Le grandi eresie

di G.B. CONTE, Da Costantino al sacco di Roma (306-410), in Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell’Impero romano, Milano 1992, pp. 522-524.

 

Il periodo che va dal riconoscimento da parte di Costantino alla decisione di Teodosio di fare del Cristianesimo l’unica religione di Stato segnò per la nuova fede il passaggio dall’età delle persecuzioni subite a quella delle persecuzioni imposte contro i pagani e contro quanti ancora non aderissero al Cristianesimo (o, quantomeno, lo professassero in forme ritenute ereticali). La religione divenne instrumentum regni e, per potersene servire, gli imperatori furono ben disposti a concedere favori e privilegi; questo contribuì, senz’altro, alla stabilità dell’Impero, ma spesso costrinse la corte ad intervenire in dispute fra le diverse sette cristiane.

Battesimo di Cristo, con Giovanni Battista, la personificazione del Giordano e lo Spirito Santo; intorno la teoria di dodici santi. Mosaico, fine V sec. dalla Cupola del Battistero degli Ariani. Ravenna.

La vicenda di maggiore gravità, che rischiò di compromettere la funzione del Cristianesimo come possibile elemento unificatore dello Stato, fu lo scontro tra l’Arianesimo e la dottrina poi risultata vincente, quella dell’omousía. Per Ario, un prete di Alessandria vissuto nella prima metà del secolo, Cristo non poteva essere considerato uguale a Dio Padre senza che si rischiasse di introdurre nel Cristianesimo elementi di politeismo. La Chiesa ufficiale, invece, sosteneva l’identità sostanziale (omousía) fra Dio padre e Cristo. Di qui, una lunga polemica, che vide schierati su posizioni opposte i teologi: Ario riscuoteva molto favore in Oriente, anche se non mancavano decisi oppositori, mentre quasi tutti contro di lui erano gli occidentali, che scrissero numerose opere per confutare le sue tesi. Tra un concilio e l’altro, un intervento imperiale e l’altro, la vicenda si trascinò per tutto il secolo, ed ebbe conseguenze anche nelle età successive, perché cominciò ad introdurre differenze fra la Chiesa orientale e quella occidentale – e soprattutto perché alcuni vescovi ariani esuli evangelizzarono i Germani, sicché i rapporti fra questi popoli e i Romani, dopo le invasioni, furono resi più difficili anche da questa contrapposizione religiosa.

Michael Damaskinos, Ario. Dettaglio dal Primo Concilio di Nicea. Icona bizantina, tempera su tavola, 1591.

 

Di origini più antiche (risale al III secolo), ma assai attiva nel IV secolo, fu anche l’eresia manichea. I manichei (così chiamati da Mani, il loro capo, che fu crocifisso forse nel 276 in Persia) credevano nell’esistenza di due principi contrapposti, il bene e il male, in perenne lotta fra loro; questo dualismo si proponeva di spiegare l’esistenza del male nel mondo, che non poteva essere voluto da Dio e che, perciò, non doveva risalire ad un’autonoma origine. Si finiva, però, col configurare una doppia divinità e col violare, quindi il principio dell’unità divina.

Khocho, Tarim Basin. MIK III (VIII-IX), f. 6368 r. Monaci manichei intenti alla copiatura di testi sacri, con iscrizione in sogdiano.

 

Violenta, anche se non particolarmente pericolosa per l’unità della Chiesa, fu la disputa contro lo scisma dei donatisti, che nacque in Africa all’inizio del IV secolo e che si diffuse notevolmente in quella provincia, dopo la fine delle persecuzioni. Donato e la sua setta sostenevano una linea molto severa e intransigente, che contrapponeva la Chiesa all’Impero e richiedeva ai Cristiani una vita di completa perfezione spirituale. Questo rigorismo, tipico della Chiesa d’Africa (si pensi a Tertulliano), ebbe notevole successo e il Donatismo fu per gli ortodossi un nemico da combattere almeno per tutto il IV secolo.

