Gli “stipendia” dei soldati romani

Stranamente, a fronte di una vastissima bibliografia moderna sull’argomento, scarsa è la documentazione antica, letteraria ed epigrafica, su quanto esattamente guadagnassero i soldati romani.

Questo stato di cose ha reso difficile agli studiosi una precisa ricostruzione della paga annuale di un militare antico. Il primo a studiare l’argomento fu Alfred von Domaszewski nel 1899 e da allora sono stati proposti diversi modelli interpretativi; le ricerche più recenti sono state condotte da Michael A. Speidel, che a partire dal 1992 si è esercitato sulla questione.

Il signifer distribuisce lo stipendium ai soldati della Legio XXI Rapax (I secolo). Illustrazione di J. Morán.

È noto, grazie soprattutto a fonti papiracee, che i soldati romani ricevevano una paga annua in tre rate (stipendia): il 1° gennaio (RMR 72.7; 73 fr. h; ChLA 466; 473; 495; P. Panop. 2.37; 58; 201; 292), il 1° maggio (RMR 66 fr. b I 30, 71 fr. a 1; 10 fr. b 5) e il 1° settembre (RMR 66 fr. b II 3; ChLA 495; P. Oxy1047; 2561).

L’entità degli emolumenti corrisposti ai militari nel I e II secolo è stata ricostruita grazie ad alcune fonti letterarie, mentre quella del III secolo è stata desunta in modo indiretto e non esiste un parere unanime tra gli studiosi (Jahn 1984, 66 ss.). Per maggiore comodità, tutte le cifre stimate sono riportate dagli esperti in sestertii, quattro dei quali fanno un denarius (Jahn 1984, 65; cfr. Doppler 1989, 110-111).

I maggiori problemi hanno riguardato l’ammontare complessivo delle paghe in base al grado ricoperto nella gerarchia dell’esercito; naturalmente, cavalieri e centurioni percepivano molto di più di un semplice miles, ma le cifre non sono certe, soprattutto per i reparti scelti, come le cohortes praetoriae o quelle urbanae. In ogni caso, gli studi di Speidel hanno permesso di ricostruire con buona verosimiglianza il sistema utilizzato tra l’età di Cesare e l’impero di Massimino Trace: i pagamenti degli stipendia erano commisurati al grado del beneficiario, erano effettuati con scadenze regolari e prefissate, erano calcolati in base alla lunghezza del servizio prestato, e pare che contemplassero ulteriori  beneficia per particolari meriti del soldato.

Ora, un legionario semplice del I secolo percepiva 300 sestertii, pari a 75 denarii, per stipendium: Svetonio (Iul. 26, 3), riferendo che legionibus stipendium in perpetuum duplicavit, potrebbe alludere al fatto che Cesare, forse nel 49 a.C., avesse fissato le corresponsioni intorno a alla suddetta cifra (Keppie 1996, 371-372).

Non è attestato che sotto Augusto ci fosse stato un aumento, ma è noto da Cassio Dione (LIV 25, 5-6) che nel 13 a.C. il princeps impose una formula certa (o condicio) sul sistema degli emolumenti militari. Tacito (Ann. I 17, 4) riporta che intorno all’anno 14 d.C. i soldati romani ricevevano una paga giornaliera di 10 assi, equivalenti a 912½ sestertii l’anno.

Da sinistra a destra: miles auxiliarum (Germania, 14); miles legionarius (Germania, c. 20-50); beneficiarius (Britannia, 70). Illustrazione di G. Sumner.

Cassio Dione (LXVII 3, 5), invece, riferisce che prima dell’84 lo stipendium militare ammontava a 300 sestertii, mentre, dopo l’abolizione dello stipendium Domitiani (Suet. Dom. 7, 3, addidit et quartum stipendium militi, aureos ternos), ogni soldato ne riceveva 400.

Il biografo di Settimio Severo (SHA Sev. 12, 2) ed Erodiano (III 8, 5) dicono che l’imperatore aumentò le paghe militari a quantità mai raggiunte in precedenza: Joachim Jahn ha dimostrato che questo incremento fu del 100% (cfr. Passerini 1946, 145-159).

