ΟYΤΩΣ AΤΑΛΑIΠΩΡΟΣ ΤΟIΣ ΠΟΛΛΟIΣ H ΖHΤΗΣΙΣ ΤHΣ AΛΗΘΕIΑΣ, ΚΑI EΠI ΤA EΤΟIΜΑ ΜAΛΛΟΝ ΤΡEΠΟΝΤΑΙ. «Così poco faticosa è per i più la ricerca della verità e molti si volgono volentieri verso ciò che è più a portata di mano». (Thuc. I 20, 3)
Domizia Longina, nata fra il 50 e il 55 d.C. da Cn. Domizio Corbulone e Cassia Longina, sposò in prime nozze L. Elio Plauzio Lamia Eliano. Nel 70 fu costretta dal giovane Domiziano, secondo figlio di Vespasiano, a divorziare dal marito e a sposarsi con lui: dalla relazione ne nacque un figlio, T. Flavio, che però morirà prematuramente non prima dei dieci anni. Quando il cognato Tito venne a mancare, nell’81, Domiziano gli successe al principato e Domizia assurse al rango di Augusta.
Il nuovo principe era un uomo particolarmente geloso, e quando venne a sapere da alcune voci che la moglie lo stesse tradendo con un noto mimo, un certo Paride, fece arrestare e uccidere quest’ultimo e allontanò la sposa, mettendola sotto custodia. Secondo Cassio Dione (67, 3, 1), fu determinante l’intervento L. Giulio Urso, stretto collaboratore di Domiziano, nel sottrarre la donna all’esecuzione pretesa dal marito per il presunto adulterio. La vicenda si consumò fra l’82 e l’83, e in quel periodo l’imperatore pare che avesse intessuto una relazione amorosa con la giovane nipote, Giulia, figlia di Tito, dalla quale avrebbe avuto un figlio, se non l’avesse costretta ad abortire (cosa che la uccise).
Riappacificatosi in seguito con Domizia, la fece richiamare a corte, ripristinandone il rango e l’autorità. Negli anni successivi il principe divenne sempre più sospettoso e malfidente verso tutti, famigliari e collaboratori più intimi compresi, condannando a morte tutti coloro che credeva fossero sleali nei suoi confronti.
T. Flavio Domiziano. Busto, marmo, fine I secolo. Roma, Musei Capitolini.
Secondo Cassio Dione (67, 15, 4), Domizia trovò il proprio nome iscritto in una lista di sospetti; così portò il documento ai prefetti del pretorio T. Flavio Norbano e T. Petronio Secondo. Insieme architettarono una congiura e il 18 settembre 96 d.C. insieme al liberto Stefano, al segretario Partenio e alcuni altri, assassinarono l’imperatore. Domizia morì fra il 126 e il 130 d.C. Le venne dedicato un tempio a Gabii, come attesta un’iscrizione ivi rinvenuta nel 1792 (CIL 14, 2795 [p. 493] = ILS 272 = AE 2000, +251).
Fra i bronzi rinvenuti a Brescia nel 1826, nell’intercapedine tra il tempio capitolino e il colle Cidneo retrostante, in uno è ritratta una donna di età matura, con volto pieno, dalla caratteristica pettinatura tipica della moda di Roma nella seconda metà del I secolo d.C. La maggior parte degli studiosi è concorde nell’identificarvi il volto di Domizia Longina, moglie di Domiziano. Indubbiamente il ritratto deve essere coevo al suo principato (81-96 d.C.), durante il quale nelle acconciature femminili si usava applicare una sorta di toupet formato da riccioli a chiocciola sulla parte frontale del capo, mentre nella parte posteriore della nuca i capelli venivano raccolti in sottili trecce disposte a formare uno chignon.
Domizia Longina. Testa, bronzo, fine I sec. d.C. ca. dall’intercapedine del tempio capitolino. Brescia, Museo di S. Giulia.