Di minore durata, ed estesa soltanto alla Spagna, con pochi riflessi sulla Chiesa gallica, fu l’eresia di Priscilliano. Sui suoi contenuti non si è affatto documentati – la fonte principale sopravvissuta al riguardo è costituita dai Chronicorum libri duo di Sulpicio Severo, il quale riserva ampio spazio a Priscilliano e alla sua setta, non senza mostrare una certa simpatia per essa –: sembra che le tesi dei priscillianisti contenessero elementi manichei, a volte con aspetti di esagerato misticismo; quello che è certo è che la disputa teologica si trasformò in una divisione interna al clero spagnolo con reciproche accuse di immoralità ed empietà, fino all’intervento imperiale che decretò la condanna a morte di Priscilliano, nel 385. La setta sopravvisse ancora per alcuni anni, almeno fino al concilio di Toledo del 400, che favorì il riassorbimento del Priscillianesimo nell’ortodossia. La sua presenza, tuttavia, andò rapidamente diminuendo, anche per le nette condanne da parte di molti dei principali esponenti della cultura cristiana.

Più complessa è la vicenda del Pelagianesimo, un’eresia che si sviluppò nella prima metà del V secolo e che, quindi, andrebbe trattata più avanti, ma che è opportuno anticipare qui, sia per unificare la trattazione di questi principali movimenti ereticali sia perché il maggiore avversario di Pelagio fu Agostino, il quale nei suoi ultimi anni contrastò con tutti i mezzi il diffondersi delle sue teorie.

Pelagio era un monaco di origine britannica, attivo a Roma all’inizio del V secolo e legato da rapporti di amicizia con molti scrittori cristiani del tempo – ad esempio, con Paolino di Nola. Di Pelagio si possiedono una Epistula ad Demetriadem seu liber de institutione virginis, un Libellus fidei ad Innocentium papam e un commento alle Lettere di San Paolo. Perduta è, invece, la sua opera fondamentale, il De libero arbitrio in quattro libri, di cui si conservano solo alcuni frammenti. Il punto centrale dell’eresia pelagiana era nell’affermazione che le opere buone, il comportamento onesto e la vita pura possono da soli meritare la salvezza e che, quindi, l’uomo, se evita il peccato e la colpa, può conquistarsi il paradiso. Fu una dottrina che non teneva conto della necessità della grazia divina per la quale Dio avrebbe salvato solo chi avrebbe deciso di salvare nel suo progetto di redenzione; ne risultava, perciò, accresciuto il ruolo dell’essere umano e sminuito quello di Cristo. Il ruolo fondamentale attribuito da Pelagio all’impegno del singolo che lotta con ogni sua forza per la propria salvezza, non fu visto di buon occhio dalla Chiesa ufficiale, di cui non era contemplato il ruolo di mediazione. Ciò spiega, da un lato, la condanna di Pelagio, dall’altro, il successo che egli e la sua dottrina riscossero presso le fasce dell’alta aristocrazia senatoria di Roma, interessata a scegliersi autonomamente i modi in cui praticare l’ascesi. La posizione di Pelagio, d’altronde, non poteva non riscuotere simpatie negli ambienti più impegnati del Cristianesimo, soprattutto quelli che maggiormente praticavano una vita di privazioni e di preghiere, proprio perché, valorizzando questi comportamenti, forniva motivazioni per il monachesimo e l’ascetismo. Per questo, nonostante la condanna dell’eresia pelagiana fosse già ufficiale e definitiva nel secondo decennio del V secolo, sopravvissero a lungo forme di Pelagianesimo più o meno occulto, soprattutto nei più prestigiosi conventi della Gallia meridionale.

Basilica cristiana. Mosaico, IV sec. d.C. ca. da Tabarka. Tunis, Musée du Bardo.

 

Bibliografia:

A. ALFÖLDI, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, tr. it., Roma-Bari 1976.

A. MOMIGLIANO, Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Torino 1968.

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