La giustizia secondo Esiodo

Nella pagina critica riportata di seguito, la studiosa statunitense Jenny Strauss Clay, grecista dell’Università della Virginia, trae le conclusioni di un articolato discorso che interpreta Le opere e i giorni di Esiodo come un sentiero verso la virtù.

di J. Strauss Clay, Works and Days. Tracing the Path to Arete, in F. Montanari, A. Rengakos, C. Tsagalis (eds.), Brill’s Companion to Hesiod, Leiden-Boston 2009, 80-83 passim.

La quinta e ultima età, quella del ferro, non è introdotta secondo lo stile catalogico che contraddistingue le altre, ma con un’esclamazione accorata di Esiodo (vv. 174-175): Μηκέτ’ ἔπειτ’ ὤφελλον ἐγὼ πέμπτοισι μετεῖναι / ἀνδράσιν, ἀλλ’ ἢ πρόσθε θανεῖν ἢ ἔπειτα γενέσθαι («Avessi potuto io non vivere con la quinta stirpe / degli uomini, ma fossi morto prima oppure nato dopo!»). In certi contesti, il desiderio del poeta è stato erroneamente interpretato come un riferimento a uno schema ciclico, secondo cui l’età dell’oro o quella degli eroi sarebbero ritornate dopo la distruzione dell’età del ferro. Ma questo non può essere: l’intento parenetico dell’intero poema delle Opere e i giorni sarebbe compromesso; perché cambiare la propria vita, se in ogni caso arriveranno tempi migliori? Inoltre, l’età del ferro si differenzia dalle altre anche per non essere stata prodotta direttamente dagli dèi, ma per essere la diretta discendenza degli eroi, dopo che le divinità hanno preso le distanze dal genere umano […].

Gaetano Gandolfi, Allegoria della Giustizia. Olio su tela, post 1760. Paris, Musée du Louvre.

L’età del ferro ha due fasi, una cattiva e l’altra peggiore. Per quanto difficili possano essere le cose nella prima fase, nondimeno al bene si trova sempre mescolato il male. E prossima a venire è una concezione apocalittica del futuro, quando ogni forma di violenza e di ingiustizia non sarà soltanto tollerata, ma anche onorata, e la forza detterà legge. Il rispetto per i vincoli familiari, per i genitori e per gli dèi sarà calpestato, mentre lo spergiuro e i discorsi duri e contorti trionferanno, fino all’allontanamento di Αἰδώς e Nέμεσις […]. Eppure, l’orribile visione del futuro descritta da Esiodo non è inevitabile: il mondo è un crocevia, e soltanto gli insegnamenti del poeta stesso possono prevenire la catastrofe finale.

Le prime tre lezioni di Esiodo (il mito di Contesa, Prometeo e le cinque età) trasmettono messaggi differenti, ma in tutte e tre Zeus è artefice della condizione umana. Mentre il mito di Prometeo è rivolto sia a Perse sia ai re, gli altri sono apparentemente rivolti solo al fratello. Tuttavia, Esiodo inizia affermando di voler risolvere la contesa con Perse, e dunque le parti chiamate in causa non sono solamente sé stesso e il fratello; siccome i crimini di Perse hanno avuto l’appoggio dei re, il poeta deve anche troncare il legame sciagurato tra questi e il congiunto. Oltre ad accusare le loro malefatte passate, Esiodo deve anche convincere le due parti che la giustizia, che pure sembra andare contro l’interesse del singolo, è conveniente, e deve persuadere il fratello che il lavoro, di per sé spiacevole, avrà una sua ricompensa […]. Esiodo […] punta ai re, usando un genere letterario che richiede la loro attiva partecipazione per decifrarne il messaggio: essi devono riconoscersi nella favola dello sparviero e dell’usignolo. Stretto fra gli artigli del rapace, l’usignolo (ἀηδών) geme miseramente per il suo destino, ma il predatore gli risponde brutalmente che, nonostante il piccolo volatile sia un bravo cantore (ἀοιδός), egli farà di lui ciò che vorrà e potrà divorarlo, se così gli pare. Il messaggio apparente della favola è che in un mondo in cui il simile divora il simile le parole, anche quelle di Esiodo, come nel caso del povero usignolo, non valgono contro la forza bruta […]. Rivolgendosi bruscamente a Perse, Esiodo, in una serie di vivide personificazioni (vv. 213-224), assume la voce della Giustizia stessa: il fratello deve dare ascolto a essa e smetterla di ingraziarsi Tracotanza (ὕβρις), che schiaccia tanto gli umili (come Perse) quanto i migliori e fa sì che entrambi vadano incontro al disastro.

William-Adolphe Bouguereau, Némesis (o L’umore notturno), 1882. Havana, Museo Nacional de Bellas Artes.

La Giustizia, adesso personificata, prima gareggia contro Tracotanza, su cui alla fine sarà vittoriosa, ma la violenza che essa subisce dai re «divoratori di doni», che decretano la disonestà, provoca l’indignazione pubblica. In lacrime, essa si allontana, programmando il castigo per coloro che le fanno violenza. In un dittico, poi, sono affiancate le gioie godute dalla città giusta e le varie sventure che si abbattono su quella ingiusta (vv. 225-247). Infatti, anche la malvagità di uno solo può scatenare la punizione divina sull’intera comunità. Notiamo che Zeus, nel suo ruolo punitivo, è di gran lunga più visibile nella città ingiusta che in quella giusta. Questa discussione può avere diversi significati per Perse e per i re, ma suggerisce comunque che promuovere la giustizia è nell’interesse di entrambi. Lasciando Perse a valutare se le sue passate attività di favoreggiamento dei re perversi siano veramente state vantaggiose, il poeta per la prima volta si rivolge loro direttamente, questa volta non attraverso gli enigmi di una favola, ma con una fragorosa, triplice minaccia (vv. 248-269): i 30.000 guardiani di Zeus (che sono gli spiri defunti dell’età aurea) osservano la loro ingiustizia; e la Giustizia, che aveva lasciato in lacrime, adesso denuncia i torti a suo padre Zeus, così che la comunità possa pagare per le malefatte dei suoi re. Essi non possono fuggire, perché lo sguardo di Zeus in persona vede che tipo di giustizia essi stanno dispensando.

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