Catullo invita Lesbia a sfidare le convenzioni sociali imposte e codificate dal mos maiorum in nome di un ideale nuovo che identifica la vita pienamente vissuta con l’amore. Il carmen 5 esprime la gioia febbrile di una passione divorante, la sensazione di vivere un’esperienza unica e totalizzante accanto a una donna diversa da tutte le altre. Questo sentimento per la puella è presentato come felice e appagante, senza le ombre della gelosia e della separazione. Sul tema convenzionale proprio della poesia erotica dell’invito a identificare vita e amore (vivamus… atque amemus), s’innesta un’ombra più fatale e ineludibile, il pensiero angoscioso della fine di ogni cosa e della notte eterna che inevitabilmente segue la breve luce dell’esistenza; l’incombere da lontano di tale prospettiva ha il risultato di rendere ancor più urgente e intensa l’esortazione alla vita e all’amore: infatti, per esorcizzare questo timore, il poeta ripropone con maggior vigore il tema iniziale, moltiplicando freneticamente i baci, quasi nel tentativo di prolungare l’amore oltre le coordinate spazio-temporali, o meglio di cristallizzare la felicità presente sottraendola al divenire.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e i commenti dei vecchi bacchettoni,
stimiamoli tutti quanti un vile soldo!
Il Sole può anche tramontare e risorgere:
a noi, una volta spentasi la nostra breve luce,
non resta che dormire una notte eterna.
Dammi mille baci, e poi cento,
e poi altri mille, e altri cento,
e poi ancora mille e ancora cento.
Poi, dopo averne totalizzati molte migliaia, ne
scombineremo i conti, per non sapere quanti
sono o perché qualche invidioso non ci faccia
il malocchio, sapendo l’esatto importo dei baci.

La struttura del v. 1, che reca al centro il nome di Lesbia (compare qui, per la prima volta, lo pseudonimo dell’amata) ed è incorniciato dai congiuntivi esortativi, dichiara con enfasi l’identità di vivere (nel senso pregnante di «vivere pienamente, godendosi la vita») e amare. Contro il perentorio invito di Catullo niente possono le critiche malevole dei senes severiores: l’allitterazione sillabica e l’insistenza sui suoni r e s (percepiti come sgradevoli dagli antichi) concorrono a dare rilievo fonosimbolico ai rumores: queste «critiche» sono liquidate al v. 3 con una vivace espressione della lingua d’uso, assis aestimare (l’asse era una moneta di poco valore), sottolineata dall’antitesi sprezzante omnes unius.
Il motivo della caducità dell’esistenza umana, in opposizione all’eterno ciclo della natura, è ripreso dal poeta greco Mimnermo ed è sviluppato da Catullo attraverso un raffinato sistema di antitesi nei vv. 4-6. I cardini di questa opposizione, soles (metonimia per dies) e nox, sono collocati in posizione enfatica a inizio verso; occidere, riferito al Sole, è ripreso in poliptoto da occidit, riferito alla breve giornata dell’uomo (v. 5): si mette in evidenza la contrapposizione tra il tempo circolare della natura (occidere et redire) e quello lineare e breve dell’uomo (brevis lux).
Il catalogo dei baci si sviluppa per tre versi (vv. 7-9): la ripetizione delle cifre (mille… centum), introdotte dall’anafora deinde… dein, la collocazione di centum alla fine dei tre versi successivi conferiscono all’elenco un ritmo ossessivo. Al v. 10, cum… fecerimus tira le somme dell’elenco segnando il passaggio al motivo conclusivo dell’invidia dei maligni, che possono gettare il malocchio sulla coppia degli amanti felici. L’invito del poeta innamorato alla puella è quello di esorcizzare la morte e il male proprio con l’amore.
Infine, è interessante notare che la parola basium, probabilmente di origine celtica, fu introdotta nella lingua letteraria proprio da Catullo e, con il tempo, avrebbe soppiantato il corrispondente latino osculum, perpetuandosi nelle lingue romanze.
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