La testa è alta 40 cm e doveva appartenere a una statua, come suggeriscono la presenza di un frammento di veste visibile sul collo e la frattura sul lato posteriore, dovuta al distacco violento dal resto del corpo. È realizzato con la tecnica della fusione a cera persa e dimostra una buona qualità di esecuzione: non si vedono, infatti, le tracce lasciate dal processo di fusione e i dettagli sono stati abilmente lavorati a freddo con strumenti diversi, come si evince dalle ciocche dei capelli e dalle trecce. Gli occhi sono stati realizzati in avorio e le iridi in pietra dura, mentre le ciglia sono state tracciate a freddo. Il reperto si trova oggi conservato a Brescia, presso il Museo di S. Giulia.
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L’importanza delle monete come fonte storica riguarda non solo il campo economico, ma anche quello politico. Ciò è particolarmente vero per le monete antiche, nelle quali si teneva conto di altri elementi e scopi oltre a quello puramente economico di garantire con un marchio ufficiale il valore del mezzo di scambio. La monetazione dell’impero romano, con la sua grande abbondanza e varietà di emissioni, è un chiaro esempio di questa duplice quantità di testimonianza. Dalle monete antiche ricaviamo dunque, oltre che l’informazione tecnica e artistica connessa col lato formale di questo tipo di monumento (sistemi di fusione o di coniazione; metalli e leghe; qualità artistica dell’esecuzione; ritrattistica ecc.) una testimonianza economico-finanziaria, ed una politica.
Tesoretto di Bredon Hill. Radiati, argento, 244-282 d.C. ca. da Bredon Hill (Worcestershire). Worcester City Art Gallery & Museum.
Vedendo nella moneta il mezzo di scambio, lo storico trarrà da essa tutto quanto è possibile sapere in tale campo economico-finanziario: qualità e modalità di emissione, vari piedi monetari e rapporti fra essi, diffusione in estensione geografica e in volume delle varie monete ecc. E si potranno notare da questo punto di vista, limitandoci alla monetazione romana, il ritardo dei Romani nell’accogliere la moneta; lo strano dualismo monetario del IV-III sec. a.C., con le rozze monete di bronzo fuse (l’as del peso di 273 gr.), a Roma, accanto alla monetazione argentea emessa da Capua per conto di Roma; l’adeguamento alla monetazione greca (denarius = drachma); la monetazione aurea cominciata pure in Campania su piccola scala e rimasta sempre secondaria sotto la repubblica; le successive modificazioni nelle unità e nelle leghe; la varietà di emissioni provinciali specialmente in Oriente; la pluralità delle zecche; l’inflazione del III secolo; la restaurazione costantiniana col solidus d’oro, e molti altri fenomeni; mentre i depositi di monete trovati nei più lontani paesi, anche fuori del territorio dell’antico impero, testimoniano della diffusione del commercio e dell’autorità sui mercati della moneta romana.
S.P.Q.R., Asse, Roma, 225-217 a.C. ca. Æ 228, 05 gr. Recto: Testa di Giano barbata.
La testimonianza politica comincia col fatto stesso che la coniazione è espressione di sovranità o almeno di autonomia. Solo un’autorità statale può decretare che si batta moneta; se l’autorità è monarchica, oltre che preferire l’oro per una coniazione, in certo senso, di prestigio, di monete largamente diffuse e accettate (ad es. i darici persiani e i filippici macedoni), pone la propria effigie sul recto della moneta; così fecero i sovrani ellenistici e a Roma, per primo, Cesare dittatore. Durante la guerra sociale del 90-89 a.C. gli alleati italici ribellatisi a Roma manifestarono la loro indipendenza e sovranità anche con larghe emissioni di monete. Gli stessi magistrati romani investiti di comando militare, specialmente a partire dall’epoca di Silla, si ritennero autorizzati in virtù del loro imperium a battere moneta per le necessità dell’esercito, specialmente d’oro: abbiamo così emissioni di Silla, di Pompeo, di Cesare, di Antonio, di Ottaviano ecc., documenti diretti di storia politica, d’inestimabile valore. Da questa monetazione militare dei generali, derivò la moneta imperiale; infatti durante l’impero l’imperatore coniò l’oro e l’argento, e il senato coniò il bronzo, mentre i governatori delle province senatorie continuarono pure a battere moneta: sempre, naturalmente, con l’effigie dell’imperatore. Le emissioni erano frequenti, e sulle monete figurava la titolatura imperiale, compresi i consolari, le salutazioni imperatorie e le tribuniciae potestates (nella zecca di Alessandria anche gli anni secondo il calendario egiziano), mentre sul verso figuravano simboli e leggende connessi con fatti storici o provvedimenti presi: indizi preziosi per la storia e per la cronologia, anche se bisogna fare attenzione al motivo propagandistico largamente sfruttato nelle monete (un’analogia si potrebbe trovare con i moderni francobolli).
