Senofane di Colofone

di G. REALE, Il pensiero antico, Milano 2001, 34-36 [testo rielaborato, con bibl. ampliata].

La tematica cosmologica, che aveva caratterizzato la speculazione ionica e in parte quella pitagorica, si trasformò notevolmente con Senofane (Ξενοφάνης). Tradizionalmente costui è stato considerato il fondatore della Scuola eleatica, ma questa è ormai una tesi storiografica superata e i moderni studi tendono a staccare decisamente il Colofonio dai filosofi di Elea. Senofane nacque infatti nella ionica Colofone, probabilmente intorno al 570 a.C. Dai suoi frammenti si ricava che verso i venticinque anni egli dovette emigrare dalla madrepatria (gli studiosi hanno pensato verosimilmente che ciò sia accaduto verso il 545 a.C. a causa della presa del potere nella città di Arpago in nome di re Ciro). Dalla Ionia, dunque, egli passò prima in Sicilia e poi in Italia meridionale, ma continuò per tutta la vita a vagare, cantando le proprie composizioni poetiche. Morì assai vecchio (forse raggiunse e superò i cent’anni!). Fra le sue numerosissime composizioni spiccavano le Elegie e i Silli (Σίλλοι, poesie satiriche). Il pensiero propriamente filosofico forse era contenuto in un poema dottrinale, che viene menzionato nelle fonti antiche con il titolo Della natura (Περὶ ϕύσεως), al quale sono stati assegnati nell’edizione Diels-Kranz diversi frammenti pervenuti. Alcuni studiosi moderni hanno, però, dubitato dell’esistenza di un simile poema dottrinale; può darsi che tale dubbio sia un eccesso di ipercritica.

Anonimo, Senofane di Colofone. Incisione da Thomas Stanley, The History of Philosophy…, 1655.

Il tema di fondo sviluppato nei carmi di Senofane è costituito soprattutto dalla critica a quella concezione degli dèi che era stata fissata in modo paradigmatico da Omero e da Esiodo e che era propria della religione tradizionale e dell’uomo greco in genere. Il filosofo individuò a perfezione l’errore di fondo da cui scaturirono tutte quante le assurdità che erano connesse a tale concezione: questo errore consisteva nell’antropomorfismo, cioè nella convinzione che gli dèi in genere dovessero avere aspetto, forme, sentimenti, tendenze del tutto simili a quelli degli uomini, e solamente più maestosi, più vigorosi, più possenti e, quindi, con differenze puramente quantitative e non qualitative. Al che egli obiettò che «se i buoi, i cavalli e i leoni avessero mani o potessero dipingere e compiere quelle opere che gli uomini fanno con le mani, i cavalli plasmerebbero immagini degli dèi simili ai cavalli, i buoi simili ai buoi, e riprodurrebbero i corpi degli dèi simili all’aspetto che ha ciascuno di essi» (F 21 B 15 D.-K., ἀλλ’ εἰ χεῖρας ἔχον βόες ‹ἵπποι τ’› ἠὲ λέοντες / ἢ γράψαι χείρεσσι καὶ ἔργα τελεῖν ἅπερ ἄνδρες, / ἵπποι μέν θ’ ἵπποισι βόες δέ τε βουσὶν ὁμοίας / καί ‹κε› θεῶν ἰδέας ἔγραφον καὶ σώματ’ ἐποίουν / τοιαῦθ’ οἷόν περ καὐτοὶ δέμας εἶχον ‹ἕκαστοι›).

Leone. Statua, marmo pentelico, IV sec. a.C. da una tomba del Ceramico. Pireo, Museo Archeologico.

Insomma, secondo Senofane, gli immortali non hanno e non possono avere sembianze umane; ma meno ancora è pensabile che essi abbiano costumi umani e, soprattutto, che commettano azioni illecite e nefande, come raccontano i miti (F 21 B 16 D.-K.). È altresì impossibile che gli dèi nascano, perché, se nascessero, necessariamente dovrebbero pure morire; ed è anche impossibile che un dio si muova e se ne vada errando da un posto all’altro, come gli dèi di Omero (F 21 B 11; 14; 26 D.-K.). Infine, i vari fenomeni celesti e terrestri, che le credenze popolari identificavano con le varie divinità, andrebbero spiegati come fenomeni puramente naturali, come, per esempio, l’arcobaleno, che si credeva essere la dea Iris (F 21 B 32 D.-K.). Ecco che la filosofia, a breve distanza dalla sua nascita, mostrava già tutta la sua forza innovatrice: venne a squarciare credenze secolari ritenute saldissime, ma solo perché consustanziale nel modo di pensare e sentire tipicamente ellenico, contestando qualsiasi validità alle medesime; in breve, insomma, rivoluzionò interamente il modo di vedere dell’uomo antico. Dopo le critiche mosse da Senofane, l’uomo occidentale non avrebbe più potuto concepire il divino secondo forme e misure umane.

Ma se le categorie di cui disponeva il Colofonio erano sufficienti per far crollare le fondamenta della concezione antropomorfica degli dèi, erano peraltro insufficienti per determinare positivamente il concetto di divinità stessa. Dopo aver negato con argomenti del tutto adeguati che il divino potesse essere concepito in forme umane, Senofane giunse ad affermare che il dio è il cosmo. Occorreva, però, una ben più lunga elaborazione di categorie speculative perché si giungesse a concepire la divinità non solo come altro dall’uomo, ma altresì come altro dal cosmo.

