La guardia pretoriana di Roma, per la sua particolare funzione di corpo speciale preposto alla difesa della persona del principe, fu più volte protagonista – spesso in maniera determinante e drammatica – delle lotte di successione al trono. Il corpo, costituito da veri e propri professionisti delle armi, rappresentò un formidabile strumento politico di legittimazione e conservazione dell’imperium, dal principato di Ottaviano fino alla grande riforma costantiniana.
I particolari dell’istituzione della guardia pretoriana rimangono a tutt’oggi oscuri: già in epoca repubblicana si ha notizia dell’esistenza di cohortes praetoriae, che consistevano in piccole formazioni scelte di fanteria pesante, preposte alla guardia del praetorium, il quartier generale, e che in battaglia intervenivano a fianco dei comandanti nei momenti più critici. Secondo Festo (Fest. 223 M.), Publio Cornelio Scipione Africano fu il primo condottiero ad aver selezionato «i più coraggiosi» tra i suoi soldati per farne la propria guardia del corpo: questi militari, esentati dalle altre incombenze, godevano di paghe più alte rispetto ai propri colleghi. In età tardo-repubblicana, i potenti imperatores, in lotta fra loro per il potere, disponevano di consistenti corpi di guardia: è noto che, per esempio, Marco Antonio nel 44 a.C. avesse al proprio fianco ben 6.000 uomini.
Non è chiaro dalle fonti se Augusto abbia istituito ufficialmente la milizia dei praetoriani nel 29/8, dopo la vittoria ad Azio, o intorno al 22/1 a.C., a seguito della congiura di Varrone Murena e Fannio Cepione, che aveva seriamente minacciato la vita del principe e la stabilità del suo governo. A ogni modo, è certo che nel 14 d.C., alla morte di Ottaviano, il corpo di difesa speciale era costituito da nove cohortes, ognuna delle quali probabilmente contava 500 uomini (il numero degli effettivi era sicuramente questo nel 76, sotto Vespasiano, come attesta ILS 1993). Per motivi di sicurezza, tre di queste coorti furono poste di stanza a Roma, mentre le altre vennero dislocate in altre città della Penisola. Mentre erano di servizio nell’Urbe, questi militari non indossavano armamenti pesanti, ma portavano lance, scudi e gladi: il loro compito era quello di offrire al princeps un valido strumento di deterrenza per dissuadere eventuali attentatori e per assicurarsi il rispetto delle proprie volontà. Augusto, avendo intuito il potenziale rappresentato da questi uomini armati, per esercitare su di loro il massimo controllo nell’anno 2 d.C. pose al loro comando due praefecti praetorio, carica prestigiosissima, che rappresentava il culmine della carriera equestre. Secondo Cassio Dione (DCass. LIII 11, 5), l’istituzione di queste coorti di guardia rappresentava l’autocrazia dell’imperatore. A partire dall’età flavia (69-96), alla fanteria pretoriana furono aggregati reparti di cavalleria, detti equites singulares Augusti.

Fu Tiberio, nel 23, su consiglio di Lucio Elio Seiano, all’epoca suo unico prefetto del pretorio, a riunire le nove cohortes in un’unica grande caserma appositamente costruita sul colle Viminale, alla periferia dell’Urbe, nota con il nome di castra praetoria: questo provvedimento conferì indubbiamente ai soldati della guardia un maggiore peso politico (Tac. Ann. IV 2; Suet. Tib. 37, 1). Sotto i principi giulio-claudi, le cohortes praetoriae furono portate da nove a dodici (AE 1978, 286); passarono a sedici nel 69 con Vitellio, che ne aumentò i ranghi fino a 1.000 uomini ciascuna (Tac. Hist. II 93, 2), mentre Domiziano (81-96) le riportò a dieci, pur conservando il numero degli effettivi: insomma, in questo modo, il principe poteva disporre soltanto a Roma di una forza militare personale equivalente a circa due legioni.
I pretoriani furono presto coinvolti negli intrighi di palazzo, sebbene ciò fosse dettato più dalle ambizioni dei singoli prefetti, piuttosto che da una reale consapevolezza politica della truppa. Nei momenti cruciali della storia di Roma, essi esercitarono una notevole influenza sugli eventi: nel 41, assassinato Gaio Caligola, furono loro ad acclamare principe Claudio; questi, per ingraziarsi il loro favore, ricompensò ogni soldato della guardia con un donativum di 15.000 sesterzi. Sempre loro portarono alla porpora il giovane Nerone nel 54. I pretoriani ebbero un ruolo determinante anche durante il longus et unus annus, quando la grande caserma tiberiana si trasformò in uno straordinario baluardo strategico nella lotta per il potere (Tac. Ann. XII 69; Tac. Hist. I 36 ss.). Da Traiano in poi, almeno fino sotto agli Antonini, non si ebbero incidenti o interferenze da parte della guardia nelle vicende politiche, a riprova del fatto che quei principes seppero circondarsi di validi collaboratori e di gestire con saggezza e determinazione questo esercito personale.
