L’eroe dell’Odissea

di A. HEUBECK, Interpretazione dell’Odissea, in Odissea, I (libri I-IV), a cura di S. WEST, trad. it. di G.A. PRIVITERA, Milano 1981, pp. XXXI ss.

Certo è che la figura dell’eroe, quale appare nell’Odissea, è ampiamente caratterizzata da tratti che l’aedo ha mutuato dall’Iliade, dove già si trovano. Lì Odisseo è uno dei re, che con i loro uomini prendono parte alla spedizione punitiva degli Atridi: come gli altri, anch’egli dispone di un considerevole regno, che gli consente di unirsi all’armata degli Achei con una flotta di dodici navi. Il poeta colloca l’eroe tra i più grandi. Quanto a coraggio e a forza in combattimento, Odisseo non è superato quasi da nessuno, se si prescinde da Achille e da Aiace; per astuzia politica e intelligenza strategica egli batte tutti: è l’immagine ideale di un uomo in cui sono unite in splendida armonia tutte le virtù dell’eroismo aristocratico. Ci si può spingere ancora oltre e affermare che questa immagine dell’eroe, nei suoi tratti essenziali, reca l’impronta dell’epica preomerica. Esiste una serie di indizi che fanno capire come Odisseo avesse un posto fisso nell’epos troiano già da tempo: il suo stesso soprannome, già iliadico, di «distruttore di città» (πτολίπορθος) trova una sensata spiegazione solo se si presuppone che già nell’epos preomerico Odisseo fosse colui che con l’astuzia del cavallo di legno aveva reso possibile e realizzato la conquista di Ilio.

Pittore Dolone. Odisseo interroga Tiresia. Lato A di un calyx-krater lucano a figure rosse, IV sec. a.C. Paris, Cabinet des Médailles.

Questo pone un problema. Come si spiega che quest’eroe regale, al quale l’epos omerico e perfino quello precedente avevano assegnato un posto fisso nella galassia degli eroi, agisca poi nell’Odissea, per larghi tratti della storia, in un modo che è separato da quello degli eroi stessi da un profondo e autentico abisso, e sembri possedere lineamenti che lo accostano più a Sindbad il marinaio che non ai suoi nobili compagni di casta e d’armi? Forse l’aedo conosceva e utilizzava una tradizione, parallela a quella epica e indipendente da essa, che aveva preservato un’immagine più antica e originaria? Ma forse è più plausibile un’altra ipotesi.

Alfred Heubeck ritiene possibile che sia stato per primo il poeta dell’Odissea a spedire l’eroe dell’epos troiano, con il suo viaggio avventuroso, nel regno delle favole; ad attribuirgli esperienze che originariamente erano legate ad altre figure, sia a quelle anonime della favola popolare e marinaresca, sia a quelle della poesia preomerica. Che alcuni personaggi e alcune vicende, ora connessi con Odisseo, originariamente fossero propri della saga e della poesia argonautica, è un’ipotesi che la ricerca ha reso quanto mai plausibile.

In tal caso, l’arricchimento della tradizionale immagine dell’eroe con elementi nuovi, che in origine non gli appartenevano, sarebbe opera del cantore odissiaco, e ciò che può averlo indotto a questo passo ardito, forse si potrebbe persino indovinare. A fondamento del poema sta il fatto che a Odisseo sia consentito di rivedere la patria solo molto tardi, anzi quasi troppo tardi: ma solo se Odisseo durante il viaggio verso casa si smarrisce in un mondo dal quale non esiste ritorno tra gli uomini senza l’aiuto divino, diventa comprensibile come la navigazione da Troia a Itaca si dovesse trasformare in una decennale peregrinazione in terre sconosciute e remotissime.

Autore anonimo. Un aedo canta accompagnandosi alla lira. Pittura vascolare su kyklix attica a figure nere, 515 a.C. ca. Wisconsin, Chazen Museum of Art.

Ma le dimensioni con cui con questo viaggio si colloca l’eroe non si estendono soltanto nello spazio e nel tempo. A lui tocca affrontare pericoli che prima nessuno aveva dovuto superare. In questo ritorno gli viene sottratto, a poco a poco, tutto ciò che un tempo gli era appartenuto e gli era caro: così, un lungo cammino lo conduce dalla lotta contro i Ciconi, dov’egli è ancora interamente eroe iliadico, per una dolorosa via fin dove anche l’ultimo relitto dell’antico splendore svanisce, nell’umiliazione e nello scoramento più profondi, fino al punto in cui nemmeno uno dei suoi amici è sopravvissuto, e della flotta una volta così superba non è rimasta che una trave della chiglia della nave ammiraglia.

Ma forse la perdita dello splendore e della forza, del potere e della ricchezza, non è ancora l’esperienza più amara. Un destino inesorabile lo trascina in un mondo in cui le virtù dell’eroismo aristocratico rivelano le loro fragilità, e dove hanno perduto dignità e valore, dove la volontà nobile ed eroica si riduce a vuoto atteggiamento e a ridicolo gesto: il mondo in cui Odisseo si sente protetto è scivolato in una lontananza irraggiungibile ed esiste soltanto nel suo ricordo nostalgico.

