Le notizie sulla vita di Mimnermo sono piuttosto scarse e non prive di contraddizioni; incerto è anche il periodo in cui visse. Se si vogliono accettare le indicazioni del lessico 𝑆𝑢𝑑𝑎, egli sarebbe nato a Colofone, città ionica dell’Asia Minore, a nord-ovest di Efeso, al tempo della XXXVII Olimpiade e cioè negli anni fra il 632 e il 629 a.C.; secondo altre fonti, più attendibili, Mimnermo sarebbe stato contemporaneo di Simonide di Amorgo e nato a Smirne, colonia di Colofone, verso la metà del VII secolo a.C.
Porfirione, nel suo commento a Orazio (Pᴏʀᴘʜ. 𝐻𝑜𝑟. 𝑐𝑜𝑚𝑚. 𝑒𝑝𝑖𝑠𝑡. II 2, 101 p. 399 Holder), attesta che la produzione superstite di Mimnermo circolasse divisa in due libri, mentre sono noti da altre fonti due titoli, la 𝑆𝑚𝑖𝑟𝑛𝑒𝑖𝑑𝑒 (Σμυρνῃίς), sulla storia di Smirne e della colonizzazione ionica, e la 𝑁𝑎𝑛𝑛𝑜́ (Ναννώ), dal nome dell’omonima etera amata dal poeta. Non è chiaro a quel di questi due componimenti alluda Callimaco di Cirene allorché, nel proemio degli 𝐴𝑖𝑡𝑖𝑎 (fr. 1, 11-11 Pfeiffer) contrappone la μεγάλη γυνή («grande donna») alle κατὰ λεπτόν [sc. ῥήσιες] («poesie alla spicciolata»), né come si possa conciliare la notizia sui due libri con questa raccolta di componimenti (che potrebbero essere stati in seguito intitolati 𝑁𝑎𝑛𝑛𝑜́ sul modello della 𝐿𝑦𝑑𝑒 di Antimaco di Colofone).
Che il poeta fosse originario di Smirne troverebbe conferma nel fatto che la tradizione attribuisse a Mimnermo l’esteso poema elegiaco, la 𝑆𝑚𝑖𝑟𝑛𝑒𝑖𝑑𝑒, relativo alla lotta fra gli Smirnei e il vicino regno di Lidia, al tempo di re Gige (cfr. Pᴀᴜs. IX 29, 4). Il componimento conteneva un complesso proemio rivolto alle Muse, nel quale non solo si ricordava il recente passato ma forse anche la fondazione della città stessa. Apparteneva probabilmente alla 𝑆𝑚𝑖𝑟𝑛𝑒𝑖𝑑𝑒 un breve frammento (fr. 14 W²), riportato da Stobeo (III 7, 11) senza indicazione dell’opera di provenienza, in cui è descritta la prodezza di un combattente che si era segnalato nel respingere sulla piana dell’Ermo, intorno al 670/60 a.C., l’esercito lidio che muoveva contro Smirne. Alcuni studiosi hanno supposto che il personaggio fosse un antenato dello stesso Mimnermo, il cui nome Μίμνερμος significa appunto «Colui che resiste al fiume Ermo» (dal verbo μίμνειν, «resistere»); in questo caso, l’elegia avrebbe forse avuto, oltre che un valore storico, anche un carattere parenetico, come i versi di Callino e di Tirteo, inserendosi così nel quadro di questo genere letterario, caratteristico della Ionia arcaica.

οὐ μὲν δὴ κείνου γε μένος καὶ ἀγήνορα θυμὸν
τοῖον ἐμέο προτέρων πεύθομαι, οἵ μιν ἴδον
Λυδῶν ἱππομάχων πυκινὰς κλονέοντα φάλαγγας
Ἕρμιον ἂμ πεδίον, φῶτα φερεμμελίην·
τοῦ μὲν ἄρ’ οὔ ποτε πάμπαν ἐμέμψατο Παλλὰς Ἀθήνη
δριμὺ μένος κραδίης, εὖθ’ ὅ γ’ ἀνὰ προμάχους
σεύαιθ’ αἱματόεν‹τος ἐν› ὑσμίνηι πολέμοιο,
πικρὰ βιαζόμενος δυσμενέων βέλεα·
οὐ γάρ τις κείνου δηίων ἔτ’ ἀμεινότερος φὼς
ἔσκεν ἐποίχεσθαι φυλόπιδος κρατερῆς
ἔργον, ὅτ’ αὐγῆισιν φέρετ’ ὠκέος ἠελίοιο.
Non la forza di quello né l’animo gagliardo
quale io vengo a sapere dagli antenati, i quali lo videro
volgere in fuga le fitte falangi dei Lidii che combattono sui carri,
nella piana dell’Ermo, lui, uomo armato di lancia.
