοῦ Φιλόνεω, μεταπέμπεται, καὶ ἐπειδὴ ἦλθεν, ἔλεξεν αὐτῇ ὅτι καὶ αὐτὴ ἀδικοῖτο ὑπὸ τοῦ πατρὸς τοῦ ἡμετέρου· εἰ οὖν ἐθέλει πείθεσθαι, ἔφη ἱκανὴ εἶναι ἐκείνῃ τε τὸν Φιλόνεων φίλον ποιῆσαι καὶ αὑτῇ τὸν ἐμὸν πατέρα, εἶναι φάσκουσα αὑτῆς μὲν τοῦτο εὕρημα, ἐκείνης δ᾽ ὑπηρέτημα. [16] ἠρώτα οὖν αὐτὴν εἰ ἐθελήσει διακονῆσαί οἱ, καὶ ἣ ὑπέσχετο τάχιστα, ὡς οἶμαι. μετὰ ταῦτα ἔτυχε τῷ Φιλόνεῳ ἐν Πειραιεῖ ὄντα ἱερὰ Διὶ Κτησίῳ, ὁ δὲ πατὴρ ὁ ἐμὸς εἰς Νάξον πλεῖν ἔμελλεν. κάλλιστον οὖν ἐδόκει εἶναι τῷ Φιλόνεῳ τῆς αὐτῆς ὁδοῦ ἅμα μὲν προπέμψαι εἰς τὸν Πειραιᾶ τὸν πατέρα τὸν ἐμὸν φίλον ὄντα ἑαυτῷ, ἅμα δὲ θύσαντα τὰ ἱερὰ ἑστιᾶσαι ἐκεῖνον. [17] ἡ οὖν παλλακὴ τοῦ Φιλόνεω ἠκολούθει τῆς θυσίας ἕνεκεν. καὶ ἐπειδὴ ἦσαν ἐν τῷ Πειραιεῖ, οἷον εἰκός, ἔθυεν. καὶ ἐπειδὴ αὐτῷ ἐτέθυτο τὰ ἱερά, ἐντεῦθεν ἐβουλεύετο ἡ ἄνθρωπος ὅπως ἂν αὐτοῖς τὸ φάρμακον δοίη, πότερα πρὸ δείπνου ἢ ἀπὸ δείπνου. ἔδοξεν οὖν αὐτῇ βουλευομένῃ βέλτιον εἶναι μετὰ δεῖπνον δοῦναι, τῆς Κλυταιμνήστρας ταύτης [τῆς τούτου μητρὸς] ταῖς ὑποθήκαις ἅμα διακονοῦσαν. [18] καὶ τὰ μὲν ἄλλα μακρότερος ἂν εἴη λόγος περὶ τοῦ δείπνου ἐμοί τε διηγήσασθαι ὑμῖν τ᾽ ἀκοῦσαι· ἀλλὰ πειράσομαι τὰ λοιπὰ ὡς ἐν βραχυτάτοις ὑμῖν διηγήσασθαι, ὡς γεγένηται ἡ δόσις τοῦ φαρμάκου. ἐπειδὴ γὰρ ἐδεδειπνήκεσαν, οἷον εἰκός, ὁ μὲν θύων Διὶ Κτησίῳ κἀκεῖνον ὑποδεχόμενος, ὁ δ᾽ ἐκπλεῖν τε μέλλων καὶ παρ᾽ ἀνδρὶ ἑταίρῳ αὑτοῦ δειπνῶν, σπονδάς τ᾽ ἐποιοῦντο καὶ λιβανωτὸν ὑπὲρ αὑτῶν ἐπετίθεσαν. [19] ἡ δὲ παλλακὴ τοῦ Φιλόνεω τὴν σπονδὴν ἅμα ἐγχέουσα ἐκείνοις εὐχομένοις ἃ οὐκ ἔμελλε τελεῖσθαι, ὦ ἄνδρες, ἐνέχει τὸ φάρμακον. καὶ ἅμα οἰομένη δεξιὸν ποιεῖν πλέον δίδωσι τῷ Φιλόνεῳ, ἴσως ‹ὡς›, εἰ δοίη πλέον, μᾶλλον φιλησομένη ὑπὸ τοῦ Φιλόνεω· οὔπω γὰρ ᾔδει ὑπὸ τῆς μητρυιᾶς τῆς ἐμῆς ἐξαπατωμένη, πρὶν ἐν τῷ κακῷ ἤδη ἦν· τῷ δὲ πατρὶ τῷ ἡμετέρῳ ἔλασσον ἐνέχει. [20] καὶ ἐκεῖνοι ἐπειδὴ ἀπέσπεισαν, τὸν ἑαυτῶν φονέα μεταχειριζόμενοι ἐκπίνουσιν ὑστάτην πόσιν. ὁ μὲν οὖν Φιλόνεως εὐθέως παραχρῆμα ἀποθνῄσκει, ὁ δὲ πατὴρ ὁ ἡμέτερος εἰς νόσον ἐμπίπτει, ἐξ ἧς καὶ ἀπώλετο εἰκοσταῖος. ἀνθ᾽ ὧν ἡ μὲν διακονήσασα καὶ χειρουργήσασα ἔχει τὰ ἐπίχειρα ὧν ἀξία ἦν, οὐδὲν αἰτία οὖσα — τῷ γὰρ δημοκοίνῳ τροχισθεῖσα παρεδόθη — , ἡ δ᾽ αἰτία τε ἤδη καὶ ἐνθυμηθεῖσα ἕξει, ἐὰν ὑμεῖς τε καὶ οἱ θεοὶ θέλωσιν.

