La conquista romana della Britannia

Un tempo l’isola di Britannia era conosciuta come Albion (Plin. Nat. hist. IV 102; Avien. Or. Mar. 108-109 = FGrHist. 2009 F 1; la notizia risale probabilmente a Pitea di Marsiglia, c. 325 a.C.). Nelle fonti greche più antiche, la Britannia appare sotto il nome di Βρεταννικαὶ νῆσοι e gli abitanti sono detti Βρεττανοί (Strabo II 1, 18; 5, 12), mentre negli autori latini la forma Britannia è attestata dal I secolo a.C. (Caes. BG. II 4, 7 ss.; 4, 20 ss.; 5, 2 ss.; Cic. Ad fam. VII 6 ss.; cfr. Rivet-Smith 1979, 282).

I primi contatti tra la Britannia e il mondo mediterraneo furono di natura commerciale: lo scopo del viaggio di Pitea intorno all’isola (fine IV sec. a.C.) era la ricerca di minerali e altre materie prime. Fino a prima dell’invasione di Cesare, l’entroterra era perlopiù ancora sconosciuto. L’impresa del generale romano nel 55 a.C. gli fornì una serie di informazioni sul territorio per progettarne la conquista l’anno successivo. La spedizione, tuttavia, non conseguì un risultato soddisfacente e la Britannia rimase fuori dal controllo romano per ancora un secolo.

Sbarco delle legioni di Cesare in Britannia. Illustrazione di P. Connolly.

A ogni modo, fra l’isola e il continente – soprattutto Gallia e Italia (Strabo II 5, 8; IV 5, 1-3) – vi furono costanti scambi commerciali e alcuni principi locali intrattennero importanti rapporti diplomatici con Roma, al punto che persino due capi-tribù britannici in esilio trovarono asilo presso l’Impero (August. R.g. 6, 32).

I regni più importanti dell’isola furono quelli dei Trinovantes, dei Catuvellauni e degli Atrebates (Frere 1987, 48-69; già Caes. BG. V 20) e le lotte per la supremazia territoriale delle prime due tribù condussero all’ascesa a Britannorum rex di Cunobellino, capo dei Catuvellauni e figlio di Tasciovano (Suet. Calig. 44), che regnò all’incirca dal 10 al 40.

Gli studi condotti sulle monete battute a suo nome rivelano che costui, muovendo da Verulamium (nell’od. Hertfordshire), riuscì a ottenere il controllo della maggior parte della Britannia sud-orientale e a estendere il suo dominio su Camulodunum, capitale dei Trinovantes (od. Colchester, Essex).

Cunobellino dei Catuvellauni e Trinovantes. Statere, Camulodunum, c. 10-43. AV 5,58 g. Recto: coppia di cavalli al galoppo, verso sinistra; foglia nel campo superiore, ruota in quello inferiore; CVNOBELIN in exergo.

La sua morte, nel 43, avrebbe causato la rottura dello status quo tra le tribù rivali, offrendo il destro all’invasione claudiana, il cui obiettivo, stando a Cassio Dione (LX 20), era proprio quello di conquistare il regno di Cunobellino: il pretesto dichiarato sarebbe stata la restaurazione al trono degli Atrebates di Verica, cliente dei Romani (DCass. LX 19).

Claudio affidò il comando delle operazioni ad Aulo Plauzio, alla testa di un nutrito corpo di auxiliae e ben quattro legioni: la II Augusta, agli ordini di Tito Flavio Vespasiano (Tac. Agr. 13, 5; Suet. Vesp. 4), la VIIII Hispana, guidata da Gneo Osidio Geta, la XIV Gemina, al comando di Tito Flavio Sabino, e la XX Valeria Victrix, condotta da Gneo Senzio Saturnino. Salpati forse da Gesoriacum (od. Boulogne-sur-Mer), i Romani sbarcarono a Rutupiae (od. Richborough, Kent) e consolidarono le loro posizioni sul territorio circostante, corrispondente all’ex regno di Verica.

La resistenza indigena fu guidata dai figli di Cunobellino, Togodumno e Carataco, i quali, radunata una poderosa armata, diedero battaglia agli invasori presso l’odierna Rochester, sul corso del Medway. I combattimenti si protrassero per due giorni e vi si distinse Osidio Geta, per cui fu insignito degli ornamenta triumphalia. I Romani incalzarono i nemici oltre il Tamesis (Tamigi), inflissero loro gravi perdite e dilagarono nel sud-est dell’isola. L’oppidum di Camulodunum fu espugnato e trasformato in una fortezza legionaria (Dunnett 1975, 31-35).

