Claudio Rutilio Namaziano

Claudio Rutilio Namaziano fu poeta e politico latino del V secolo. Di origini galliche (forse nacque di Tolosa), era figlio di Lacanio, funzionario imperiale celebre per la sua integrità. Trasferitosi a Roma in età relativamente giovane, come suo padre, anche Namaziano ricoprì incarichi di grande rilievo nell’amministrazione pubblica e la sua carriera fu anzi più brillante di quella paterna: sotto il dominato di Onorio egli fu magister officiorum nel 412 e praefectus Urbi nel 414.

Fornito di un’ottima formazione culturale, Namaziano apparteneva all’ambiente dell’aristocrazia senatoria più tradizionalista, legata al culto degli antichi dèi di Roma: la sua mentalità, i suoi ideali, le sue posizioni politiche, che traspaiono dall’operetta che di lui si è conservata, sono i medesimi della società rispecchiata dall’epistolario di Simmaco e del circolo culturale descritto da Macrobio nei suoi Saturnalia.

Nell’autunno del 416, o più tardi nel 417, a causa delle gravi notizie provenienti dalle Galliae, Namaziano fu costretto a ritornare in patria per sorvegliare personalmente le sue proprietà fondiarie e contribuire a riorganizzare la provincia, devastate dalle scorrerie di Vandali e Visigoti.

Un letterato nel suo studio. Rilievo, marmo, III-IV sec. d.C. Roma, Museo della Civiltà romana.

Il De reditu suo [Sul proprio ritorno], un poemetto in distici elegiaci, pervenuto lacunoso (ne sopravvivono 664 versi del libro I e 68 del II, ai quali si aggiungono altri 39 molto frammentari, ritrovati nel 1973) narra, appunto, il viaggio verso la Gallia dal porto di Ostia (Portus Augusti), lungo le coste della Tuscia e della Liguria, attraversando le località di Centumcellae, Portus Herculis, Populonia, Falesia, Villa Triturrita, Pisae, Portus Lunae.

Se da una parte l’Itinerario descrive le bellezze naturali delle coste frastagliate della Penisola, l’isola d’Elba, le montagne della Corsica, che si profilano all’orizzonte, la maestà degli Appennini, che destano la meraviglia del poeta, dall’altra l’attenzione dell’autore si appunta su una serie quasi ininterrotta di rovine e distruzioni: città devastate, campagne abbandonate, desolazione e povertà, che regnano in ogni luogo.

L’Itinerario di Rutilio Namaziano. Ricostruzione di I. Lana [Fo 1997, xxvi]

Legato agli ambienti neoplatonici e ai culti aviti, Namaziano riempie il proprio «giornale di viaggio» con malinconici rimpianti per un mondo che sta ormai finendo.

Narrazioni di odeporiche in forma autobiografica erano presenti nella poesia classica all’interno del genere satirico: si pensi all’Iter Siculum di Lucilio o all’Iter Brundisinum di Orazio (Sat. I 5). Tuttavia, mentre i poeti satirici si erano soffermati su aneddoti divertenti e spiritosi e su particolari anche umili della vita quotidiana, allo scopo di intrattenere piacevolmente il lettore, Namaziano si mantiene invece costantemente su un livello stilistico elevato, escludendo ogni elemento troppo realistico e “basso”; anzi, egli sfrutta il motivo del viaggio per dare sfoggio alla propria cultura letteraria.

Scena da Portus Augusti (Ostia). Bassorilievo, marmo bianco, c. fine II sec. d.C., dal cosiddetto “Rilievo Torlonia”. Roma, Collezione della Fondazione Torlonia.

Inoltre, l’autore inserisce non solo brevi racconti di svariati episodi (come la battuta di caccia o le cerimonie in onore di Osiride, cui assiste a Faleria), ma anche e soprattutto descrizioni ed encomi di città e persone – perlopiù di amici, che incontra nelle località visitate –, nonché invettive contro avversari e sviluppi di luoghi comuni moralistici.