Pittore della Gigantomachia di Parigi, Poseidone colpisce con il tridente e schiacchia con l’isola di Nisiro il gigante Polibote. Pittura vascolare su kylix attica a figure rosse, 500-450 a.C. Paris, Cabinet des Medailles.

Il F 21 B 23 D.-K. suona così: εἷς θεός, ἔν τε θεοῖσι καὶ ἀνθρώποισι μέγιστος, / οὔτι δέμας θνητοῖσιν ὁμοίιος οὐδὲ νόημα («Un dio, sommo tra gli dèi e gli uomini, né per figura né per pensiero simile ai mortali»). Molto probabilmente il suo significato originario doveva essere il seguente: «L’universo […] è uno, dio, sommo fra gli dèi e gli uomini, né per figura né per pensiero simile ai mortali». Se così fosse, allora il dio di cui parlava Senofane sarebbe un dio-cosmo, che non esclude ma ammette altri dèi o enti divini (siano essi parti o forze del cosmo medesimo, oppure altre cose che dagli scarsi frammenti non si riesce a determinare). E se il dio di Senofane è un dio-cosmo, ben si comprendono le altre affermazioni del filosofo su di lui, assai famose: «Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode» (F 21 B 24 D.-K., οὖλος ὁρᾶι, οὖλος δὲ νοεῖ, οὖλος δέ τ’ ἀκούει); e ancora: «Ma senza fatica, con la forza della mente tutto fa vibrare» (F 21 B 25 D.-K., ἀλλ’ ἀπάνευθε πόνοιο νόου φρενὶ πάντα κραδαίνει). E si capisce anche come vada intesa la negazione del movimento che già si è letta: «Sempre nel medesimo punto egli rimane senza muoversi affatto, né a lui s’addice aggirarsi ora in un posto ora in un altro» (F 21 B 26 D.-K., αἰεὶ δ’ ἐν ταὐτῶι μίμνει κινούμενος οὐδέν / οὐδὲ μετέρχεσθαί μιν ἐπιπρέπει ἄλλοτε ἄλληι).

Tutte affermazioni, queste, che, in base al parametro di lettura che si è indicato, si commentano e spiegano perfettamente: il vedere, udire e pensare, così come la forza che tutto fa vibrare, sono attribuiti al dio, anziché in dimensione umana, in dimensione cosmologica. Dunque, Senofane non era un monoteista, perché parlava tranquillamente di «un dio» e di «dèi», tanto al singolare quanto al plurale, anche perché nessun Greco mai percepì un’antitesi fra monoteismo e politeismo; non era uno spiritualista, perché la sua divinità era il cosmo, e la categoria dello spirituale era al di là dell’orizzonte della sua riflessione.

Filosofo. Affresco, I sec. d.C., dalle Terme dei Sette Sapienti (Ostia).

Senofane non concepì una fisica nel senso degli Ionici né, meno che mai, una fisica delle apparenze in senso parmenideo. Egli pose, come testimoniano alcuni frammenti, la terra come principio del tutto: «Tutto deriva dalla terra e tutto nella terra finisce» (F 21 B 27 D.-K., ἐκ γαίης γὰρ πάντα καὶ εἰς γῆν πάντα τελευτᾶι); in altri egli parlò, invece, di terra e di acqua insieme: «Tutti dalla terra e dall’acqua siamo nati» (F 21 B 33 D.-K., πάντες γὰρ γαίης τε καὶ ὕδατος ἐκγενόμεσθα). Sembra che Senofane con terra (o con terra e acqua) abbia voluto spiegare solamente l’origine degli esseri terrestri e non l’universo intero: pertanto, il suo principio è altra cosa rispetto al principio (ἀρχή) degli Ionici, che intendeva giustificare tutte le cose. D’altra parte, se egli negava che il cosmo fosse nato, mutasse e si muovesse, non era contrario all’idea che i singoli elementi del cosmo nascessero, si muovessero e mutassero; perciò, la sua fisica non può essere assolutamente identificata con la fisica delle apparenze di Parmenide.

Il Colofonio, inoltre, espresse alcune idee morali di alto valore e, in particolare, affermò, combattendo i pregiudizi del suo tempo, la netta superiorità di quelli che oggi si direbbero “valori spirituali”, quali la virtù, l’intelligenza, la sapienza, rispetto ai valori puramente vitali, quali la forza fisica degli atleti. Da quelli la città poteva trarre certamente ordinamenti migliori e felicità maggiore che non da questi (F 21 B 2 D.-K.), ma erano ideali che, per quanto belli, non erano fondati filosoficamente con una riflessione generale sull’uomo stesso: riflessione, questa, che si sarebbe poi vista puntualmente ripresa da Parmenide e da altri filosofi presocratici.

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Bibliografia:

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J. Mansfeld, De Melisso Xenophane Gorgia: Pyrrhonizing Aristotelianism, RhM 131 (1998), 239-276.

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B. Šijakovič, Bibliographia praesocratica: A Bibliographical Guide to the Studies of Early Greek Philosophy in Its Religious and Scientific Contexts, with an Introductory Bibliography on the Historiography of Philosophy, Paris 2001, 460-467.

P. Steinmetz, Xenophanes-studien, RhM 109 (1966), 13-73

M. Untersteiner (ed.), Senofane, testimonianze e frammenti, Firenze 1967².

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