Tra il 192 e il 193, però, i pretoriani tornarono a far sentire la propria voce, prima prendendo parte alla congiura contro Commodo, poi a quella contro Pertinace, che, sebbene all’inizio avesse ricevuto da loro un incondizionato appoggio, ben presto considerarono tirchio e troppo duro sul piano disciplinare. Quindi, offrirono il loro supporto a Didio Giuliano, che aveva promesso loro un altissimo compenso, ma, rivelatosi incapace, lo abbandonarono subito dopo (SHA Pert. 10-11; SHA Did. 2). Fu Settimo Severo, che, deposto Didio Giuliano e assunto il potere a Roma, dichiaratosi vendicatore di Pertinace, sfogò il suo più profondo risentimento contro le guardie riottose: i pretoriani furono costretti a sfilare disarmati fuori le mura di Roma; al termine dell’umiliazione, l’imperatore ne ordinò l’arresto. Settimio Severo, dunque, decise di ricostituire i corpi di guardia promuovendo i soldati che avevano militato sotto le sue insegne tra le legioni danubiane e accogliendo quelli che si erano distinti tra asiatici e africani. Il numero degli effettivi per coorte fu portato a 1.500 uomini.
Tuttavia, la riforma severiana non mutò il comportamento scomposto e irrefrenabile di questi militari, che si fecero nuovamente sentire nel 238, quando sollevarono una rivolta contro Pupieno, in guerra contro Massimino. Asserragliate nei castra praetoria, le guardie furono assediate da una folla inferocita e armata che tentò di mettere a ferro e fuoco la loro caserma sul Viminale. La sommossa si concluse con l’uccisione di Pupieno e Balbino e con l’acclamazione imperiale del giovane Gordiano III.
Fedeli a Massenzio, i pretoriani combatterono con eroismo nella battaglia di Ponte Milvio (312): il vincitore Costantino, dopo l’ingresso trionfale nell’Urbe, sciolse definitivamente il corpo di guardia e ne fece smantellare l’accampamento.
Sotto Augusto il reclutamento dei pretoriani avveniva su base volontaria: requisito obbligatorio era il possesso della Romana civitas optimo iure. Già con Caligola, comunque, tra gli elenchi delle guardie figuravano alcuni soldati di origine provinciale, che, dietro speciale concessione imperiale, erano trasferiti dai quadri delle legioni stanziate nelle province. Fu soprattutto la riforma severiana a sancire, però, l’esclusiva presenza di elementi extra-italici nelle coorti pretorie.
La protezione della persona del principe e della sua famiglia, all’interno del palazzo come nelle occasioni ufficiali, era il compito principale della guardia, che occupava il posto più prestigioso nelle forze armate di stanza a Roma sia per il numero di privilegi, sia per la paga e la qualità della vita. La durata della militia era di 16 anni, mentre quella dei legionari oscillava tra i 20 e il 25. La paga (stipendium) era la migliore: fissata da Augusto a 500 denarii annui, fu portata a 750 alla fine del I secolo, per raggiungere i 2.500 sotto Caracalla. Allo stipendio fisso andavano poi aggiunte le continue elargizioni degli imperatori (donativa), corrisposte per assicurarsi la fedeltà e il consenso della guarnigione, e i premi conferiti per l’espletamento di incarichi e missioni speciali. Il congedo avveniva regolarmente ogni due anni, in un giorno prestabilito (solitamente il 7 gennaio, anniversario dell’istituzione del principato).

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[…] al figlio maggiore Tito il compito di gestire la rivolta giudaica, fu di ridurre il numero delle coorti pretorie da sedici a nove. La prima preoccupazione del nuovo princeps fu quella di ridimensionale […]
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[…] 77, e nel 79), oltre che nella censura. In via del tutto eccezionale, Vespasiano nominò il figlio praefectus praetorio, funzione che garantì al beneficiato la massima autorità militare nell’Urbe e al padre una […]
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[…] e inoltre vari «intellettuali». Probabilmente per motivi moralistici Marco Aurelio non include le guardie del corpo (che altrove appunto non vede bene nella corte: Τὰ εἰς ἑαυτόν 1, 17) e che sono […]
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