Grande rilievo ha, quasi in apertura dell’operetta, l’esaltazione di Roma, cui il poeta si rivolge come a una divinità, dedicandole un vero e proprio inno (vv. 47-164); in esso egli dichiara solennemente – a pochi anni di distanza dal sacco di Alarico – la propria fede nell’eternità dell’Urbe ed elogia la funzione provvidenziale svolta dall’Impero nei confronti dei popoli conquistati:

Exaudi, regina tui pulcherrima mundi,

inter sidereos, Roma, recepta polos;

exaudi, genetrix hominum genetrixque deorum:

non procul a caelo per tua templa sumus.

te canimus semperque, sinent dum fata, canemus:

sospes nemo potest immemor esse tui.

obruerint citius scelerata oblivia solem

quam tuus e nostro corde recedat honos.

nam solis radiis aequalia munera tendis,

qua circumfusus fluctuat Oceanus;

volitur ipse tibi, qui continet omnia, Phoebus

eque tuis ortos in tua condit equos.

te non flammigeris Libye tardavit arenis;

non armata suo reppulit ursa gelu:

quantum vitalis natura tetendit in axes,

tantum virtuti pervia terrae tuae.

fecisti patriam diversis gentibus unam;

profuit iniustis te dominante capi;

dumque offers victis proprii consortia iuris,

urbem fecisti, quod prius orbis erat.

Dea Roma. Affresco, I sec. d.C. Roma, P.zzo Massimo alle Terme.

Dammi ascolto, bellissima regina del mondo che t’appartiene,

Roma, accolta tra le stellate volte del cielo!

Dammi ascolto, madre d’uomini e madre di dèi:

grazie ai tuoi templi noi non siamo lontani dal cielo.

Ti cantiamo, e ti canteremo sempre, finché i fati lo concedano:

nessuno, finché è vivo, può dimenticarsi di te!

Un empio oblio potrà oscurare il sole,

prima che la tua gloria svanisca dal mio cuore:

perché i favori che tu spargi sono uguali ai raggi del sole,

fin dove scorre Oceano che ci circonda.

Per te si volge anche Febo stesso, che tutto controlla,

e in te nasconde i suoi cavalli, da te sorti:

non è stata un ostacolo per te la Libia con le sue sabbie infuocate,

né l’Orsa armata del suo gelo ti ha respinto;

quanto la vita della natura si è estesa tra i due poli,

tanto la terra si apre al tuo valore.

A popoli diversi hai dato un’unica patria;

è stato un bene per chi era senza legge cadere sotto il tuo dominio!

e concedendo ai vinti di condividere il tuo diritto peculiare,

hai trasformato in città quel che prima era mondo!

(Namat. De red. suo I 47-66, trad. it. A. Rodighiero, 2011, con modifiche)

Ancora più dell’elogio nell’opera di Namaziano risulta significativo il biasimo, che si esprime in invettive rivolte contro i nemici di Roma, individuati dall’autore, oltre che nelle popolazioni barbare, anche nei cristiani. Dal momento che l’Impero è ormai da tempo ufficialmente cristiano, non potendo attaccare direttamente la religione che anche a corte ha soppiantato gli antichi culti, il poeta si scaglia da un lato contro i Giudei, avari e disonesti, dalla cui terra conquistata esala il contagio che ormai corrompe gli stessi funzionari imperiali, e dall’altro contro una particolare categoria di cristiani, quella dei monaci.

Le invettive sono piene di sdegno e di disprezzo: in particolare, Namaziano interpreta la scelta della vita ascetica dei monaci come una fuga dalle responsabilità e dai doveri del buon cittadino, come una vergognosa diserzione dettata dalla paura e da una forma di isteria furiosa, che spinge i giovani appartenenti a famiglie altolocate a seppellirsi vivi, sottraendo energie preziose alla società e alla politica.

Giovane magistrato romano. Statua, marmo, fine IV secolo, dal ninfeo degli Horti Liciniani. Roma, Centrale Montemartini.

Un’altra invettiva rivelatrice dell’atteggiamento dell’autore nei confronti dei problemi dell’attualità contemporanea è quella scagliata, nel libro II, contro Flavio Stilicone. Il generalissimo di origine romano-vandalica, che, tutor principum, aveva perseguito la politica teodosiana di conciliazione con l’elemento barbarico, viene definito da Namaziano «traditore» (proditor) della romanità e gli viene attribuita la responsabilità del sacco di Roma, avvenuto, in realtà, due anni dopo il suo violento assassinio.

Il De reditu suo costituisce, dunque, il documento dell’amore appassionato e del rimpianto del suo autore per la grandezza della patria romana, di cui egli teme la prossima fine. Il culto del passato si manifesta anche sul piano formale, nella lingua e nello stile (assai ornato e ricercato), scrupolosamente modellati sui classici, come pure nella metrica ineccepibile, nei continui richiami intertestuali ai grandi poeti del passato: del solo Virgilio si contano, nell’operetta, più di 200 reminiscenze.

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Riferimenti bibliografici:

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