Il manoscritto II (2), della Biblioteca Capitolare di Verona, databile alla prima metà del VII secolo, conserva ai ff. 225r, l. 14-226r, l. 19 una lista delle province romane risalente all’epoca di Diocleziano e Costantino. L’elenco contiene centouno province organizzate secondo il sistema delle dioeceseis (διοίκησεις) introdotto da Diocleziano alla fine del III secolo: il documento riporta sei diocesi orientali (Oriens, Pontica, Asiana, Thracia, Moesiae, Pannoniae) e sei diocesi occidentali (Britanniae, Galliae, Viennensis, Italiciana, Hispaniae, Africa). Nella parte conclusiva di questa lista, sono riportati i nomi delle gentes barbarae sottomesse all’Impero e quelli delle città sorte oltre il Reno.
Pubblicato per la prima volta da Scipione Maffei nel 1742 e, dopo un lungo periodo di silenzio, riscoperto da Theodor Mommsen nel 1862 ed edito con il titolo di Verzeichniss der römischen Provinzen aufgesetzt um 297, da allora il documento, convenzionalmente noto come Laterculus Veronensis (o Registro di Verona), fu oggetto di aspri dibattiti. A proposito della cronologia della compilazione, il Mommsen sosteneva che la lista fosse databile attorno al 297, ma le scoperte epigrafiche e papirologiche del XX secolo smentirono ben presto questa ipotesi. La vexata quaestio si appuntò quasi fin da subito intorno a due poli: da una parte, coloro che, con il Mommsen, ribadivano la tesi dell’omogeneità integrale del documento l’hanno variamente datato chi intorno al 305 (Costa 1912, 1834; Nesselhauf 1938, n. 2, 8-9; Stein 1959, 437), chi tra il 304 e il 314 (Keyes 1916, 196 ss.), chi ancora tra il 308 e il 315 (Bury 1923, 127 ss.), oppure tra il 312 e il 320 (Jones 1954, 21-29) o tra il 312 e il 314 (Kolbe 1962, 65 ss.) o ancora più precisamente verso il 314 (Jones 1964, 381-391); altri interpreti, invece, hanno compulsato del tutto questa tesi, attribuendo la caratteristica dell’omogeneità agli elenchi delle due partes imperii: secondo tale ricostruzione, la configurazione amministrativa delle province occidentali andrebbe datata agli anni 303-306, mentre quella delle province orientali agli anni 312-324 (Mispoulet 1906, 254 ss.; Schwartz 1937, 79 ss.; Chastagnol 1960, 3-4).

In realtà, la congettura della presunta omogeneità del Registro è sempre stata molto fragile, anche perché costringerebbe a collocare il testimone in un arco di tempo davvero circoscritto. Da un lato, mentre ancora esistevano due Numidiae distinte nella primavera del 314 (Cirtensis e Militiana), quando Costantino convocò il Concilio di Arelate (od. Arles) per il 1° agosto (Optat. App. 3, 205, 33/34 Ziwsa), e le due province sarebbero state riunificate entro la fine di quell’estate (CIL VIII 18905), dall’altro i papiri contemporanei non menziona alcun governatore per l’Aegyptus Herculia (P. Cairo Isid. 73-74; cfr. Boak, Youtie 1960, 285-286; de Salvo 1964, 34 ss.), mentre il Laterculus di Verona raggruppa sotto la diocesi d’Oriente le due suddivisioni egizie della Iovia (che comprendeva il Basso Egitto e i dintorni di Alessandria) e dell’Herculea (cioè la regione a est del Delta del Nilo, con capitale Pelusium), entrambe create sotto Diocleziano. Secondo Timothy D. Barnes (1982, 204-205), sebbene il registro veronese possa apparire un documento omogeneo circa gli ultimi mesi del 314, prove più precise sulla riunificazione delle Numidiae e sulla divisione dell’Aegyptus potrebbero facilmente smentire questo assunto.

