Di Cornelio Gallo, menzionato da Quintiliano nel “canone” dei poeti elegiaci insieme a Tibullo, Properzio e Ovidio (Quint. X 1, 93, durior Gallus), è giunta quasi soltanto la fama. Comunque, si sa che la sua vicenda non solo biografica ma anche letteraria costituì un collegamento fra l’età di Cesare e quella di Augusto, fra chi visse il dramma delle guerre civili e chi sperimentò la pax Augusta. Se dagli antichi Gallo fu ritenuto il fondatore dell’elegia latina, ciò è verosimilmente dovuto proprio al suo ruolo di mediatore tra la poesia neoterica e l’affermarsi di un nuovo gusto.
Nato intorno al 69 a.C. in un non meglio identificato Forum Iulii (Hier. Chron. Abr. 1990), Gallo proveniva da una famiglia modesta (Suet. Aug. 66, 1). Giunto a Roma in giovane età, ricevette una formazione letteraria, frequentando le lezioni degli stessi maestri di Virgilio e Vario Rufo. Già amico del cesariano Asinio Pollione (Cic. Fam. 32, 5), dopo la battaglia di Filippi (ott. 42), Gallo aiutò Virgilio a conservare le proprietà fondiarie nel mantovano al tempo delle distribuzioni ai veterani (Verg. Ecl. X). Durante la guerra civile contro Antonio, fautore di Ottaviano (Prob. Verg. Ecl. praef.,p. 328, 2 Hagen), Gallo progredì al rango equestre e si distinse nelle operazioni intorno ad Alessandria in qualità di praefectus fabrorum (DCass. LI 9). Dopo la battaglia di Azio, nel 30, egli divenne il primo praefectus Aegypti et Alexandriae: tuttavia, la gestione troppo autonoma e spregiudicata di questo incarico (pare che avesse persino battuto moneta!) e, come attesta un’iscrizione proveniente da File (AE 1992, 1725; cfr. DCass. LII 23), l’appropriazione di titoli e clausole trionfali propri dell’ordine senatorio, gli attirarono le accuse del venerando consesso e lo fecero cadere in disgrazia presso Ottaviano. Condannato all’esilio, Gallo si sarebbe tolto la vita intorno al 27/6 (Suet. Aug. 66, 2; Ovid. Tr. II 446).
Gallo fu intimo amico di Virgilio, che gli dedicò l’ecloga X, componimento nel quale si racconta del suo disperato amore per una donna, chiamata Licoride, e dell’adesione esclusiva di Gallo al genere della poesia erotica; rappresentato in preda a indicibili sofferenze a causa dei sentimenti non corrisposti, Gallo dichiara la propria impossibilità di dedicarsi al genere bucolico, motivandola con il fatto che (v. 69) omnia vicit Amor et nos cedamus Amori («Amore vince tutto e noi cediamo ad Amore»). Assai importante, in rapporto al ruolo giocato da Gallo nello sviluppo dell’elegia d’amore latina, fu l’amicizia con Partenio di Nicea, il poeta greco che, trasferitosi a Roma intorno al 73, aveva contribuito alla divulgazione della lirica ellenistica presso i neòteroi. A Gallo Partenio dedicò i suoi Ἐρωτικὰ παθήματα («Le sofferenze d’amore»), un’opera in prosa che raccoglieva storie mitiche di amori infelici, una sorta di repertorio a cui attingere per la composizione di versi. Accanto alla figura di Partenio, per la lirica di Gallo fu di notevole importanza anche la poesia, di carattere mitico ed erudito, di Euforione di Calcide, poeta ellenico del III secolo a.C., che Cicerone aveva considerato il “cattivo maestro” dei poetae novi, definiti sprezzantemente cantores Euphorionis in quanto cultori di una poesia difficile e oscura (Cic. Tusc. III 45).
Dell’opera poetica di Gallo, quattro libri di elegie pubblicati sotto il titolo emblematico di Amores, resta solo un frammento di circa dieci versi, che è stato restituito grazie a un fortuito ritrovamento papiraceo effettuato nel 1979 nel deserto egiziano. Sull’interpretazione di questi versi non c’è, in realtà, un parere unanime da parte degli studiosi. Per quanto frammentari, essi sembrano comunque contenere alcuni motivi fondamentali della successiva elegia augustea. Gallo sembra porre al centro della propria esperienza esistenziale e lirica la donna amata, cantata con il nome di Licoride (uno pseudonimo sotto cui si celava probabilmente la nota attrice di mimo Volumnia Cytheris). Il poeta dichiara di trovarsi in una condizione di asservimento (servitium amoris) nei confronti della donna (domina) e utilizza anche il termine nequitia. I successivi poeti elegiaci usavano tale nome alludendo a quella condizione d’indolenza e depravazione, ai margini della morale tradizionale, nella quale si trovavano a causa della propria domina e della quale sembravano a tratti compiacersi. Per quello che è possibile ricostruire dall’opera di Gallo è ragionevole pensare che egli sia stato il primo a riprendere elementi autobiografici tipici della poesia catulliana, proiettando l’esperienza amorosa personale su un piano mitologico, per nobilitarla e sublimarla. In questo senso, la lirica di Gallo può aver effettivamente costituito l’anello di congiunzione tra l’esperienza neoterica e l’elegia augustea. Del resto, che Gallo fosse un punto di riferimento per gli altri poeti elegiaci è testimoniato dal fatto che quei pochi versi che sono pervenuti siano più volte riecheggiati nei testi di Properzio (2, 34, 91-92) e di Ovidio (Am. III 9, 63-64).
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Riferimenti bibliografici:
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