L’inutilità dell’erudizione fine a se stessa (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 13)

Per Seneca la filologia come studio del linguaggio e come pura e futile ricerca erudita o come esercizio dell’intelletto non ha giustificazione se è divisa dalla filosofia. Perciò, nella sua rassegna degli occupati, coloro che perdono il proprio tempo in faccende di poco conto, egli annovera anche quanti arrancano nella vana fatica di apprendere le vacuità e, così facendo, si allontanano dalla verità. Il filosofo afferma che i Greci, per primi, si dedicarono con passione alla pedanteria: una vera e propria malattia, che ha poi contagiato anche i Romani! Se fine a se stessa, dunque, l’erudizione è totalmente inutile; anche perché una folta messe di nozioni non impedisce a nessuno di commettere gli stessi errori compiuti in passato, non lo rende più forte, più coraggioso o più giusto.

Un letterato nel suo studio. Rilievo, marmo, III-IV sec. d.C. Roma, Museo della Civiltà romana.

Persequi singulos longum est quorum aut latrunculi aut pila aut excoquendi in sole corporis cura consumpsēre uitam. Non sunt otiosi quorum uoluptates multum negotii habent. Nam de illis nemo dubitabit quin operose nihil agant, qui litterarum inutilium studiis detinentur, quae iam apud Romanos quoque magna manus est. Graecorum iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, quae siue contineas nihil tacitam conscientiam iuuant, siue proferas non doctior uidearis sed molestior. Ecce Romanos quoque inuasit inane studium superuacua discendi; his diebus audiui quendam referentem quae primus quisque ex Romanis ducibus fecisset: primus nauali proelio Duilius uicit, primus Curius Dentatus in triumpho duxit elephantos. Etiamnunc ista, etsi ad ueram gloriam non tendunt, circa ciuilium tamen operum exempla uersantur; non est profutura talis scientia, est tamen quae nos speciosa rerum uanitate detineat. Hoc quoque quaerentibus remittamus quis Romanis primus persuaserit nauem conscendere (Claudius is fuit, Caudex ob hoc ipsum appellatus quia plurium tabularum contextus caudex apud antiquos uocatur, unde publicae tabulae codices dicuntur et naues nunc quoque ex antiquā consuetudine quae commeatus per Tiberim subuehunt codicariae uocantur); sane et hoc ad rem pertineat, quod Valerius Coruinus primus Messanam uicit et primus ex familiā Valeriorum, urbis captae in se translato nomine, Messana appellatus est paulatimque uulgo permutante litteras Messala dictus: num et hoc cuiquam curare permittes quod primus L. Sulla in circo leones solutos dedit, cum alioquin alligati darentur, ad conficiendos eos missis a rege Boccho iaculatoribus? Et hoc sane remittatur: num et Pompeium primum in circo elephantorum duodeuiginti pugnam edidisse commissis more proelii noxiis hominibus, ad ullam rem bonam pertinet? Princeps ciuitatis et inter antiquos principes (ut fama tradidit) bonitatis eximiae memorabile putauit spectaculi genus nouo more perdere homines. Depugnant? Parum est. Lancinantur? Parum est: ingenti mole animalium exterantur! Satius erat ista in obliuionem ire, ne quis postea potens disceret inuideretque rei minime humanae. O quantum caliginis mentibus nostris obicit magna felicitas! Ille se supra rerum naturam esse tunc credidit, cum tot miserorum hominum cateruas sub alio caelo natis beluis obiceret, cum bellum inter tam disparia animalia committeret, cum in conspectum populi Romani multum sanguinis funderet mox plus ipsum fundere coacturus; at idem postea Alexandrinā perfidiā deceptus ultimo mancipio transfodiendum se praebuit, tum demum intellectā inani iactatione cognominis sui. Sed, ut illo reuertar unde decessi et in eādem materiā ostendam superuacuam quorundam diligentiam, idem narrabat Metellum, uictis in Siciliā Poenis triumphantem, unum omnium Romanorum ante currum centum et uiginti captiuos elephantos duxisse; Sullam ultimum Romanorum protulisse pomerium, quod numquam prouinciali sed Italico agro adquisito proferre moris apud antiquos fuit. Hoc scire magis prodest quam Auentinum montem extra pomerium esse, ut ille affirmabat, propter alteram ex duabus causis, aut quod plebs eo secessisset aut quod Remo auspicante illo loco aues non addixissent, alia deinceps innumerabilia quae aut farta sunt mendaciis aut similia? Nam ut concedas omnia eos fide bona dicere, ut ad praestationem scribant, tamen cuius ista errores minuent? cuius cupiditates prement? quem fortiorem, quem iustiorem, quem liberaliorem facient? Dubitare se interim Fabianus noster aiebat an satius esset nullis studiis admoueri quam his implicari.