 

Pierre-Narcise Guérin, Clitemnestra esita dall’uccidere Agamennone nel sonno. Olio su tela, 1817. Paris, Musée du Louvre.

 

La nostra casa aveva un appartamento al piano di sopra, nel quale, quando si trovava in città, abitava Filoneo, ottima persona e amico di mio padre; egli possedeva una concubina, che aveva intenzione di collocare in una casa di piacere. La madre di mio fratello se la fece amica. Venuta a sapere da lei dell’ingiuria che stava per subire da Filoneo, la mandò a chiamare e, quando giunse, le confidò che anch’ella riceveva dei torti da nostro padre; e aggiunse che, se voleva darle ascolto, aveva il mezzo per far sì che Filoneo fosse di nuovo innamorato, e anche mio padre di lei stessa, sua moglie, affermando che lo stratagemma era suo, ma che l’esecuzione toccava a lei. Le domandava, dunque, se fosse disposta a collaborare e quella – credo – accettò subito. In seguito, accadde che Filoneo celebrasse un sacrificio in onore di Zeus Ctesio al Pireo, mentre mio padre stava per partire per Nasso. Dunque, a Filoneo sembrò un’ottima idea sia accompagnare mio padre, che era suo amico, al porto per la stessa strada, sia, dopo aver terminato il sacrificio, invitarlo a pranzo da lui. Dopo che egli ebbe immolato le vittime, la donna si domandava se dovesse propinare loro il farmaco prima o dopo il pranzo. Dopo aver riflettuto, le sembrò che fosse meglio darlo dopo pranzo, seguendo le inclinazioni di quella Clitemnestra, madre di costui[1]! Sarebbe un discorso troppo lungo per me descrivere tutti i particolari del banchetto e per voi stare ad ascoltarli; cercherò, invece, di spiegarvi il più brevemente possibile il resto, ovvero come avvenne la somministrazione del veleno. Dopo che ebbero desinato, come era normale, l’uno sacrificando a Zeus Ctesio e l’altro pranzando in casa di un amico, sul punto di imbarcarsi, tutti e due facevano libagioni e gettavano incenso sull’altare, perché tutto andasse loro bene. La concubina di Filoneo, mentre versava il vino a loro che pregavano per cose che non si sarebbero mai realizzate, o giudici, vi mesceva il veleno. E contemporaneamente, credendo di fare una cosa geniale, ne diede di più a Filoneo – forse perché era convinta che se gliene avesse somministrato di più, sarebbe stata amata maggiormente dal suo uomo! Non sapeva, infatti, di essere stata ingannata dalla mia matrigna, prima di trovarsi ormai coinvolta nella sciagura; a nostro padre, invece, ne diede una dose minore. Ed essi, dopo aver libato, reggendo in mano la coppa che li avrebbe assassinati, fecero la loro ultima bevuta. Filoneo morì istantaneamente; nostro padre, invece, fu colto da una malattia per la quale spirò dopo venti giorni. In conseguenza di ciò, la complice ha avuto il compenso del quale era degna, benché non fosse responsabile di niente – infatti, dopo essere stata torturata sulla ruota, fu consegnata al carnefice – mentre la vera colpevole che premeditò e compì il delitto, lo avrà, se voi e gli dèi lo vorrete.