M. Nonio Sufena. Denario, Roma, 57 a.C. AR 3, 75 gr. Verso: Roma su spolia opima, incoronata da Vittoria (Pr.[L] – V – P.F; Sex. Noni,in exergo).
Q. Cecilio Metello Pio. Denario, Italia settentrionale, 81 a.C. AR 3, 54 gr. Verso: Brocca e lituo con leggenda imper(atori) iscritti in una corona d’alloro
La moneta antica era in realtà un formidabile mezzo di propaganda. Già nel periodo repubblicano i magistrati addetti alla zecca ponevano sulle monete, col proprio nome, figurazioni tratte dalle tradizioni della propria famiglia. Per l’impero basterebbe scorrere un elenco di leggende, per trovare nelle personificazioni divine di concetti astratti e nelle espressioni simboleggianti una realtà vera o da imporre come vera le tracce di una pertinace linea propagandistica. Spigolando, a titolo di esempio, dalle emissioni di Caro, Carino e Numeriano raccolte in appendice al libro di P. Meloni su questi imperatori (Cagliari 1948, p. 202 sgg.) troviamo: ABVNDANTIA AVG., AEQVITAS AVG., CLEMENTIA TEMPORVM, FELICITAS PVBLICA, FORTVNA REDVX, INDVLGENTIA AVG., PAX AETERNA, PIETAS AVG., PROVIDENTIA AVG., PVDICITIA AVG., SAECVLI FELICITAS, SALVS PVBLICA, SECVRITAS PVBLICA, VNDIQVE VICTORES, VICTORIA AVG., VIRTVS AVG. ecc., cioè un litaniare di proclamazioni di felicità, probabilmente «felicità per decreto» (cfr. l’episodio di Plut. Caes. 59, 6).
M. Aurelio Caro. Antoniniano, Ticinum, 282-283 d.C. AR 4, 25 gr. Verso: Virtus stante verso destra, con lancia e scudo; in leggenda: Virtu-s Aug(usti).
M. Aurelio Carino. Antoniniano, Roma 283-285 d.C. AR-Æ 3, 59 gr. Verso: Fides stante verso sinistra con due labari; in leggenda: Fides militum; in exergo, la sigla KAE.
Tuttavia queste leggende, anche se amplificate, sono certamente occasionate da fatti che noi possiamo ritenere come più o meno acquisiti alla storia a seconda dell’esistenza o meno, per essi, di fonti parallele. Quando leggiamo su una moneta la leggenda CONCORDIA EXERCITVVM attorno al simbolo di due mani che s’intrecciano, possiamo pensare a malumori rientrati di gruppi di legioni; la leggenda di una moneta di Nerva FISCI IVDAICI CALVMNIA SVBLATA allude alla abolizione da parte di Nerva di un’odiosa imposta sugli Ebrei stabilita da Domiziano, e conferma quello che sappiamo d’altra parte sulla larghezza d’idee e di propositi del vecchio imperatore; e le cure dello stesso per gli Italici sono confermate da un’altra leggenda, VEHICVLATIONE ITALIAE REMISSA, alludente all’esenzione concessa a coloro che abitavano lungo le grandi vie consolari dell’obbligo di fornire il necessario al cursus publicus, cioè al servizio dei corrieri di stato; rifornimento che venne assunto direttamente dall’amministrazione statale.
M. Cocceio Nerva. Denario, Roma 96 d.C. AR 3, 28 gr. Verso: Coniunctio dextrarum davanti a un’insegna legionaria issata sulla prora di una nave. L’immagine è iscritta in una leggenda, che recita: Concordia exercituum.