Attraverso la rappresentazione epica si scorge la spiritualità del poeta, che è divenuto cosciente della problematicità, della validità limitata, del valore relativo delle norme di vita aristocratica, che erano state per la precedente poesia eroica l’impalcatura di una concezione ideale del mondo, i pilastri di un mondo sacro. È lo spirito di un uomo che alle ardue questioni della vita e dell’esistenza umana ha anche da dare una risposta diversa da quella dei suoi predecessori: mentre questi nella loro poesia avevano contrapposto alla realtà di una vita spesso amara, faticosa e colma di dolore, l’immagine ideale di un mondo fittizio, nel quale valeva la pena di vivere, di combattere e anche di morire; e mentre essi trasportavano gli ascoltatori, per mezzo della parola poetica, dalle difficoltà quotidiane in un irreale mondo di splendore, l’aedo odissiaco smaschera questa immagine ideale in tutta la sua limitatezza, unilateralità e relatività. Certo anch’egli trascina il suo pubblico in un mitico mondo di sogno, ma questo diviene contemporaneamente l’immagine speculare del mondo reale dove l’umanità vive, nel quale dominano bisogno e angoscia, terrore e dolore, e nel quale l’individuo è immerso senza scampo. Tuttavia, il poeta non si arresta a questo amaro riconoscimento e al suo messaggio: vale la pena di vivere in questo mondo reale e di dominare la vita, rispondendo alle sue sfide e costrizioni con l’atteggiamento e con il contegno giusti.

Gruppo del pittore Leagro. Una nave. Pittura vascolare dall’interno di una kylix attica a figure nere, 520 a.C. ca., da Cerveteri. Paris, Cabinet des médailles.

Non che le virtù aristocratiche del coraggio, del valore, del senso dell’onore, della saggezza, della prudenza, in una mutata visione dell’uomo e della sua esistenza, abbiano perduto la loro validità: al contrario. Hanno però bisogno di un’integrazione: la saggezza da sola vale poco, quando non le si unisca un’intelligenza astuta e calcolatrice, e vi sono nella vita minacce e pericoli da cui non ci si può salvare soltanto con il coraggio e il valore, situazioni in cui una rigida adesione alle ideali norme aristocratiche sarebbe stolida e folle, avvenimenti che si possono e si debbono soltanto sopportare con pazienza se non ci si vuole arrendere. Se è tanto bello e attraente indugiare con lo sguardo su una splendida immagine ideale, altrettanto necessario è vedere le cose come sono. Odisseo è l’«eroe» che ha imparato – forse contro voglia, stringendo i denti – a far sua questa nuova concezione e ad affrontare tutto il dolore e la miseria che la vita riserva all’uomo. a ciò lo abilitano virtù che, avendo ancora le radici nel modello aristocratico ma insieme superandolo, includono nuove attitudini, e cioè appunto questa capacità di progettare e di calcolare astutamente, di mascherarsi e di nascondersi, ma anche una capacità, ammirevole e inimmaginabile, di sopportare pazientemente. L’idea così spesso ribadita di Odisseo come modello del navigatore ardito e temerario, dell’avventuriero senza pace che sfida pericoli, dello scopritore curioso per il quale il proprio mondo è diventato troppo piccolo e al quale non bastano mai le esperienze di cose nuove e sconosciute, trova ben poco spazio nell’immagine dell’eroe quale si crede di dover delineare, né coglie in ogni modo l’essenziale.

Non è certo un caso se, accanto alla visione davvero fosca, priva di illusioni, e anzi pessimistica dell’uomo e della sua condizione – primo accordo di una Stimmung che in seguito guadagnerà peso e significato nella lirica greca arcaica –, non manca neppure un elemento di conciliazione e di consolazione. Tutte le fatiche, i dolori e le sventure giungono nell’Odissea a un lieto fine: reduce dal più profondo avvilimento, Odisseo ritrova presso i Feaci sé stesso; chi ha minacciato e distrutto un antico e venerabile ordine riceve in patria la meritata punizione, chi è fedele e timorato degli dèi ha il premio che gli spetta. L’εὐνομία, lo stato in cui ciascuno ha il posto dovuto e può perseguire la propria attività quotidiana in pace e senza pericoli, sparge tutto il suo splendore sopra una terra benedetta. In questa prospettiva conciliatrice, con cui il poeta lascia il suo pubblico, appare sotto una nuova luce anche la movimentata successione di eventi, con tutti i suoi pericoli e le sue umiliazioni, le paure e le atrocità: tale prospettiva è basata sulla fede del poeta, il quale – anche se ha visto con più chiarezza e meno illusioni di altri a quale minaccia l’umanità sia esposta in un mondo crudele – è in grado di inquadrare questa constatazione in una visione più profonda e più comprensiva, fondata su concezioni tradizionali non meno che su uno spirito autonomo e indipendente.

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