Pittore di Colmar. Simposiaste e musico. Pittura vascolare dal tondo di una kylix attica a figure rosse, 490 a.C. ca., da Vulci. Paris, Musée du Louvre.

 

Un delitto al femminile | Dal passo preso in esame, tratto dalla parte centrale della διήγησις, il «racconto dei fatti», emerge con particolare risalto la vicenda della concubina di Filoneo, dalla quale possiamo ricavare varie informazioni sulla condizione femminile. Nel delitto sono coinvolte due donne, una di condizione libera e moglie legittima di un mercante, l’altra schiava o forse meteca o straniera e, quindi, giuridicamente sotto la potestà di Filoneo. Quest’ultimo, dopo averla tenuta con sé per un certo tempo come παλλακή, «concubina fissa» e convivente, essendosene stancato, aveva intenzione di collocarla in un postribolo. Un simile comportamento non era inconsueto, perché questa sistemazione offriva un duplice vantaggio: da un lato, si liberava la casa da una presenza divenuta fastidiosa, dall’altro, si realizzava un guadagno, perché il tenutario della casa doveva versare al padrone della donna – o a colui che esercitava su di lei il potere giuridico – il denaro ricevuto dai clienti, dopo averne detratte le spese per il mantenimento, somma che, in genere, veniva fissata al momento della cessione. Sebbene la condizione di una concubina potesse essere dura, era certamente migliore di quella di una prostituta venduta a un bordello; si spiega così come la donna fosse pronta ad accettare l’invito di colei che riteneva una protettrice importante e benevola, nella speranza di riconquistare l’amore del suo padrone. In questo modo, l’oratore dà risalto alla perfidia della matrigna, la quale, non osando rischiare di persona, “sporcandosi le mani”, si serve della donna di Filoneo, ben sapendo che quell’ingenua, se fosse stata scoperta, sarebbe stata giustiziata (come, infatti, accadde!), perché il diritto attico sanciva la pena capitale per lo schiavo o lo straniero che, anche involontariamente, avesse causato la morte di un cittadino ateniese. Pertanto, la subdola donna, che l’accusatore indica con il nome di “Clitemnestra”, la moglie assassina per antonomasia, volendo vendicarsi una volta per tutte dei torti subiti dal marito, si serve dell’arma di una falsa solidarietà femminile, sicura di ottenere l’effetto voluto. E, infatti, la concubina, non sospettando di essere crudelmente aggirata – anzi, grata a colei che le ha dimostrato tanta comprensione, dall’alto del suo status di sposa legittima, libera e cittadina – si affretta a eseguire il comando ricevuto, mandandolo a effetto con l’aggiunta di un minimo di iniziativa personale. Infatti, convinta che la posizione ricevuta sia veramente un filtro d’amore, ne versa una dose massiccia nella coppa di Filoneo, per essere più sicura del risultato, che, in effetti, non si fa attendere, anche se in modo ben diverso da quello previsto. Per la povera donna, ormai non può esserci nient’altro se non la tortura e il carnefice. Tuttavia, l’amico di Filoneo sopravvive abbastanza per denunciare la vera mandante del delitto e per tentare di ristabilire così la giustizia. Noi non conosciamo l’esito del processo, ma poiché esso fu celebrato di fronte all’Areopago, dovette risolversi con un’assoluzione o con una condanna a morte, poiché questo tribunale – il più antico e rispettato di Atene – non emetteva sentenze intermedie.

Pittore anonimo. Clitemnestra cerca di svegliare le Erinni dormienti. Dettaglio da un cratere a campana apulo a figure rosse, 380-370 a.C. ca. da Armento. Paris, Musée du Louvre.

 

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Bibliografia:

E. Eidinow, Envy, Poison, and Death. Women on Trial in Classical Athen, Oxford 2016.

M. Gagarin, The Torture of Slaves in Athenian Law, CPh 91 (1996), 1-18.

W.T. Loomis, The Nature of Premeditation in Athenian Homicide Law, JHS 92 (1972), 86-95.

L. Pepe, Processo a un’avvelenatrice. La prima orazione di Antifonte, Index 40 (2012), 131-145.

R. Sealey, The Athenian Courts for Homicide, CPh 78 (1983), 275-296.

C. Varias García, La venjança del pare davant els tribunals en el Contra la madrastra d’Antifont, Faventia 20 (1998), 27-31.

V. Wohl, A Tragic Case of Poisoning: Intention Between Tragedy and the Law, TAPhA 140 (2010), 33-70.

***

Note:

[1] Il fratellastro di colui che ha sporto denuncia.

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