Negli ultimi mesi del 353 un facoltoso cittadino romano di nome Valentino ricevette un codice illustrato contenente un calendario per l’anno successivo; si trattava di un’opera di raffinata fattura, compilata e decorata nientemeno che dal famoso calligrafo Furio Dionigi Filocalo. L’identità dell’autore è facilmente deducibile grazie alla dedica posta all’inizio dell’opera: Valentine, floreas in Deo. Valentine, vivas, floreas. Valentine, vivas, gaudeas. Valentine, lege feliciter. Furius Dionysius Filocalus titolavit («Valentino, prospera in Dio! Valentino, lunga vita e buona fortuna [a te]! Valentino, lunga vita [a te] e sii felice! Valentino, buona lettura! Firmato da Furio Dionigi Filocalo»).
Quanto al dedicatario, gli studiosi sono divisi se identificarlo con Marco Aurelio Valerio Valentino, consolare in Numidia nel 330 e zio dell’oratore Simmaco (PLRE I, 936, n. 12), o con Aviano Valentino, consolare in Campania sotto Valentiniano I e fratello di Simmaco (PLRE I 936, n. 7).
Le belle illustrazioni inserite nel testo, anch’esse di mano del celebre calligrafo, sarebbero state le più antiche immagini a pagina intera della storia dell’arte occidentale. A parte l’eleganza esteriore, il codice era di grande utilità per un patrizio romano di epoca tardoantica. Il calendario illustrato scandiva gli eventi importanti che sarebbero stati celebrati nell’anno 354, tra cui feste tradizionali, anniversari imperiali, commemorazioni storiche e fenomeni astrologici: si trattava, insomma, del calendario pubblico dell’Urbe. Pertanto, le annotazioni e le raffigurazioni concepite per il Cronografo forniscono una preziosa fonte di informazioni storico-artistiche sulla religiosità e sulla vita pubblica nella Roma del IV secolo.
Eppure, il calendario era solo una parte di un codice manoscritto molto più ampio, compilato come un unico testo per Valentino. Evidentemente per garantire la massima praticità l’autore del dono aveva aggiunto diversi elenchi illustrati, contenenti un’ampia gamma di materiali cronologici e storici. Data la diversa natura dei contenuti, un titolo più accurato per questo codice miscellaneo sarebbe Almanacco illustrato del 354.
Dopo l’intestazione al dedicatario, l’opera forniva le quattro Τύχαι (Fortunae), ovvero le personificazioni, delle città di Roma, Costantinopoli, Treviri e Alessandria; seguiva una dedicazione imperiale (salvis Augustis) con un elenco dei natales Caesarum, per commemorare le nascite dei principes romani. Dopodiché si aprivano tre sezioni relative all’astrologia, con i sette pianeti e le loro leggende, l’effectus XII signorum (cioè i segni zodiacali e l’oroscopo dell’anno) e il calendario vero e proprio, con le allegorie dei mesi, l’elenco dei giorni e brevi componimenti in versi (distici e tetrastici). Seguivano i ritratti a piena pagina dell’Augustus Costanzo II e del Caesar Costanzo Gallo (o Giuliano?) e i fasti consulares dal 508 a.C. al 354 d.C.; una chiave per il calcolo dei cicli pasquali dal 312 al 358; la lista dei praefecti Urbi dal 254 a Vitrasio Orfito, entrato in carica l’8 dicembre 353; le deposizioni dei vescovi della città dal 255 al 352 (la lista termina con l’ultimo prelato defunto, Giulio); la memoria dei martiri cristiani e l’elenco dei vescovi romani (con l’ultimo in carica, Liberio). L’opera consta anche di una Notitia Urbis Romae, ovvero una descrizione dei quartieri (regiones) della città, una cronaca mondiale (Liber generationis) dal momento della creazione fino al 334 e una Chronica Urbis Romae dalla fondazione dell’Urbe alla morte di Licinio (324).
Il Cronografo del 354 godette di una certa fortuna nel tempo: quasi un secolo dopo, il funzionario Polemio Silvio lo consultò per predisporre un proprio calendario annotato per l’anno 449; nel 579 pare che un anonimo copista abbia utilizzato le illustrazioni di Filocalo per realizzare un planisfero; nel 602 il monaco bobbiese Colombano di Luxeuil si servì delle tavole contenute nel Cronografo per computare il ciclo pasquale. Anche una cronaca anglosassone del 689 fu esemplata dal modello romano.
È noto che la raccolta originale esisteva ancora fino al IX-X secolo, quando, per le sue associazioni con l’età costantiniana, ne fu realizzata una copia completa e fedele, l’ormai perduto manoscritto Luxemburgensis. Nello stesso periodo fu redatto un altro esemplare non illustrato, noto come Codex Sangallensis 878. Dopo l’epoca carolingia non si hanno più tracce dell’autografo tardoantico; di esso, però, sopravvivono complessivamente almeno venti copie di IV secolo.
Nel Rinascimento, la scoperta del Luxemburgensis suscitò grande fermento, ispirando tra il Cinquecento e il Seicento una serie di nuove copie, la migliore delle quali, il Codex Romanus (oggi conservato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana), venne eseguita sotto l’attenta supervisione dell’erudito Nicolas-Claude Fabri de Peiresc (1580-1637). La conoscenza del testo, dunque, proviene dalle copie rinascimentali superstiti.
Sebbene il Cronografo del 354 sia un documento unico del suo genere, è indubbio che in epoca tardoantica circolassero testi simili: come nessun altro reperto contemporaneo, lo studio dei contenuti e degli aspetti formali dell’opera offre preziose informazioni sulla vita quotidiana nella Roma del IV secolo, consentendo di addentrarsi nelle dinamiche sociali, politiche e religiose del mondo che l’ha prodotto.
L’opera mostra la transizione in atto dalla religiosità tradizionale romana alla progressiva cristianizzazione della classe senatoria e la tendenza all’adattamento e all’assimilazione tra la cultura classica e la nuova spiritualità.
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