M. Cocceio Nerva. Sesterzio, Roma 96 d.C. Æ 27, 19 gr. Verso: La palma, simbolo della Provincia di Syria-Palaestina; intorno corre la leggenda Fisci Iudaici – calumnia sublata; nel campo sinistro S(enatus) e in quello destro C(onsulto).
Vi sono poi monete esplicitamente commemorative, i cosiddetti medaglioni, come quelli coniati da Antonino Pio per il IX centenario della fondazione di Roma: vere monete aventi corso normale, come multiple di tipi correnti; talvolta, sempre per speciali motivi propagandistici, alcuni imperatori ritennero di «restaurare» monete dei loro predecessori. Fra i pezzi di propaganda rientrerebbero, secondo la spiegazione di Andreas Alföldi (DieKontorniaten, Budapest 1943), anche i cosiddetti contorniati, monete con un bordo e varie figurazioni, apparse nella seconda metà del IV sec. e al principio del V, ma non come mezzi di scambio. Essi sarebbero gettoni per spettacoli, che l’aristocrazia ancora pagana di Roma (siamo ai tempi di Simmaco e della contesa per l’ara della Vittoria nella curia) distribuiva come mezzo di propaganda, per richiamare con le raffigurazioni delle divinità e dei personaggi della storia di Roma, al culto della vecchia religione e delle antiche glorie. Si danno anche altre spiegazioni (S. Mazzarino, in «Enc. Arte Class.», II, 1959, pp. 784-791).
Antonino Pio. Aureo, Roma, 147 d.C. AV 7, 13 gr. Verso: Enea in fuga con Anchise sulle spalle, tenendo il piccolo Ascanio per mano. Intorno, la leggenda: Tr(ibunicia) Pot(estas) – Co(n)s(ul) III.
Del resto le monete sono preziose per la storia della religione, specialmente come la più sicura fonte ufficiale per i culti sanzionati dallo Stato. Le monete imperiali diffusero la conoscenza delle personificazioni caratteristiche della mentalità religiosa romana, quali la Fides, l’Aequitas, la Spes, l’Honos e la Virtus (personificazioni di cui si meravigliava il greco Plutarco, Quaest. Rom. 13), e viceversa ci danno testimonianza dell’atteggiamento degli imperatori di fronte ai culti non romani, specialmente orientali, dal culto isiaco che appare sulle monete di Vespasiano, il quale appunto in Egitto aveva avuto la prima acclamazione imperatoria, a quello del Sol Invictusdi Aureliano, e alla apparizione del monogramma di Cristo sulle monete di Costantino. Si tratta insomma di una documentazione che ha in tutto il suo complesso il carattere dell’ufficialità, e a ragione la critica storica più recente rivolte ad essa particolare attenzione. Vedasi ciò che dice H. Mattingly, uno dei maggiori specialisti, in Cambridge Ancient History (CAH), XII, 1939, pp. 713-720.
T. Flavio Vespasiano. Diobolo, Alessandria, 74-75 d.C. Æ 11, 40 gr. Verso: Busto drappeggiato di Iside, voltato a destra, con basileion sulla testa.
L. Domizio Aureliano. Antoniniano, Serdica, inizi 274 d.C. Æ-AR 3, 31 gr. Verso: Sol, radiato, stante, verso sinistra; regge nella mano sinistra un globo e la destra è alzata sopra un prigioniero ai suoi piedi; in leggenda: Oriens Aug(usti).
Esempio di contributo della testimonianza numismatica alla soluzione di un problema storico
Soprattutto le questioni cronologiche possono essere illuminate e talora risolte dalla testimonianza delle monete.
Nell’anno 73 Domiziano ebbe da Domizia Longina un figlio. Tutto fa pensare che il piccolo non superasse l’infanzia, ma si vorrebbe determinare l’epoca della sua morte, fissando almeno un terminus ante quem. Il termine più alto di fonte letteraria è l’anno 88 (Martial. IV 3, 8). Le monete ci permettono di innalzarlo ancora.
r.: DOMITIAE AVG(ustae) IMP(eratoris) CAES(aris) DIVI F(ilii) DOMITIAN(i) AVG(usti)
v.: DIVI CAESAR(is) MATRI S(enatus) C(onsulto)
413 nr. 502, altro Sesterzio:
r.: Stessa leggenda
v.: DIVI CAESARIS MATER S(enatus) C(onsulto)
413 nr. 503 (tav. 82, 4), Dupondio:
r.: DOMITIA AVG(usta) IMP(eratoris) CAES(aris) DIVI F(ilii) DOMITIAN(i) AVG(usti)
v.: DIVI CAESARIS MATER S(enatus) C(onsulto)
414, Asse:
r.: Stessa leggenda
v.: Stessa leggenda.