Anche l’opinione che le due partes registrate siano omogenee, pur con cronologie differenti, per la quale ogni elenco delle diocesi dovrebbe presentare una certa coerenza interna, risulta decisamente smentita proprio dal caso della dioecesis Orientis: Barnes ha osservato che l’elenco veronese menziona due province chiamate Arabia (Arabia, item Arabia), seguite appunto dall’Aegyptus Iovia e dall’Aegyptus Herculea (in seguito chiamata Augustamnica). In particolare, la regione meridionale della provincia arabica di fondazione traianea era stata accorpata da quella di Palaestina già prima del 314 (Brümnow, von Domaszewski 1909): Eusebio di Cesarea nel suo De martyribus Palaestinae, infatti, riferisce che nel 307 il governatore locale aveva condannato dei cristiani ai lavori forzati nelle miniere di rame di Fenò in Palestina (Euseb. De mart. Pal. VII 2). Ora, se Fenò (od. Khirbet-Fenan) faceva parte della Palaestina nel 307 (o ancora nel 311, quando l’autore compose il suo libello), allora – secondo Barnes (1975, 277-278) – una delle due province arabiche menzionate dal Laterculus doveva essere stata soppressa ancor prima dell’istituzione dell’Aegyptus Herculea; da ciò consegue che il Registro di Verona non è assolutamente omogeneo né nella sua interezza né nelle sue singole parti.
In altre parole, lo storico britannico identifica l’Arabia Nova con l’Aegyptus Herculea, ma l’equazione proposta non trova conferma nei papiri coevi: l’argomentazione di Barnes, secondo cui all’interno della presunte provincia sarebbe esistito un νόμος Ἀραβικός (corrispondente al Delta orientale), non è convincente a causa della moltitudine di toponimi di questo genere in tutto l’Egitto. Lo studioso menziona un papiro, all’epoca ancora inedito, attestante la presenza tra il 314 e il 318 di una circoscrizione detta Νέα Ἀραβεία (Arabia Nova), e suppone che una città, Ἐλευθεροπόλις, si trovasse nei pressi dell’Herculea (inv. P. Oxy. 29 4B.48/G [6-7]a). John R. Rea (1983, 183-186), invece, ha respinto l’interpretazione di Barnes, pubblicando il papiro come P. Oxy. 50, 3574: egli, a ragione, ha osservato che esiste un’unica città chiamata Eleuteropoli (in Palaestina) e che ciò sarebbe confermato dal nome semitico del firmatario, Αὐρ(ήλιος) Μάλχος (Aurelio Malco), figlio di Gionata, che presentò la sua petizione al praeses Herculiae; conferme sulle relazioni tra questa città e Ossirinco si trovano anche altrove (P. Oxy. 14, 1722). Insomma, Rea sostiene che all’epoca in cui fu redatto il Laterculus Veronensis esistevano effettivamente due Arabiae: l’una (comprendente Eleuteropoli) era l’Arabia Nova, con capitale Petra, mentre l’altra, forse denominata Arabia Vetus, aveva come centro amministrativo la città di Bostra. Questa ricostruzione è abbastanza convincente, soprattutto perché non implica la costruzione congetturale di altre entità territoriali, come una presunta Eleuteropoli da qualche parte sul Delta del Nilo. In seguito, Barnes (1996) ha ritrattato la sua posizione, collocando la redazione del documento nel 314.
Seguendo un ordine geografico approssimativo, il Registro di Verona prosegue con un elenco delle varie gentes barbarae che si trovavano lungo i confini dell’Impero partendo da ovest, con gli Scoti (gli Irlandesi), e terminando a est sulle coste occidentali del mar Nero con i Persae. Le etnie note ai funzionari e ai militari romani dell’epoca costantiniana erano le seguenti:
Scoti. Picti. Caledonii. Rugii. Herulii. Saxones. Camari. Crinsiani. Ampsivarii. Angrivarii. Flevi. Bructer. Chatti. Burgundiones. Alamanni. Suebi. Franci. Chattuarii. Iuthungi. Armilausini. Marcomanni. Quadi. Taifali. Hermonduri. Vandali. Sarmatae. Sciri. Carpi. Scythae. Gothi. Indii. Armeni. Palmyreni. Mosoritae. Theui. Isauri. Phryges. Persae.
L’elenco continua menzionando le genti quae in Mauretania sunt e si conclude con gli abitati sorti trans Rhenum fluvium. Il registro di per sé fa capire i problemi incontrati dalle autorità imperiali, le quali dovevano cercare di raccogliere informazioni di carattere militare e civile su tutte queste popolazioni (peraltro molto variegate linguisticamente e culturalmente) e seguire la complessa politica interna ed estera di ognuna di esse così da essere pronte a fronteggiare qualunque minaccia imminente. Senza contare che queste erano soltanto le stirpi più vicine alle frontiere.
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