Caracalla, ricordando le ultime parole del padre sul letto di morte, incrementò ulteriormente gli stipendia a 1200 sestertii, soprattutto per ingraziarsi i soldati dopo l’uccisione del fratello Geta (Hrd. IV 4, 7; cfr. DCass LXXVIII 36, 6, che riporta che dal 218 l’aumento di Caracalla portò la spesa pubblica a 70.000.000 di denarii l’anno; cfr. Pekáry 1959, 484).

Massimino il Trace duplicò lo stipendio militare, portandolo a 2400 sestertii (Hrd. VI 8, 8), ma pare che dopo di lui non si siano verificati ulteriori aumenti pecuniari (cfr. Jahn 1984, 66-68): le uniche due forme di retribuzione per i soldati a subire incrementi furono soltanto l’annona militaris e i donativa (van Berchem 1936, 136-137; Jahn 1984, 53).

Sviluppo dello stipendium nell’esercito romano (da Augusto a Massimino il Trace) [tabella].

Di acclarata importanza documentaria, oltre che archeologica, è il sito della fortezza romana di Vindonissa (od. Windisch, Svizzera), che nel corso del I secolo fu quartier generale delle legiones (XIII Gemina, XXI Rapax, XI Claudia Pia Fidelis) e auxilia (le cohortes VI e VII Raetorum, XXVI Voluntariorum Civium Romanorum, III Hispanorum).

Il sepolcro di Indo, corporis custos di Nerone (AE 1952, 148). Illustrazione di Á. García Pinto.

Nel corso di lunghe campagne di scavo sono state portate alla luce ben 600 tavolette lignee, anticamente ricoperte di cera (delle quali soltanto 30 sono meglio conservate), che con i loro testi redatti in corsiva offrono uno spaccato di vita quotidiana castrense. Tra queste, la Tab. Vindon. 2 (16 x 7,3 cm, Speidel 1996) conserva quella che sembra la parte finale della ricevuta per lo stipendium di un soldato (è un testo raro e finora non ne sono stati trovati altri simili):

 [. . . . . . .] | Asinio Ce[l]erẹ, Nọṇ[io] co(n)s(ulibus), XI k(alendas) | Aug(ustas). S(upra) s(criptus) Cḷua, eq(ues) Raetor(um) | tụr(ma) Aḷbi Pudentis, ac(c)epi X̶ (denarios) L | [e]ṭ stipendi proximi X̶ (denarios) LXXV.

Traduzione: «[…] il 22 luglio dell’anno di consolato di Asinio Celere e Nonio (= 38), io, il suddetto Clua, cavaliere dello squadrone dei Reti di Albio Pudente, ho ricevuto una paga di 50 denarii e 75 di anticipo».

La natura del documento è piuttosto chiara: come si è detto, si tratta di una ricevuta della paga del cavaliere retico Clua, scritta, a quanto pare, proprio dall’interessato e con mano incerta (si nota l’omissione del cognomen Quintiliano del secondo console) – insomma, una sorta di autodichiarazione (sulle irregolarità della scrittura, cfr. Bakker – Gallsterer-Kröll 1975, n. 349; Tomlin 1988, n. 53; CIL XIII 10009, 6, 119a; 10010, 118d2, 228i, 251e).

Le pagine precedenti, non conservatesi, dovevano presumibilmente contenere il testo ufficiale dell’intero documento, insieme ai nomi e ai sigilli dei testimoni. Una copia dell’incartamento era probabilmente conservata nei registri ufficiali del reparto.

Cavaliere accompagnato da due servitori. Bassorilievo, marmo, c. 170, dal cosiddetto “Rilievo Giustiniani”. Berlin, Altes Museum.

La redazione e la conservazione di questo genere di documenti era solitamente affidata a un contabile (librarius) o a un tesoriere (signifer): a tal proposito, Vegezio (Ep. rei mil. II 20) ricorda che proprio i signiferi, che dovevano essere obbligatoriamente litterati homines, erano responsabili delle paghe delle truppe e di singulis reddere rationem.