Pallade Atena non rimproverò mai la dura
tempra del suo cuore, quando, in prima fila,
si slanciava nella mischia della guerra sanguinosa,
opponendosi con forza agli amari dardi dei nemici;
nessun uomo più valente di quello ci fu, a compiere
contro gli avversari gesta di violenta mischia,
quando irrompeva, sotto i raggi del rapido Sole.
Come si è accennato, oltre alla 𝑆𝑚𝑖𝑟𝑛𝑒𝑖𝑑𝑒, Mimnermo avrebbe composto un’altra raccolta di versi intitolata 𝑁𝑎𝑛𝑛𝑜́, dal nome della flautista amata dal poeta. Nonostante il nome della donna non compaia in nessuno dei frammenti superstiti, l’affermazione di Ermesianatte che Mimnermo «ardeva [d’amore] per Nannó» (καίετο μὲν Ναννοῦς, fr. 7, 37 Powell = Aᴛʜᴇɴ. 13 597f = Pʜᴏᴛ. 𝐵𝑖𝑏𝑙. 319b, 11) suggerisce che la donna avesse una certa familiarità con il poeta; ancora Ermesianatte, nel medesimo componimento, riporta che Nannó «spesso messa la bocca al venerando / 𝑎𝑢𝑙𝑜́𝑠, faceva baldoria con Essamia» (πολιῷ δ’ ἐπὶ πολλάκι λωτῷ / κημωθεὶς κώμους εἶχε σὺν Ἐξαμύῃ, fr. 7, 37-38 Powell). Al di là di questa tradizione di età alessandrina, le citazioni dalla 𝑁𝑎𝑛𝑛𝑜́ coprono svariati argomenti, con incursioni nel mito e nella storia. Fra i brani riportati dagli antichi come provenienti da quest’opera è quello inserito nel racconto della celebre impresa di Giasone, la conquista del vello d’oro appartenente al re della Colchide, Eeta (fr. 12 W²). Poiché il sovrano era figlio di Helios, il Sole, di notte ospitava il dio nella sua reggia, perché vi riposasse. Dopo aver percorso il cielo durante il giorno, giunto all’estremo Occidente, il Sole si coricava in una barca d’oro, lasciandosi trasportare dalla corrente dell’Oceano. Il fiume primordiale, che cingeva il disco della Terra con le sue acque, lo riportava a Oriente, fino al palazzo di Eeta, dove il Sole, in una stanza tutta d’oro, attendeva l’alba, per aggiogare di nuovo al carro i suoi fiammeggianti cavalli e portare al mondo la luce di un nuovo giorno.
Ἠέλιος μὲν γὰρ πόνον ἔλλαχεν ἤματα πάντα,
οὐδέ ποτ’ ἄμπαυσις γίνεται οὐδεμία
ἵπποισίν τε καὶ αὐτῶι, ἐπεὶ ῥοδοδάκτυλος Ἠὼς
Ὠκεανὸν προλιποῦσ’ οὐρανὸν εἰσαναβῆι.
τὸν μὲν γὰρ διὰ κῦμα φέρει πολυήρατος εὐνή,
ποικίλη, Ἡφαίστου χερσὶν ἐληλαμένη,
χρυσοῦ τιμήεντος, ὑπόπτερος, ἄκρον ἐφ’ ὕδωρ
εὕδονθ’ ἁρπαλέως χώρου ἀφ’ Ἑσπερίδων
γαῖαν ἐς Αἰθιόπων, ἵνα δὴ θοὸν ἅρμα καὶ ἵπποι
ἑστᾶσ’, ὄφρ’ Ἠὼς ἠριγένεια μόληι·
ἔνθ’ ἐπέβη ἑτέρων ὀχέων Ὑπερίονος υἱός.
Helios ebbe in sorte una fatica quotidiana
e non esiste mai nessun riposo
per lui e per i cavalli, quando l’Aurora dalle rosee dita,
lasciato l’Oceano, sale su nel cielo;
infatti, attraverso le onde lo porta il bellissimo letto,
concavo, forgiato a martello dalle mani di Efesto
d’oro prezioso, alato, a fior d’acqua,
velocemente, mentre dorme, dalla regione delle Esperidi
fino alla terra degli Etiopi, dove attendono il rapido carro
e i cavalli, finché giunga l’Aurora mattutina:
allora, il figlio di Iperione sale sul carro.