Sarebbe troppo lungo star dietro uno per uno a quanti gli scacchi o il pallone o la cura di abbrustolire il corpo al sole consumarono la propria esistenza. Non sono sfaccendati quelli i cui piaceri costano fatica. Di essi nessuno dubiterà che fatichino a non far nulla, che si perdano in studi inutili, e ce n’è già un bel numero anche fra i Romani. Fu malattia dei Greci questa di ricercare quanti rematori ebbe Ulisse, se fu scritta prima l’Iliade o l’Odissea, e se sono del medesimo autore, e così via altre cose del genere, che, se le tieni per te, non ti serviranno oltre al fatto di saperle, se le pubblichi, non apparirai più colto ma più pedante. Ecco che ha invaso anche i Romani la vana passione di una dottrina superflua. In questi giorni ho ascoltato uno esporre quali cose ogni generale romano è stato il primo a fare: per primo Duilio vinse in una battaglia navale, per primo Curio Dentato condusse degli elefanti in trionfo. E ancora questi dati, anche se non tendono alla vera gloria, tuttavia riguardano esempi di azioni pubbliche; è destinata a non essere di utilità questa conoscenza, ma è tale da interessarci con l’allettevole vanità degli argomenti trattati. Anche questo lasciamolo a chi ne fa ricerca: chi per primo persuase i Romani a salire su una nave – Claudio fu costui, detto Caudice, perché l’insieme di più tavole era chiamata dagli antichi caudex e di qui le tavole delle leggi sono dette “codici”, e ancora ora, per antica consuetudine, le navi che risalgono il Tevere portando approvvigionamenti sono dette “codicarie” –, e abbia pure un suo significato il fatto che Valerio Corvino per primo conquistò Messina e per primo, nella gens Valeria, fu chiamato Messana (e, poco a poco, cambiando il popolo le lettere, fu detto Messalla); ma permetterai che a qualcuno stia a cuore anche questo, e cioè che, per primo, Lucio Silla fece scendere nel Circo i leoni sguinzagliati (mentre fino ad allora erano fatti scendere incatenati), dopo che da re Bocco erano stati mandati dei frombolieri per abbatterli? Anche questo sia concesso; ma anche la notizia che Pompeo per primo fece tenere nel Circo un combattimento di diciotto elefanti, cui erano stati messi a confronto, come per uno scontro, persone innocenti, ottiene qualche utile risultato? Principe della città e fra i principi del tempo antico, come tramandò la fama, uomo di eccezionale bontà, giudicò memorabile genere di spettacolo ammazzare la gente con un sistema mai prima usato: “Combattono all’ultimo sangue? È troppo poco! Sono fatti a pezzi? È troppo poco! Che siano schiacciati dalla mole di quei pachidermi!”. Meglio sarebbe stato che questi fatti fossero caduti nell’oblio, affinché nessun potente, in seguito, li imparasse e provasse invidia per una cosa niente affatto umana! Quanta caligine pone davanti alle nostre menti un grande successo! Egli si credette al di sopra della natura, quando tante folle di disgraziati gettava davanti a bestie nate ad altre latitudini, quando metteva in lotta esseri tanto diseguali, quando faceva versare tanto sangue che gli occhi del popolo romano vedessero (popolo, che presto egli avrebbe costretto a versarne di più!); poi, il medesimo personaggio, ingannato dalla perfidia alessandrina, al più spregevole dei servi si offrì per essere trafitto, solo allora realizzando l’inutile vanteria del proprio appellativo! Ma per tornare là donde son partito, ancora nella medesima materia indicherò la superflua diligenza di certuni: quella medesima persona raccontava che Metello, nel suo trionfo per la vittoria in Sicilia sui Cartaginesi, solo fra tutti i Romani, aveva condotto davanti al suo cocchio centoventi elefanti; che Silla, ultimo fra i Romani, aveva ampliato il pomerium, che presso gli antichi era costume mai allargare per l’acquisizione di territorio provinciale, ma italico. Questo è più utile sapere, che non l’essere il monte Aventino fuori dal pomerium, come egli personalmente affermava, per uno di questi due motivi, o perché la plebe vi si era ritirata oppure perché, quando Remo trasse gli auspici in quel luogo, gli uccelli non gli erano stati favorevoli; e altri dati innumerevoli, che o sono infarciti di bugie o vi assomigliano. Quand’anche tu ammetta che quelli tutto dicono in buona fede, quand’anche scrivano dandone garanzia, tuttavia queste notizie di chi diminuiranno gli errori? I desideri di chi comprimeranno? Chi renderanno più forte, chi più giusto, chi più generoso? Di dubitare a volte il nostro Fabiano affermava, se fosse meglio non accedere a nessuna cultura oppure trovarsi impicciato in questa!

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