Domizia Longina. Sesterzio, Roma 82 d.C. Æ 26, 85 gr. Verso: L’Augusta Domizia è raffigurata al centro, assisa in trono, con lo scettro nella sinistra; tiene la destra levata ad indicare un fanciullo dinanzi a lei, a sinistra; la leggenda: Divi Caesar(is) Mater.
Domizia Longina. Denario, Roma 82-83 d.C. AR 3, 51 gr. Verso: Un bambino seduto su globo, volto a sinistra, con braccia aperte e sette stelle intorno; la leggenda: Divus Caesar imp(eratoris) Domitiani f(ilius).
È posto l’accento sul fatto che Domizia è la madre del piccolo Cesare divinizzato (quindi morto). Come madre del piccolo dio Domizia stessa appare in foggia divina, con gli attributi di Cerere, della Concordia Augusta, della Pietas Augusta. Ma a noi importa specialmente che queste monete siano databili. Purtroppo non lo sono con assoluta precisione, perché manca per Domiziano l’indicazione della tribunicia potestas o del consolato o delle salutazioni imperatorie. Ma sono databili con precisione relativa, sì da permettere di fissare il terminus ante quem cercato. In nessuna di queste monete appare l’epiteto Germanicus che Domiziano assunse alla fine dell’83 o al più tardi ai primi dell’84, dopo la spedizione contro i Catti. Le monete sono perciò da collocare cronologicamente fra il 14 settembre 81 (dies imperii di Domiziano, che diede subito a Domizia il titolo di Augusta, cfr. Atti degli Arvali, CIL VI 2060) e la fine dell’83 o i primi dell’84. Ne consegue che il piccolo Cesare morì prima della fine dell’83 o dei primi dell’84, al massimo decenne. Del resto dove egli è rappresentato sulle monete, appare come piccolo bambino (Coins, II, tav. 61, nrr. 6 e 7; tav. 82, nr. 3). Altro non è dato di stabilire con precisione. Si può continuare con la congettura. Si danno due possibilità: o che egli fosse morto prima dell’accesso al trono di Domiziano, e che Domiziano nel suo sentimento di rivincita nei confronti della posizione di secondo piano nella quale era stato tenuto dal padre e dal fratello, e di revisione polemica dei loro principi di governo, appena giunto al trono esaltasse tutto quanto si riferiva alla sua propria famiglia, specialmente in vista dell’idea monarchico-divina da lui vagheggiata; oppure può darsi che il piccolo fosse morto nel corso di questi poco più che due anni: lo farebbe pensare anche la relativa unicità di emissione. Più tardi non abbiamo più infatti monete di Domizia (che sopravvisse per oltre quarant’anni a Domiziano): esse sono tutte concentrate in questo periodo, ed hanno tutte più o meno relazione con quella maternità divina, sì da far pensare ad un’occasione particolare. È vero che noi non siamo sicuri di conoscere tutta la monetazione (è il limite caratteristico delle testimonianze di questo genere, valevole anche per le iscrizioni), ma pare difficile che non si sia conservato almeno un pezzo di altro periodo, se ci fosse stato. Se così è, cioè se il piccolo Cesare morì dopo l’accesso al trono del padre, anche la successione di Domiziano, che taluno suppose difficile e contrastata, dovrebbe essere confermata nella sua spontaneità e naturalezza, del resto già nota, perché Domiziano che aveva un figlio, mentre Tito era morto senza prole maschile, rappresentava oltre a tutto la speranza di continuazione dinastica.
Atti degli Arvali (CIL VI 2060). Tabula, marmo, 81 d.C. ca. dal Lucus deae Diae, La Magliana. Roma, Museo Nazionale Romano.
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