L’anfiteatro Flavio

Anticamente, il Colosseo era noto come amphitheatrum Flavium, dal nome della dinastia che lo fece costruire. Il nome Colysaeus compare per la prima volta in una nota profezia dell’VIII secolo, in forma di epigramma, del monaco anglosassone Beda: Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma; / cum cadet Colyseus cadet et Roma; / cum cadet Roma cadet et mundus (Beda Venerabilis, PL 94, 453, «Fin quando resterà il Colosseo, rimarrà Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà pure il mondo»). Questa denominazione, di origine popolare, deriva dal fatto che nelle vicinanze dell’edificio fu collocato il cosiddetto Colosso, un’imponente statua di Nerone rappresentato come il dio Helios e in seguito dedicata al dio Sole (Plin. NH. XXXIV 45-47; Suet. Nero 31; DCass. LXV 15, 1). Dopo essere giunto al potere, Vespasiano (Suet. Vesp. 11, 1) restituì solennemente al popolo di Roma l’area compresa tra Esquilino, Palatino e Celio, allora occupata dalla Domus Aurea del tiranno; fatto interrare il grande lago artificiale (stagnum), l’imperatore avviò tra il 70 e il 72 i lavori per la costruzione dell’anfiteatro. Nel 1813 fu rinvenuto un blocco marmoreo da reimpiego, che recava ancora i solchi dell’iscrizione dedicatoria, posta su uno degli accessi del monumento: I[mp(erator)] T(itus) Caes(ar) Vespasi[anus Aug(ustus)] / amphitheatru[m novum(?)] / [ex] manubi(i)s [fieri iussit(?)] (CIL VI 40454a2, «L’imperatore Tito Cesare Vespasiano Augusto ordinò di costruire un nuovo anfiteatro dai proventi del bottino»). L’inaugurazione del complesso avvenne, però, sotto Tito, nell’80 (CIL VI 2059, Acta fratrum Arvalium; Suet. Tit. 7, 3; Aur. Vict. Caes. 10, 5). Sotto Domiziano furono portati a termine alcuni lavori supplementari. Alcuni restauri e riparazioni furono effettuati nel corso del II secolo (SHA Anton. Pius 8, 2), mentre una ricostruzione di più ampio respiro fu resa necessaria dai danni causati dall’incendio del 217, innescato da un fulmine (Chron. min. 1, 147 Mommsen = Chronogr. 354, p. 277; DCass. LXXVIII 25, 2-3; SHA Heliogab. 17, 8; SHA Alex. Sev. 24, 3). L’inaugurazione dell’edificio fu celebrata da Tito anche con l’emissione di una serie di tipi monetali, che riportano l’effige del Colosseo (RIC II 113-148); mentre un’altra serie è riferita al completamento dei restauri sotto Gordiano III (SHA Max. Balb. 1, 3-4; Cohen 166: munificentia Gordiani Aug). Altre riparazioni sono registrate per gli anni 250-252 (Isid. Chron. 2, p. 463; Jer. Chron. p. 218; Amm. Marc. IV 10, 14), per il 320 (Cod. Theod. 16, 10), dopo il 442 (CIL VI 32089), il 470 (CIL VI 32091-32092) e verso il 508 (CIL VI 32094).

Roma, Colosseo.

Con un cantiere rimasto aperto per circa un decennio, gli imperatori flavi riuscirono dunque a colmare una grande lacuna monumentale dell’Urbe: l’edificio, eretto su un terreno pianeggiante per una superficie ellittica di 3357 m², è il più grande anfiteatro stabile mai costruito a Roma, dopo due strutture minori di età precedente, ovvero l’anfiteatro di Tito Statilio Tauro († post 16 a.C.) e quello di Caligola (37-41). Lungo l’asse longitudinale l’amphitheatrum Flavium misura 188 m, lungo quello trasversale 156 m; con i suoi quattro piani sovrapposti ha un’altezza di 48,3 m. Cinque ordini di gradinate assicuravano una capienza di circa 50.000 spettatori. Per i costruttori fu relativamente facile gettare le fondamenta, profonde 13 m, nel fondale del precedente lago; queste furono realizzate in calcestruzzo: su di esse poggiavano i muri di fondazione sotto l’arena, mentre la rete di pilastri in travertino sosteneva la cavea. L’intelaiatura dei pilastri di travertino fu riempita con blocchi di tufo o opus testaceum, a seconda della posizione. La facciata esterna mostrava chiaramente la suddivisione in quattro piani dell’edificio: i primi a partire dal basso tre erano costituiti da 80 arcate, fiancheggiate da semicolonne, in ordine crescente, in stile dorico, ionico e corinzio. L’ultimo piano, l’attico, era cieco e scompartito da lesene corinzie alternate a parti in cui si aprivano delle finestre quadrate. Intorno alla sommità dell’attico dovevano essere posizionati 250 piloni, che sostenevano una tenda retrattile, detta velarium, utilizzata per proteggere gli spettatori dal sole e dalla pioggia; si trattava di una struttura simile a una rete, ricoperta di tela e corde, che copriva i due terzi dell’arena. Al delicato e importantissimo compito di manovrare un tendaggio così grande adempivano i classarii provenienti da Misenum: dovevano essere circa un migliaio di persone perfettamente addestrare a governare vele e cordame, che avevano sede nei castra Misenatium, nei pressi dell’anfiteatro. Al pianterreno 76 delle 80 arcate, che davano accesso alle scalinate per i diversi settori della cavea,  erano contrassegnate da un numero per consentire agli spettatori di trovare rapidamente il proprio posto nel settore assegnato; i quattro accessi principali, posti alle estremità degli assi, erano riccamente decorati e fungevano da ingressi riservati per magistrati e artisti. Un passaggio sotterraneo conduceva al palco imperiale sul lato meridionale, verso il Celio.