Nel 46 Claudio rientrò a Roma per celebrare la vittoria e ricevere l’appellativo di Britannicus. Mentre Carataco, perso il fratello, fuggiva verso occidente, Vespasiano proseguì le operazioni in quella direzione, sottomettendo le tribù indigene fino all’attuale Exeter e conquistando l’isola di Vette (Suet. Vesp. 4).

Vespasiano alla guida della legio II Augusta. Illustrazione di G. Sumner.

Sotto il nuovo governatore, Ostorio Scapula, nel 47 i Romani dilagarono anche nel Nord, raggiungendo i corsi dell’Humber e del Severn; il proconsole lanciò un’offensiva contro le tribù dell’odierno Galles, scontrandosi contro la fiera resistenza dei Silures.

Nel frattempo, a oriente gli Iceni, precedentemente alleati di Roma, si erano ribellati, dopo che il governatore ne aveva ordinato il disarmo. Benché si fossero coalizzati con altre tribù vicine, i Romani ne ebbero la meglio e il loro re, Antedio, fu deposto e sostituito da Prasutago, filo-romano. Intanto, Carataco, sconfitto, proseguiva la sua fuga nel territorio dei Brigantes, clienti di Roma, la cui regina Cartimandua lo fece catturare e consegnare a Scapula.

Nel 49 Camulodunum, divenuta capitale della provincia britannica, fu ribattezzata Colonia Victricensis: da quel momento l’abitato conobbe un’intensa trasformazione in città romana, con l’erezione di una serie di importanti edifici pubblici (fra i quali, nel 55, si ricorda il tempio del Divo Claudio: Tac. Ann. 31). Dopo la morte di Scapula, nel 53 l’amministrazione dell’isola passò ad Aulo Didio Gallo.

Sotto il principato di Nerone, si succedettero Quinto Veranio Nipote e Gaio Svetonio Paolino. Quest’ultimo, in particolare, era un senatore di rango pretorio (DCass. LX 9), che nel 42, sotto Claudio, si era distinto in qualità di legatus Augusti aver condotto un’importante spedizione oltre la catena dell’Atlante in Mauretania. Per le sue abilità di uomo politico, Paolino fu soprannominato vetustissimus consularium (Tac. Hist. II 37, 1).

Forse nel 58 subentrò a Veranio Nipote nel comando britannico e nei due anni successivi condusse una dura offensiva. Sottomise tutta la regione occidentale della Britannia e assaltò l’isola di Mona (od. Anglesey), sede di un importante culto druidico. Mentre Paolino era così impegnato, nel 60/1, gli Iceni si ribellarono nuovamente, trovando alleati presso i Trinovantes: la sanguinosa rivolta fu guidata da Boudicca, vedova di Prasutago, assetata di vendetta contro i Romani (DCass. LXII 1-2). I ribelli, adunate forze consistenti, marciarono su Camulodunum, dove incontrarono scarsa resistenza e misero a ferro e fuoco l’abitato.

La regina Boudicca esorta gli Iceni alla sommossa. Illustrazione di R. Oltean.

Quinto Petilio Ceriale, comandante della VIIII Hispana tentò di riconquistare la città, ma fu respinto. L’esercito ribelle incendiò e rase al suolo anche Londinium (od. Londra) e Verulamium (od. St Albans). Nel frattempo, Paolino riunì le unità superstiti, marciò verso meridione e raggiunse l’armata ribelle lungo la cosiddetta Watling Street, dove scoppiò una furiosa battaglia. Benché i Romani fossero in inferiorità numerica, inflissero una dura sconfitta ai nemici. Mentre Tacito (Ann. XIV 39; Agr. 15) racconta che Boudicca, per non cadere prigioniera dei Romani, si avvelenò, Cassio Dione (LXII 12) narra che cadde malata e morì di stenti.

La conquista romana della Britannia proseguì con una serie di nuove campagne militari e rapporti diplomatici, fino all’età flavia. Le regioni settentrionali dell’isola si rivelarono ancora più dure da sottomettere a causa delle montagne e dell’ostilità delle popolazioni indigene.

Sotto il principato di Domiziano, il nuovo governatore della Britannia, Gneo Giulio Agricola pianificò una serie di spedizioni, tra gli attuali Galles e Scozia, volte a consolidare il dominio romano nell’isola e a difenderne i confini. Il generale poté contare su quattro legioni (II Adiutrix, II Augusta, VIIII Hispana, XX Valeria Victrix) e numerose unità ausiliarie (cfr. Rodríguez González 2003, 725; Le Bohec 1992, 34; 45).