D’altra parte, fin dall’antichità (cfr. Pᴏsɪᴅɪᴘ. 𝐴𝑛𝑡ℎ. 𝑃𝑎𝑙. XII 168; Hᴏʀ. 𝐸𝑝𝑖𝑠𝑡. I 6, 65-66; Pʀᴏᴘ. I 9, 11, 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑖𝑛 𝑎𝑚𝑜𝑟𝑒 𝑢𝑎𝑙𝑒𝑡 𝑀𝑖𝑚𝑛𝑒𝑟𝑚𝑖 𝑢𝑒𝑟𝑠𝑢𝑠 𝐻𝑜𝑚𝑒𝑟𝑜) il nome di Mimnermo rimase legato essenzialmente a quella sfera dell’amore e del piacere che trovava il proprio limite invalicabile non tanto nella morte quanto nella squallida vecchiaia. Difatti, le composizioni più apprezzate di Mimnermo furono quelle di carattere soggettivo, in cui la personalità del singolo e le problematiche della vita individuale sembravano prevalere su ogni altro argomento. Queste liriche, come anche quelle di altri poeti della Ionia, suscitano nel lettore moderno l’impressione che, quanto più le esigenze della collettività vincolavano il comportamento dei cittadini al rispetto di normative sociali, tanto più essi avvertissero individualmente il bisogno di una vita privata libera, tesa alla realizzazione di una felicità sensibile, da vivere senza imposizioni esterne e schemi tradizionali.

In conseguenza di ciò, la poesia si aprì a esperienze nuove, improntate a una sensibilità diversa e più personale, volte alla ricerca della gioia, della serenità, del piacere, nella convinzione che la vita fosse del tutto vana e priva di senso senza i godimenti più immediati e sensuali, primi fra tutti quelli della bellezza, della giovinezza e dell’amore. La produzione poetica ispirata a tale ottica esistenziale fu destinata a grande fortuna non solo nel mondo ellenistico, ma anche nella letteratura latina, a partire dai 𝑝𝑜𝑒𝑡𝑎𝑒 𝑛𝑜𝑣𝑖 per giungere fino a Orazio e all’elegia amorosa di Properzio e di Ovidio.
Questi caratteri costituiscono il fondamento dell’opera di Mimnermo, di cui è giunta una quindicina di frammenti piuttosto brevi. Poeta della giovinezza e dell’amore, egli predilesse una poesia fondata sulla riflessione e sul sentimento; il suo ambiente di elezione fu quello esclusivamente maschile del simposio, che gli offriva un’atmosfera e un pubblico particolarmente adatti ad apprezzare tali tematiche. Occorre tuttavia sottolineare, per evitare interpretazioni anacronistiche e sostanzialmente errate, che Mimnermo non si ispirò agli ideali né al genere di vita gaudente di stampo decadentistico: egli intese semplicemente proclamare il diritto dell’individuo a un comportamento personale caratterizzato dalla volontà di godere quanto la vita potesse offrire di lieto e di piacevole e che, proprio per questo, si discostava dall’etica della πόλις. Nacque così una tematica nuova, quella che contrapponeva τὸ ἡδύ, «il dolce», «il piacevole», che scaturisce dalle scelte e dal carattere dell’individuo, e τὸ καλόν, «il bello», sancito dalle regole dell’educazione collettiva.
Tuttavia, nei versi di Mimnermo, all’entusiasmo per la giovinezza, la bellezza, l’amore, non sono estranei una sconsolata rassegnazione e un disperato rimpianto di fronte agli spettri onnipresenti delle malattie, della vecchiaia e della morte, la cui tragica consapevolezza avvelena ogni momento di gioia nel cuore dell’uomo; quanto più esso è intenso, tanto più reca in sé, come un germe distruttore, l’ansia della propria caducità (cfr. frr. 1, 2, 4 e 5 W²). Si comprende così come una scelta, che in apparenza sembra gratificare la libertà individuale in modo pieno e appagante, costi, agli occhi del poeta, un prezzo assai alto: se l’uomo si abbandona al godimento di una felicità immediata e sensibile, deve essere memore dell’estrema caducità di quanto desidera e rassegnarsi, con dolente malinconia, alla breve fragilità di quelle gioie che pure sono le uniche a rendere l’esistenza degna di essere vissuta. Questo tipo di poesia, scaturita da una meditazione sulle fasi dell’esistenza umana in rapporto all’eros (la giovinezza e la vecchiaia rappresentano nella vita le situazioni estreme e contrapposte in relazione all’amore), fu favorita dall’ambiente simposiale, in cui l’età dei partecipanti offriva un quadro differenziato, ponendo sotto gli occhi di Mimnermo vecchiaia e malattia come naturale conclusione dell’età giovanile.
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[…] serenità e il disimpegno tipici del clima simposiale suggerirono a Mimnermo, per contrasto, le tristi immagini dei loro opposti, quasi a voler sottolineare come nell’inizio […]
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[…] Leopardi), costituisce anche il principale motivo di ispirazione e di riflessione del fr. 2 W² di Mimnermo di Colofone (VII-VI sec. a.C.). Il componimento rivela un indubbio debito formale nei confronti […]
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[…] nella moderna letteratura europea. Tra le numerose riprese dell’immagine, quella del poeta lirico Mimnermo (VII-VI secolo a.C.) contiene una significativa innovazione rispetto al modello: mentre nel VI libro […]
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