L’anfiteatro Flavio (dettaglio). Rilievo, marmo, inizi II secolo dalla Tomba degli Haterii in via Labicana (Casilina), Roma. Città del Vaticano, Musei Vaticani.

La cavea era suddivisa in gradinate (gradus), ove gli spettatori prendevano posto a seconda della classe sociale e del sesso, come attestano, tra l’altro, le iscrizioni sui sedili di marmo rialzati. I posti a sedere per i senatori erano situati sopra il podio che circondava l’arena; lì, su gradini di marmo, si trovavano i loro subsellia. Oltre i posti riservati all’élite, salendo, si sviluppavano altri tre settori, detti maeniana): il maenianum primum (con otto file), il maenianum secundum imum e il maenianum secundum summum, dei quali i primi due erano assegnati ai cavalieri, mentre l’ultimo in alto alla plebe urbana. Le sedute dei primi settori erano in marmo, quelle della fila più alta, detta maenianum summum in ligneis, costituivano invece una vera e propria tribuna di legno. Qui si trovavano anche undici file con posti destinati alle donne.

Roma, Colosseo. Sezione assonometrica (da Lueger, 1904).

Si poteva raggiungere i posti a sedere tramite un ingegnoso sistema di corridoi a volta, scalinate e rampe, che si aprivano attraverso portali riccamente decorati (vomitoria) su una delle tre praecinctiones, i camminamenti che interrompevano i settori sulle gradinate. L’aspetto interno dell’anfiteatro è forse quello che meno rende l’idea delle caratteristiche generali dell’edificio, in parte perché manca la superficie dell’arena, originariamente composta di tavolati lignei ricoperti da sabbia. A questo bisogna aggiungere il fatto che, nel corso dei secoli, gradinate (gradus) e cunei furono sistematicamente spogliati e divelti, dato che il Colosseo divenne una vera e propria cava di marmo e travertino a cielo aperto, accessibile a chiunque. I sotterranei dell’arena, comunque, restituiscono con chiarezza la complessità degli impianti di servizio, che furono con ogni probabilità le ultime strutture a essere costruite: si trattava di un vero e proprio labirinto di ambienti e cunicoli, che ospitavano i vari elementi di scena, le gabbie e le stalle per gli animali, le armi e macchinari. Grazie a ingegnose realizzazioni (piani inclinati, piattaforme mobili e rotanti, elevatori e pulegge mossi da contrappesi) era possibile introdurre nell’arena decine di comparse nello stesso momento e cambiare rapidamente le scenografie a seconda delle esigenze dello spettacolo.

T. Flavio Vespasiano (Jr.). Sestertius, Roma 81-82, Æ 25,92 g. Recto: l’Amphitheatrum Flavium con la Meta Sudans (a sinistra) e un portico (a destra).

La cerimonia di inaugurazione del Colosseo fu scandita da una serie di festeggiamenti che si protrassero per oltre cento giorni (Suet. Tit. 7, 3; DCass. LXVI 25), durante i quali si tennero combattimenti tra gladiatori (munera), venationes con bestie selvatiche ed esotiche (Svetonio parla di 5.000 animali uccisi, mentre Cassio Dione riferisce che a perdervi la vita furono oltre 9.000!) e persino delle battaglie navali simulate (naumachiae), per cui la superficie dell’arena fu appositamente allagata. I primi due tipi di ludi riscossero un entusiastico successo popolare al punto da entrare stabilmente nel programma degli spettacoli offerti nel Colosseo; non ci sono altre prove documentali di battaglie navali dopo Tito: questo con ogni probabilità indica che le strutture sotterranee dell’arena furono un’aggiunta successiva, realizzata per volere di Domiziano.

Lotta tra due gladiatori (un murmillo e un thrax). Rilievo funerario, marmo, c. 30-50 d.C., da Chieti. Tongeren, Musée Gallo-Romain.

Con l’avvento del Cristianesimo come religione di Stato, gli imperatori persero progressivamente interesse verso i ludi dell’arena. Tuttavia, benché Onorio avesse formalmente proibito i munera dei gladiatori nel 399 e nel 404, questo genere di intrattenimento proseguì almeno fino al 434. Rimasero in voga fino al VI secolo le cacce; si ha notizia del nobile Anicio Massimo, che per festeggiare la propria elezione a console, diede l’ultima imponente serie di venationes nel 523, attirandosi il biasimo di re Teoderico a causa dell’ingente spesa per organizzarle (Cassiod. Var. V 42).

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