Dopo aver fatto i preparativi necessari, nel 77 Agricola mosse guerra alla tribù degli Ordovices, li sconfisse e li sterminò, perché, stando al resoconto di Tacito (Agr. 18, 2), avevano teso un’imboscata a uno squadrone di cavalleria romano. Quindi, allestita una flotta, invase e sottomise nuovamente l’isola di Mona. Nonostante avesse perpetrato dure repressioni nei confronti delle genti ribelli, Agricola si guadagnò una buona fama come amministratore oltre che come generale: promosse la romanizzazione dei Brigantes nel Settentrione, incoraggiò la costruzione di nuovi centri abitati e l’educazione dei ragazzi secondo l’uso romano (Tac. Agr. 20, 3).

Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (o Nerone?). Testa, bronzo, c. 50 dal letto del River Alde, presso Rendham. London, British Museum.

Nel 79 Agricola riprese le operazioni militari nel Nord, avanzando fino all’estuario del fiume Tanus (Tay); sconfitti i Venicones, per consolidare le posizioni raggiunte, fece costruire una serie di castra, nota al giorno d’oggi come “Gask Ridge”, e installò altri praesidia nell’odierna Scozia centrale, tra i corsi del Clota (Clyde) e del Bodotria (Forth). Nell’81 le armate di Agricola si volsero verso sud-ovest, sconfiggendo più volte le orde dei Novantae e dei Damnonii (Tac. Agr. 24, 1).

L’anno seguente i Romani mossero contro le tribù sul corso del Bodotria, mentre i Caledonii attaccarono in forze gli accampamenti della legione  VIIII Hispana, ma Agricola riuscì a respingerli con i reparti di cavalleria.

Le fonti antiche riportano il nome dei Caledonii in vario modo: Tacito (Agr. 25) identificava così le popolazioni dell’odierna Scozia oltre l’istmo tra il Forth e il Clyde; Tolemeo (II 3, 8), chiamava in questo modo una delle tribù del Great Glen, mentre Cassio Dione (LXXVI 12) designava con questo nome una confederazione tribale delle Highlands settentrionali. L’uso del toponimo Caledonia (Tac. Agr. 27) e di silvae Caledoniae (Plin. Nat. hist. IV 102) lascia pensare che i Caledonii si fossero stabiliti su una vasta area della Scozia orientale.

Nell’83/4 si giunse al momento decisivo della campagna di Agricola: l’esercito romano si scontrò sul Mons Graupius (un’altura non meglio identificata nelle Highlands) con l’armata della Confederazione caledone, guidata da Calgaco, di cui Tacito tramanda un accorato ma poco credibile discorso contro l’imperialismo di Roma. Dopo uno scambio di dardi e pietre, il comandante romano lanciò all’attacco le coorti di ausiliari batavi e tungri, con l’ordine di impegnare il nemico in un estenuante corpo a corpo.

L’armata di Gneo Giulio Agricola al Monte Graupio (84). Illustrazione di S. Ó’​ Brógáin.

Il dominio romano sulle regioni settentrionali, tuttavia, non durarono a lungo. Gli sforzi per mantenere una certa stabilità su quell’area continuarono fino a quando, nel 122, Adriano non ordinò la costruzione di un vallo lungo lo stretto corridoio di Tyne-Solway (Breeze 1982, 73-92).

Il suo successore, Antonino Pio, fece erigere un muro di confine tra il Firth of Forth e il Firth of Clyde nella Scozia centrale, posizione che resistette per circa vent’anni e verso il 165 fu abbandonata. Da allora il Vallo di Adriano costituì il confine romano fino all’abbandono totale dell’isola nel IV secolo (Frere 1987, 332-348).

Le città romane in Britannia si svilupparono attraverso una combinazione di deductio coloniaria e crescita demografica delle comunità locali. Oltre la capitale, Camulodunum , i Romani fondarono entro la fine del I secolo le colonie di Lindum e Glevum. A Eboracum fu accordato lo status di colonia, dopo che nel III secolo divenne la nuova sede provinciale. In altri luoghi dell’isola, le civitates e gli oppida indigeni contribuirono allo sviluppo urbanistico del territorio.

Nel Meridione, la presenza di città, come Verulamium, Calleva Atrebatum, Noviomagus, Venta Belgarum, Durovernum Cantiacorum e Corinium Dobunnorum, facilitò il processo di romanizzazione della popolazione locale (Wacher 1975). Ciononostante, nella maggior parte dell’isola la lingua, le strutture sociali e i culti di epoca pre-romana rimasero dominanti (Henig 1984).Gli squadroni di cavalleria, invece, respinti i carri da guerra caledoni, si unirono alla mischia stringendo gli armati britannici alle spalle: fu una vera carneficina! (Tac. Agr. 29; sulle perdite 37, 9).

La Britannia romana [Encyclopædia Britannica 1929].

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