Curiosamente, il nome Clua compare anche su un’iscrizione di Brescia (CIL V 4698), in cui figura come padre di un certo Esdrila. È probabile che Clua fosse abbastanza diffuso nell’onomastica locale subalpina e fosse proprio di origine retica (si vd. Untermann 1959, 126 ss.; 151 ss.; Hartmann-Speidel 1991; Holder 1896-1904, III 1238; 1240).

Il Clua della tavoletta era un membro di uno squadrone di cavalleria (turma) – un’unità propria degli auxilia (mentre la cavalleria legionaria era assegnata alle singole centuriae; cfr. Speidel 1987, 56-58) – al comando di un certo Albio Pudente, non altrimenti noto: potrebbe trattarsi di un soldato di carriera (un eques legionis) ad tradendam disciplinam immixtus (Tac. Agric. 28; cfr. AE 1969/70, 661; CIL III 8438; si vd. anche Speidel 1980, 111-113). Sebbene Clua si riferisca alla propria unità semplicemente con l’espressione colloquiale di equites Raetorum (cfr. anche Tab. Vindol. 181, 13; Speidel 2006, 14; 1981, 109-110), si può essere certi che si trattasse di una cohors Raetorum equitata, forse la cohors VII Raetorum equitata, di stanza a Vindonissa alla metà del I secolo.

Un eques cohortis (I-II secolo). Illustrazione di M. Alekseevich.

Secondo le stime degli studiosi, la paga annuale di un eques cohortis auxiliarum ammontava a 225 denarii; in questo caso, appare interessante che a luglio inoltrato Clua abbia avuto bisogno di riceverne in tutto 125 (tra il saldo, forse al netto di spese in detrazione, dello stipendio spettante al 1° maggio e quello successivo del 1° settembre), pari a quasi la metà dell’intera paga. Come ha mostrato Speidel (1992, 91), sono pervenuti dei papiri (RMR 70 [192 d.C.]; 73 [c. 120-150 d.C.]; ChLA 473 [II-III sec. d.C.]) che attestano, seppure indirettamente, altri casi di corresponsione anticipata degli stipendia.

In quali circostanze l’esercito romano era disposto a concedere un anticipo? Potrebbero essere state le più svariate, anche se ne è nota solo una: è testimoniata da un papiro egiziano datato al 179 (RMR 76), il cui corpo di testo conserva circa sessantadue ricevute, emesse a nome dei cavalieri dell’ala Veterana Gallica per la loro paga annuale di 25 denarii.

La maggior parte di costoro dichiara esplicitamente di aver ricevuto il denaro in anticipo (ἐν προχρε[ί]ᾳ), perché erano in procinto di lasciare i propri acquartieramenti di Alessandria per recarsi negli avamposti del Basso Egitto (alcuni dei quali a più di 300 km di distanza; si vd. Daris 1988, 752-753). Le paghe sono state corrisposte a quegli equites tra il 9 gennaio e il 6 marzo; purtroppo, non si sa con certezza quando la paga annuale sia stata interamente consegnata, ma la spiegazione più probabile per un anticipo è che i distaccamenti non sarebbero rientrati alla base il giorno di paga, poiché il servizio presso gli avamposti esterni poteva durare molti mesi.

Una zuffa per l’insegna: scena di vita castrense. Illustrazione di Z. Grbasic.

È possibile che anche Clua stesse per andare in missione (Hartmann-Speidel 1991, n. 27) e che, quindi, abbia ricevuto in anticipo il suo terzo stipendium. Quanto ai 50 denarii, sui quali non fornisce ulteriori informazioni, si potrebbe citare l’analogo caso della ricevuta di pagamento di un certo Tinhius Val[—] in RMR 70 (= P. Aberd. 133 b col. ii 7 ss.): questo soldato ricevette una certa somma, accepit sum(–), e fu inviato ad praesi(dium?) Bab(ylonis?); si attesta così la sua assenza il giorno in cui è stato redatto il documento e, quindi, non compare l’espressione accepit stipendium. Secondo Speidel (1992, 357), nonostante questo sia accaduto circa un secolo e mezzo dopo, il parallelo con la tavoletta di Vindonissa potrebbe essere interessante.

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